carmen profiloBella, svelta, intelligente e capace. Dalla provincia napoletana alla Capitale, la giovane attrice Carmen Di Marzo ci parla del suo percorso teatrale che nasce con la danza, dell’utilità e dei vantaggi di uno studio diligente e dei successi di tanta fatica e tanti sacrifici. Ma anche di come comprendere i propri limiti  e superarli, rendendoli – perché no –  il punto di partenza per la ricerca del proprio reale talento.

Quando hai iniziato a studiare danza?

Ho iniziato a studiare danza all’età di nove anni, conseguendo poi il diploma in danza classica, moderna e contemporanea a Pomigliano d’Arco, con il Maestro Sergio Miele. Ho perfezionato quindi il mio percorso con numerosi Maestri del balletto e, fino ai vent’anni, la mia vita è stata totalmente dedicata alla danza. È stato il primo grande amore, qualcosa che mi ha profondamente segnata e che mi ha reso consapevole di tutte le mie potenzialità, ma anche dei miei limiti. Quel primo grande amore che ti mostra l’inizio di una strada e che poi sa indicarti la direzione più giusta da seguire.

Cos’è che ti ha portato dalla danza al teatro di prosa?

Ho danzato per diversi anni e gioivo lavorando duramente. La danza, in particolar modo quella classica, mi si confaceva meglio grazie alla  ferrea disciplina che mi ha fieramente sostenuto anche nella vita e che per me è stata provvidenziale, in quanto mi ha formata proprio come donna. Il rigore e l’atteggiamento meticoloso che animavano il mio lavoro  mi hanno aiutato anche nella vita quotidiana. La danza ha messo ordine nella mia vita, perché dall’infanzia alla maggiore età mi ha permesso di concentrarmi su cose importanti, gettando delle basi per la mia evoluzione come professionista e come persona. Il passaggio, poi, dalla danza al teatro è stato
molto naturale, in quanto ad un certo punto ho sentito la necessità, o meglio, l’urgenza di lavorare con la parola. Il corpo ha un linguaggio espressivo importantissimo, ma crescendo ho capito che non mi bastava e che avrei voluto completare la mia formazione artistica sperimentando anche altri linguaggi. Volevo mettermi in gioco e capire se riuscivo a  fare anche altro,  così a vent’anni ho fatto i bagagli e sono andata a vivere Roma, dove ho iniziato a
studiare presso l’Accademia D’Arte Drammatica. 

Il passaggio dalla danza alla recitazione: nel nuovo percorso di studi il rigore e la disciplina della danza quando ti hanno giovato?carmen salomè

 Mi hanno giovato moltissimo. Il mestiere dell’attore è altrettanto duro e necessita di allenamento continuo. Ho dovuto lavorare tantissimo sulla mia voce, che all’inizio era molto debole; quando mi sono resa conto che la recitazione era il mio vero talento, ho portato avanti un percorso di studi molto serio, sorretto da grande determinazione e irremovibile volontà. Quella stessa tenacia e meticolosità che mi accompagnavano alla sbarra mi hanno sostenuto  nel mestiere dell’attore. Il Teatro è vocazione, è missione. Recitare ti permette di lavorare sulle realtà più intime e delicate, ti mette di fronte a te stesso, ti spinge a osare, a conoscere i tuoi lati più belli e anche più bui e ad abbracciarli, per creare con bellezza e consapevolezza.

Quanto pensi abbia influito, in senso positivo, la tua formazione coreutica sul lavoro di scena?

Ha influito parecchio. Aver fatto un percorso completo da danzatrice mi ha reso consapevole del mio corpo, mi ha dato una padronanza scenica incredibile e   in alcuni generi mi ha molto favorito. Adoro la prosa, ma ho interpretato anche commedie musicali e musical, dove la danza è stata preziosissima.

carmen pulcinesiaParlaci della tua carriera e dei ruoli che prediligi.

Ho fatto incontri che mi hanno cambiato la vita e alcuni li ho fatti quasi subito. Dopo aver conseguito il diploma presso l’Accademia D’Arte Drammatica sono stata presa per la commedia musicale Festa di Pied

igrotta di Raffaele Viviani, per la regia di Nello Mascia e la direzione musicale Eugenio Bennato. In quell’occasione recitavo ballavo e cantavo. Poi sono seguiti moltissimi altri lavori: To be Beckett, per la regia di Claretta Carotenuto, uno spettacolo quasi completamente muto sulla vita di Samuel Beckett, nel quale interpretavo Lucia Joyce, personaggio meraviglioso divorato dalla sua passione per la danza, per Beckett e dalla sua follia; Questo sogno di Luca De Bei, per la regia di Patrizio Cigliano; Le spose di Federico II, per la regia di Pippo Franco;  La trilogia del male, per la regia di Laura Angiulli, spettacolo che ha debuttato in occasione del “Napoli Teatro Festival” e che attraversava le tre tragedie Shakespeariane Riccardo III, Otello e Macbeth, ed io interpretavo Lady Anne; Assunta Spina, per la regia di Enrico Maria Lamanna con Enrico Lo Verso; il musical Rent, sempre per la regia di Enrico Maria Lamanna, in cui interpretavo Mimi
la protagonista; Giggino Passaguai, per la regia di Paolo Triestino; Il berretto a sonagli, con Pino Caruso, per la regia di Francesco Bellomo, con cui quest’anno sono stata in scena al Piccolo Eliseo e dove interpretavo il personaggio meraviglioso della Saracena; Questi figli amatissimi con Edy Angelillo, per la regia di Silvio Giordani, una divertentissima commedia che analizza il rapporto difficile tra genitori e figli mantenendosi sempre sul filo della commedia intelligente e piena di spunti di riflessione… Insomma, tante cose, anche molto diverse, perché adoro essere versatile e cimentarmi in avventure sempre stimolanti. Ho partecipato anche ad alcuni film, tra cui gli ultimi due di Massimiliano Bruno,  Viva l’Italia  e Confusi e felici, che uscirà prossimo autunno. Prediligo ruoli dove si lavora intensamente sul conflitto, indipendentemente se si tratta di genere comico o drammatico. L’animo umano è complesso e continuamente bersagliato da dubbi, incertezze e timori, per cui mi piace lavorare sulla complessità di una cosa e non appoggiarmi a colori troppo definiti e facilmente “incasellabili”. Ultimamente sono molto legata ad uno spettacolo che sto portando in giro con due grandissimi attori storici del Piccolo Teatro di Milano e con cui abbiamo creato una nostra compagnia, ovvero Stefano Onofri e Francesco Maria Cordella,  che cura anche la regia. Lo spettacolo è Confinati a Ponza e racconta il confino di due grandissimi personaggi legati un tempo da una grande carmen Buonanotte ai sognatoriamicizia, cioè Benito Mussolini e Pietro Nenni, entrambi confinati sull’isola di Ponza. È la storia di un’amicizia infranta per divergenze politiche ed io, da protagonista femminile, interpreto Luisa De Luca, la cuoca che in periodo di confino ha realmente lavorato per loro ed è un personaggio di incredibile bellezza. Un privilegio per me, sia perché mi sono totalmente trasformata da un punto di vista fisico, in quanto il personaggio da copione è più grande e quindi ho fatto tutto un lavoro sul corpo, sulle posture e sul dialetto ponzese, sia perché emotivamente è una donna forte coraggiosa e appassionata.

Quali sono i prossimi impegni?

Varie cose. Intanto continueremo a girare con lo spettacolo Confinati a Ponza. Poi sto preparando, sempre con Francesco Maria Cordella e la nostra compagnia “Acts”,  il nuovo spettacolo per la rassegna di “Ponza Estate”, ovvero Sotto Ponzio Pilato, la cui regia sarà curata da Francesco Sala. Per la prossima stagione ho due riprese di spettacoli con cui andrò in tournée, ovvero Questi figli amatissimi e Venerdì 17.

Da attrice che nasce attraverso la danza, quanto l’uso consapevole del corpo  è importante in un attore?

L’uso consapevole del corpo è fondamentale, altrimenti vi è una dissociazione tra corpo e parola. Il corpo non può fare una cosa e la voce dirne un’altra. Il corpo deve aderire totalmente all’emotività e a quello che si crea in scena. La danza per me è stata una grandissima maestra e le devo tanto.

carmen festa di piedigrottaCosa consiglieresti, vista la tua esperienza, alle migliaia di giovani che iniziano lo studio della danza e poi lasciano perché probabilmente non saranno mai delle ballerine o dei danzatori professionisti?

Vorrei dire che la danza è una risorsa infinita. La danza, come l’arte in generale, è un dono divino. Purtroppo non tutte possono diventare quello che vorrebbero: prima lo capiscono e meglio vivono, perché la danza, come la recitazione o il teatro in generale, non va intesa esclusivamente come strada di competizione e di mestiere. Studiare danza o fare teatro significa innanzitutto fare del bene a se stessi e migliorare il proprio rapporto con gli altri, a prescindere da tutto. A tutti i ragazzi che abbandonano la danza perché non si sentono all’altezza dico di non farlo  e, piuttosto, di goderne il più possibile, perché quel rigore, quella bellezza, quella grazia li toccheranno per sempre.

Maria Venuso

 

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