Merce Cunningham e John Cage nel 1963

“Merce Cunningham è egli stesso l’Event della danza moderna, colui che di fatto ha segnato un prima ed un dopo. La ricerca radicale sembra la condizione di una nuova libertà. Prima di Cunningham la danza è immobile, incapace di accettare gli spazi aperti delle nuove universalità, i prodotti delle avanguardie musicali e figurative, incapace di accogliere le correnti più avanzate di pensiero. Con Cunningham la danza moderna perde il naif, il soggettivismo grahamiano, si arricchisce di nuove e diverse ideologie. Partendo dall’accettazione di qualunque principio stilistico positivo, la struttura diviene il soggetto dell’arte.” (1)

Se dovessi riscrivere oggi l’inizio delle note di programma del 1985 per presentare Merce Cunningham, il suo pensiero, la sua compagnia alla mia città, forse userei un linguaggio meno diretto. Allo stesso tempo non vi è alcun dubbio che Merce Cunningham rappresenti il prima ed il dopo del pensiero coreografico, della struttura stessa della coreografia, poiché la vede e ce la mostra con tale chiarezza, con tale semplicità, che quasi ci chiediamo come mai nessuno ci avesse pensato prima.

Jasper Johns for Merce Cunningham Dance Company 1968

E’ il processo destrutturante il protagonista dell’azione creativa e coreografica di Merce Cunningham. Il suo processo creativo ha avuto come obiettivo quello di portare alla scomposizione di base i sistemi complessi di movimento, così come gli ordini spaziali precostituiti o il rapporto tra la musica e la danza dato fino a quel momento come inscindibile e indiscutibile. Ha semplicemente pensato diversamente. Ed il suo obiettivo non l’ha centrato con la caparbietà o con l’ostinazione del raggiungimento di un traguardo. No, lo ha lasciato al caso ed al suo sguardo incontaminato dalle epoche e dalle culture precedenti, senza stratificazioni, senza preconcetti, senza dare nulla per scontato: uno sguardo concentrato soltanto sulle possibilità del movimento umano.

Secondo il Walker Art Center – Contemporary Art Museum di Minneapolis, che nel 2017 gli ha dedicato la mostra “Merce Cunningham: Common time“, in settanta anni di carriera esistono ben sei aspetti fondamentali della sua opera, presentati nel bellissimo video “The Six Side of Merce Cunningham: The Dance Maker, The Collaborator , The Chance Taker, The Innovator, The Film Producer, The Teacher”.

Frank Stella form Merce Cunningham Tour 1968

Sembra incredibile che in una sola vita Merce Cunningham sia riuscito a fare così tanto, ad un livello qualitativamente così elevato, resistendo a qualsiasi etichetta. Nessuno ad oggi è riuscito a catalogarlo in un ambito, in una corrente artistica che lo possa contenere. Forse perché, come egli stesso ha detto in molte occasioni, “I don’t describe it. I do it”.(2)

Il corpo vissuto, il corpo proprio, il corpo cognitivo, il corpo mediatore dei significati, la memoria del corpo, il processo del feedback cognitivo, tutto questo non può diventare improvvisamente “astratto” soltanto perché si rifiuta la stratificazione di una narrazione, di una storia, soltanto perché non ci si sottomette ad una partitura musicale, soltanto perché non si rispettano le regole preesistenti. Solo perché si vede altro, si vede il corpo e la cultura del corpo da un punto di vista differente.

Ciò che distingue Merce Cunningham dalla maggior parte dei maestri della danza del Novecento è il fatto che la sua opera si sottrae a giudizi di valore puramente estetici. Di fronte alla sistematica e monumentale ricerca condotta da questo coreografo americano in oltre sessant’anni d’ininterrotta attività, sembra quasi riduttivo soffermarsi su questa o quell’opera del suo ampio repertorio; esso ci appare come un work-in-progress dove non si ravvisano, o non si dovrebbero ravvisare, spettacoli finiti, bensì tappe di un viaggio di cui si conosce l’inizio ma non la fine … per continuare ad interrogarsi sulla natura della danza – a suo dire, misteriosamente inafferrabile e d’origine divina e per questo così attraente; fintantoché continuerà a porsi domande sul movimento nello spazio e nel tempo, sulla coreografia, sull’assemblaggio di danze dentro e fuori la scena teatrale, sull’uso della tecnologia, sul rapporto con le altre arti”. (3)
Secondo i canoni della coreografia teatrale occidentale, le sue coreografie sono da sempre considerate come non narrative, come coreografie astratte. Mi sono sempre chiesta: in che senso? O meglio: che vuol dire una “coreografia astratta”? Come è possibile che un corpo non “racconti”, che non rappresenti sé stesso?

Poster by Joan Mirò for Merce Cunningham – 1966

Carolyn Brown (1927) danzatrice storica della MCDC dal 1953, dai tempi del Black Mountain College fino al 1973 quando divenne consulente artistica della Compagnia, nell’articolo del 2001 Merce Cunningham and the language of the body, apparso sul New York Times, racconta delle emozioni di essere danzatori di Merce Cunningham, lei che nella MCDC ha “militato” per venti anni. Di come quei corpi sono messi alla prova da sfide impossibili che il caso mette sulle loro strade, a cui nessuna tecnica li ha preparati. E di come, dopo che i muscoli ed il cervello abbiano digerito quei movimenti, si arrivi poi alla sfida più grande, quella di renderli danza. Perché le emozioni di quei corpi esistono, così come le sfumature ed il fraseggio, il ritmo del movimento, che in assenza di musica deve essere interiorizzato dal danzatore con un procedimento complesso e sofisticato, in cui quel movimento trova la sua esistenza ed essenza solo con quel ritmo. Il danzatore di Cunningham, afferma Carolyn Brown, deve scavare in profondità, aprirsi all’inusuale, alla stranezze, ed è, come tutti, vulnerabile alle passioni ed alle inevitabili emozioni.  “Finding the physical, emotional, psychological and spiritual truths special to his or her body and soul while moving in Merce’s particular choreographed time and space is each dancer’s job. It’s not about self-expression, but it should be profound and expressive nonetheless.” (4) Il che significa non esprimere sé stessi, ma allo stesso tempo lo è e forse molto di più perché devi trovare la verità del movimento e del corpo fisico, emotivo, psicologico, spirituale.

Carolyn Brown in Summerspace – 1958

Il corpo dei danzatori di Cunningham è messo a nudo nelle sue forme reali per la prima volta nelle tute aderenti e neutre al tempo stesso, che non differenziano il genere, che ci restituiscono un corpo come unità psicofisica che non ha bisogno di sovrastrutture per significare sé stesso, che parla attraverso il movimento, senza essere appesantito e gravato dall’aggiunta del pensiero teoretico. Il movimento si fa facendo.

Secondo Nancy Dalva – Merce Cunningham Trust Scholar in Residence – in “The way of Merce”, la mancanza di una trama o di una narrazione non significa che le coreografie di Cunningham non abbiano stati d’animo. Nello studio delle note coreografiche di Cunningham si trovano ampie testimonianze di metafore e similitudini, se non proprio una trama generale. La mancanza di ruoli o personaggi ha portato a credere che gli artisti siano anonimi, impersonali. Semmai è vero l’esatto opposto: “The work is in fact personality-driven, for what could be more personal, more transparent, more poignant than dancers who are always performing as themselves? As Cunningham said to me: <The idea of personality not being there isn’t true simply because when the dancers do it, they in doing it take it on–it’s like a second skin>” (5). Cosa ci può essere di più personale se non danzatori che mettono in scena sempre e solo se stessi? E’ a quel punto che la danza diventa la una seconda pelle.

L’accusa di “astrattismo” nei confronti di Cunningham è andata aumentando mano a mano che l’affermazione del caso, dell’indipendenza e dell’autonomia della danza dalla musica, dalle arti visive, diventano un punto imprescindibile della ricerca. Come se la libertà della danza, del movimento, del corpo, la sua autonomia dalle altre arti, la svuotasse di significato, invece che identificarla, riconoscerla, renderla viva e profonda. Il corpo, il movimento per Cunningham è semplicemente il significato di sé stesso. E poi ”cosa risponderebbe a chi volesse chiederle che significa la danza di Merce Cunningham, visto che è astratta, che non racconta nulla?”. Risponderei che se una cosa non ha alcun significato, non significa affatto che non abbia alcun senso“.(6)

Come “The Chance Taker”, Cunningham vede nell’uso del caso e della casualità uno strumento creativo che rende la danza il soggetto di sé stessa, la libera dalla narratività e dell’imitazione a cui l’aveva costretta la cultura occidentale, la libera dal super-io del coreografo che vorrebbe piegarla alla sua volontà. Cunnigham lancia monete, dadi o consulta I’Ching per destrutturare la nozione stessa di coreografia tradizionale e narrativa, per giungere ad un nuovo e diverso processo creativo, in cui la casualità possa liberare l’arte dalle abitudini, dalla psicologia, dal giustificare sé stessa e la presenza dei corpi attraverso il filtro del pensiero.

L’utilizzo di procedure casuali nella creazione delle sue coreografie ha aperto a nuove possibilità di movimento, alla scoperta di nuovi elementi coreografici, poiché è il caso stesso che ci propone soluzioni sempre nuove ed inattese che mai avremmo potuto immaginare senza il suo intervento.

La mancanza di un fine, di uno scopo, di un’intenzione crea un vuoto, ed è solo in quel vuoto che la creazione può accadere, trovando uno spazio infinito ed incontaminato da pulsioni. “Il punto anche nella danza è di non cercare a tutti i costi, di trovare dei collegamenti o un senso di continuità o un ordine o una struttura perché – ha detto Cunningham – esistono in ogni caso, perché sono insiti nella natura delle cose”. (7) 

Merce Cunningham Dance Company 1973

Come dice Nancy Dalva: “He took dance apart and put it back together again, leaving out all but the most essential” (8). Ha spogliato la danza e l’ha rimessa insieme, tralasciando tutto, tranne l’essenziale. E l’ironia e la straordinarietà di quanto accaduto risiedono nel fatto che solo un grande narratore con una straordinaria musicalità poteva fare tutto questo: spogliare di tutto per lasciare di più.

Cos’è la danza

Nell’estate del 1982, a Chateauvallon (Ollioules – Francia), sede di un prestigioso Festival internazionale di danza contemporanea, partecipai per la prima volta ad un seminario di composizione coreografica tenuto da Merce Cunningham. Quando entrai in sala, lui era già lì seduto ad aspettarci. Per prima cosa ci fece sedere a terra e con gli occhi luminosi e sorrridenti ci chiese: cos’è la danza?
Alle tante risposte più o meno personali, simboliche, esistenziali, universali, significative di molti (io non feci un fiato), dopo aver fatto parlare tutti, senza perdere il suo sorriso, ci disse: “La danza è un movimento nello spazio e nel tempo” . Ci chiese inoltre quali fossero le categorie, i “tipi” di movimento, e nella nostra incapacità di formulare un qualsiasi tipo di risposta, li elencò per noi: “piegare, estendere, girare, saltare, equilibrio, cadere, camminare basso, camminare medio, camminare alto“. E la chiuse lì.

Ci invitò subito ad iniziare la composizione di un nostro solo da fargli vedere nei giorni successivi, ed in tutti i giorni che seguirono, avevo una sola certezza a cui aggrapparmi: entrando in sala l’avrei trovato seduto ad aspettarci sorridente e sereno. Iniziavamo ogni giorno le nostre ricerche e sperimentazioni sul movimento sotto il suo sguardo attento ed era impossibile immaginare cosa pensasse. Non ci ha mai mostrato un passo, un movimento, parlando poco e sempre con pacatezza. Non ha mai dato alcuna direzione alla nostra ricerca. Il concetto stesso di “correzione” era assente, rimaneva seduto a guardarci per tutto il tempo necessario. Se chiudo gli occhi, riesco ancora a sentire il suo sguardo su di noi. Credo di aver capito poi che guardava i nostri corpi che gli parlavano, che erano i nostri corpi che dovevano dare un senso a quella affermazione iniziale (“la danza è un movimento nello spazio e nel tempo”), non certo le nostre o le sue parole. Ci guardava ed aspettava, aspettava che ognuno di noi trovasse la propria risposta alla domanda: cos’è la danza?

Cominciai quindi a comporre il mio solo per Merce Cunningham ed iniziai da quello che ci aveva detto, ovvero dal movimento, e da quanto avevo letto sui pochissimi libri reperibili all’epoca in Italia o che riuscivo ad acquistare all’estero. Non esisteva Amazon, né un motore di ricerca come Google, né Youtube su cui poter guardare le sue coreografie. Partendo dal movimento, iniziai a fare una “sezione” di movimento-piegare, una “sezione” di movimento-estendere, una di “cadere” e così via. Poi disegnai – il design di Doris Humphrey (1895/1958) – dei percorsi su un foglio di carta e sorteggiando con dei foglietti di carta strappati dal mio onnipresente quaderno, li numerai, e sempre con il sorteggio abbinai le sezioni di movimento alle traiettorie nello spazio. Poi iniziai a lavorare allo spazio come orientamento all’interno di ogni sezione, poi con i livelli, basso-medio-alto, che presi dalle indicazioni avute sul camminare. Arrivata al tempo, mi resi conto come l’applicazione dei livelli lento-medio-veloce, sorteggiati per abbinarli ai vari movimenti in ogni sezione, mi mettesse di fronte a situazioni che non avrei mai avuto la forza o il coraggio di pensare. Le sezioni di movimento ne vennero in alcuni casi completamente stravolte, molto più del lavoro sullo spazio. Sul tempo arrivò una delle poche indicazioni che ci diede Cunningham ovvero che un tempo medio è poco interessante, mentre invece lo sono molto di più il tempo lento ed il veloce, ed ancora più interessante il tempo molto, molto lento ed il molto, molto veloce.

Alla fine di questo percorso, le sezioni di movimento iniziali ed i movimenti stessi erano cambiati nella sostanza e nella dinamica. Non erano più le stesse frasi. Mi ritrovai con tutte queste sezioni scollegate tra di loro che iniziavano e finivano in punti opposti e differenti della sala. Le dovevo mettere insieme per farle diventare un solo. C’era sempre il camminare da utilizzare. E così feci, ed alla fine mi ritrovai con un’unica successione di movimenti nello spazio e nel tempo. Quindi, secondo l’affermazione iniziale, era danza.

Merce Cunningham and John Cage Event at University of Illinois, Urbana Champaign, November 16, 1967

Ogni giorno si aggiungeva un tassello a questo puzzle che rivoluzionava ciò che avevo fatto fino al giorno precedente e che sparigliava le carte, alcune volte sembrava in meglio, altre in peggio, nel senso che potevo trovarmi di fronte a combinazioni di movimento veramente impossibili da pensare e da eseguire. Poi iniziai a capire che le categorie “meglio” o “peggio” non trovano spazio nella sperimentazione e nella ricerca. Si deve fare perché si deve fare. E’ l’unico modo, l’unico metodo, l’unica strada da seguire.

Arrivò il giorno in cui ci chiese di eseguire i nostri solo, uno per volta. Non dimenticherò mai quella sensazione, quella enorme sala, resa ancora più grande dall’emozione, in cui da sola mostrai il mio solo a Merce Cunningham. Poi ci chiese di suddividerci autonomamente in vari gruppi, e pur nella contemporaneità dell’azione, o meglio nel tempo in comune, ognuno poteva iniziare e finire il proprio solo indipendentemente dagli altri ed in qualsiasi punto della sala.

Naturalmente iniziarono a nascere delle intersezioni tra i vari solo, o meglio: iniziavi ad incontrare qualcuno mentre danzavi, oppure poteva succedere che il caso ti facesse trovare in una situazione – lo spazio che dovevi usare era già occupato da altri – per la quale dovevi trovare una soluzione. Chiedeva quindi ad ogni gruppo di ripetere più e più volte il proprio solo eseguito in gruppo, senza cambiare nulla che non fosse dettato dalla necessità del caso, ad esempio fare in modo di non scontrarsi, e di capire se incontravamo sempre la stessa persona sempre nello stesso punto spazio-temporale del nostro solo, senza mai forzare la coreografia.

Alla fine, dopo diverse ripetizioni, le strutture temporali singole si assestarono, si stabilizzarono con quelle degli altri in un’unica combinazione casuale spazio-temporale di gruppo che poteva anche apparire determinata dalla volontà. Avevamo fatto una coreografia senza saperlo, nella più assoluta libertà, senza scambiare tra di noi una sola parola, attenendoci solo ad alcune semplici regole di base. Solo condividendo uno spazio in comune ed un tempo in comune. Non so dire con che metodo o in che modo composero i propri solo i miei colleghi di corso, non ci fu mai un momento in cui si parlò di questo ed inoltre, troppo impegnata sul mio lavoro di composizione, guardai poco quello che stavano facendo gli altri. Nè mi sono mai chiesta cosa significasse il mio solo, così come quello degli altri e tutte le combinazioni coreografiche che ne vennero fuori. Posso solo dire che al termine di quella esperienza mi sentii come se avessi fatto un lunghissimo viaggio all’interno delle possibilità del movimento e dentro me stessa.

Regola e libertà

In Merce Cunningham “la regola e la libertà coesistono” (9). Questa affermazione potrà sembrare un controsenso perché queste due parole, secondo una certa retorica dell’artista genio e sregolatezza, in qualche modo si elidono, si contrappongono l’una all’altra, ma se ci pensiamo bene non è così. Dopo aver sviluppato il metodo del caso, bisogna attenersi alle sue regole ed al suo interno trovare la libertà del processo creativo. Così come per il common time, una volta deciso che l’unico elemento in comune in una coreografia è il tempo inteso come durata, non è poi possibile infrangere la regola e accordarsi preventivamente prima del debutto: un “… artistic convergence, a place where rigor and freedom can coexist in a common time “ (10).

Merce Cunningham In Saint Paul De poster by Herve Gloaguen.

Come ha detto il compositore Morton Feldman (1926/1987), autore della colonna sonora della coreografia Summerspace (1958), descrivendo il metodo di Cunningham: “supponi che tua figlia si stia per sposare e il suo abito da sposa non sarà pronto fino alla mattina del matrimonio, ma è di Dior” (11).

Nel suo processo creativo, Cunningham ha liberamente scelto le sue regole, il metodo del caso, il common time, l’Event, le categorie di movimento, ed ha dato a tutti la libertà di scegliere le proprie, così come di cambiarle di volta in volta. E’ un po’ come giocare a palla. Puoi giocare a calcio, a pallavolo, a pallacanestro, a palla prigioniera, a palla avvelenata, puoi cambiarne il peso, le dimensioni, e puoi creare sempre nuovi giochi, inventandoli di sana pianta. Ma se vuoi giocare, devi prima stabilire le regole e poi rispettarle, ed all’interno del gioco potrai sbizzarrirti con le tue abilità, con le tue capacità, con la tua creatività. E’ nel concetto stesso di gioco che sono insite le regole ed il loro rispetto. Ed alla fine la palla rimane sempre una palla, pronta per essere giocata alla prossima occasione.

Regole, metodo, costanza, ricerca di un equilibrio all’interno di un’opera la cui rottura ne produce un’altra, organizzazione, profonda razionalità. In fin dei conti, le regole di un artista sono la sua firma, la sua cifra, quello che lo differenzia da un altro, il suo tratto distintivo, sia il modo in cui le infrange, sia il modo in cui le ripensa e le ricostruisce. Sia nel modo in cui destruttura l’esistente, sia il modo in cui lo ristruttura.

Quindi libertà può essere sia la libertà di scegliere le regole, sia la libertà nella regola, nel senso dello spazio creativo personale – equibrio sulle punte e sulla testa – che ognuno trova all’interno di una stessa regola.

Ed è proprio così che all’interno delle categorie di movimento di Cunningham, puoi trovare la libertà di girare con una pirouette o di far girare il dito di una mano, ma per quanto sia possibile dilatare lo spazio di una regola, nessuno essere umano potrà mai ruotare la testa a 270° come un gufo. Infatti, ogni danzatore sa, ogni coreografo sa che il corpo ha le sue regole e che non possono essere cambiate. Può essere cambiato il modo di fare coreografia e quindi le regole della coreografia, ma non le regole del movimento. Nel senso che possiamo cambiare il modo di utilizzare lo spazio, di utilizzare il tempo, perfino il modo di utilizzare il corpo, ma non le regole anatomico-fisiologiche-neuromotorie attraverso le quali il corpo si muove. Le regole del “funzionamento” del corpo del balletto sono le stesse del corpo delle avanguardie. È il modo in cui vediamo e sentiamo il corpo che cambia di continuo.

La nostra libertà artistica è nelle scelte che facciamo, nelle regole che ci diamo, il modo attraverso il quale gli elementi strutturali della danza, movimento-spazio-tempo, si amplificano, si dilatano, o perché no, si restringono, e ciò solitamente avviene se siamo supportati dalla conoscenza. Per questo la danza è una disciplina, non nel senso di ubbidienza o sottomissione del corpo, ma nel senso che solo la conoscenza del complesso insieme di regole che sistematizzano il movimento umano, possono renderci liberi. Quindi è possibile che non siano le regole quelle che bloccano la creatività quanto invece le abitudini, il pensiero precostituito, l’incapacità di andare al di fuori di quello che già conosciamo, la paura della perdita, il rischio di destrutturare senza riuscire a creare nuove strutture, una certa resistenza ad uscire dalla propria safety zone, per cui piegare può rimanere comunque un pliè , oppure può dilatarsi fino a piegare il collo, un dito, il gomito. Dipende da noi.

“La vita è un continuo confronto con la regola, che essa si dà per non dissolversi nell’indistinto e che essa creativamente muta, per renderla più adeguata ad affrontare la realtà sempre nuova, costruendo incessantemente nuove regole. Le creative rivoluzioni artistiche infrangono alcune leggi dei loro linguaggi, scoprendo così nuove forme del mondo e della sua rappresentazione che a loro volta obbediscono a criteri rigorosi. Faulkner o Kafka, che sconvolgono l’ordine tradizionale del romanzo, ne creano un altro, non meno inesorabilmente cogente e proprio perciò creativo. Nessuna regola è un idolo, nemmeno la regola per eccellenza: la legge. Le leggi possono e talora devono cambiare, come avviene. Ma il cambiamento, anche sostanziale e radicale, deve avvenire secondo modalità e regole precise.” (12)   

From ArtWise, Robert Rauschenberg, Merce Cunningham Dance Company, Offset Lithograph,

Movimento, spazio, tempo

In “Time, Space and Dance”, già nel 1952, Merce Cunningham ci mostra con chiarezza il suo pensiero intorno allo sviluppo della coreografia. Secondo Cunnigham, la danza classica, mantenendo l’immagine della prospettiva rinascimentale del pensiero scenico, ne ha mantenuto anche la forma lineare dello spazio e la modern dance, derivante dalla danza espressionista tedesca, non è riuscita ad avere una relazione con lo spazio scenico, inteso nella sua forma più ampia. Così come alcune teorie sullo spazio derivanti dalla danza tedesca, sebbene aprissero lo spazio ad una sensazione di maggiore connessione con esso (pensiamo a Rudolf Von Laban), non sempre lo rendevano visibile. “Il bello della danza è che lo spazio ed il tempo non possono essere scollegati tra di loro e tutti possono vederlo e capirlo. Un corpo fermo occupa tanto spazio e tempo quanto un corpo in movimento. Il risultato è che né l’uno né l’altro (muoversi o essere fermi) è più o meno importante, anche se è bello vedere un danzatore che si muove. Tuttavia, il movimento diventa chiaro, se lo spazio ed il tempo intorno ad esso sono il suo opposto: immobili.” (13)

L’interesse di Cunningham si è sempre concentrato sul movimento nello spazio e nel tempo come una lingua in sé e con un suo “vocabolario” autonomo, senza alcun bisogno che il movimento diventasse una “traduzione” da un’altra lingua, che fosse la musica o la letteratura. Il movimento, come l’immobilità, sono il campo di ricerca, non l’emozione come per la modern dance o l’espressionismo tedesco.  E l’affermazione che la modern dance derivi dall’espressionismo tedesco, così come dai sentimenti personali dei vari pionieri che l’hanno creata, ci chiarisce ulteriormente la visione che Cunningham ha su quanto lo ha preceduto fino al giorno prima (e da cui lui stesso deriva).

A space plan for Merce Cunningham’s Summerspace, 1958. The drawing contains the idea for the whole piece: six dancers, six entrances, each dancer will make all 21 possilbe crossings of the space using 21 different kinds of movement phrasing. The order of events was derived from chance operations.

Tra i vari metodi formali della coreografia, alcuni dovuti dall’idea che la mente deve seguire il cuore ossia che la forma segue il contenuto, alcuni secondo cui la forma musicale sia la cosa più logica da seguire, quello che a Cunningham appare come il metodo più “curioso” è il recupero da parte della modern dance della struttura coreografica delle forme ottocentesche come tema e variazione e dei meccanismi associati ad esso come ripetizione, inversione del tema, sviluppo e manipolazione del tema stesso, la cui “discendenza” dalla forma musicale di Tema e Variazione, nota già nel ‘500, appare evidente anche nella terminologia. Inoltre, l’intento di creare un apice all’interno del climax, una crisi nello sviluppo della coreografia, un punto verso cui si tende ad andare, e dal quale poi ci si ritira, è certamente un altro punto di contatto con la struttura coreografica del balletto. In qualche modo, questo sembra implicare una contraddizione interna alla modern dance che, se da un lato vuole “sdoganarsi” dal balletto, scoprire nuovi movimenti basando i suoi contenuti sull’uso della psicologia e del tempo storico che vive, dall’altro, acquisendo la struttura coreografica dell’unica forma teatrale occidentale esistente, il balletto, lo accetta, quasi dichiarando che questa sia una forma coreografica plausibile, oppure l’unica esistente.

Di fatto, se la modern dance lavora sulla ricerca del movimento come materia prima della coreografia, con tutte le sue implicazioni narrativo-psicologiche, tuttavia non riesce ancora a venire fuori dall’uso “ballettistico” dello spazio e del tempo (gli altri due elementi strutturali della composizione) ed in alcuni casi anche da alcune forme di movimento, dai ruoli, dalla figura del principal dancer; e su questi aspetti si affida a quello che già conosce, al già noto, al già fatto, alla struttura del balletto ottocentesco, senza riuscire a venire fuori del tutto dalla sua safety zone. La modern dance, pur avendo iniziato un processo di destrutturazione della danza, non era ancora pronta, nei suoi esordi, a ristrutturare l’arte secondo nuove regole.

Il pensiero di Merce Cunningham, agile, leggero e allo stesso tempo profondo e dirompente, chiude definitivamente “… con l’estetica del balletto classico, per rimettere in questione la struttura stessa della danza M.C. abbandona rapidamente l’idea convenzionale della dipendenza indispensabile tra la danza e la musica e la visione bidimensionale dello spazioLa danza cessa di rimandare ad altro che non sia il rapporto dei corpi con lo spazio ed il tempo… Ci si basa sulla de-composizone dei linguaggi, sull’interrogazione delle cellule di base, sulle unità significanti minimali. Si cerca nel movimento ciò che c’è di più semplice (che non vuol dire facile) e diretto, senza creare confusione, perché questa è troppo facile da trovare. Movimenti puri, completamente chiari … dal quotidiano al virtuosismo, senza privarsi di nulla. Astazione, caso, humor, provocazione, scoperta, esplorazione, linguaggio raffinato, fisicità pregante. I danzatori di Cunningham sono leggeri, ironici, intoccabili, dubitativi. La coreografia parte dal movimento stesso, procedendo meticolosa attraverso la divisione, la separazione, l’autonomia delle diverse parti, l’indifferenza, l’interferenza, l’ascesa della percezione che ridà allo spettatore il libero arbitrio. Il corpo stesso è diviso in segmenti autonomi e l’unità è il movimento stesso. Il gesto non esprime altro che sé stesso nello spazio e nel tempo.” (14)
Perché danzare è semplicemente fare qualcosa, non dire qualcosa.

Merce Cunningham

Continua……

Leggi anche:

Dance Composition 8 | Cunningham, Cage, Rauschenberg, Johns: in principio fu Duchamp (seconda parte)

Dance Composition 7 | Cunningham, Cage, Rauschenberg, Johns: in principio fu Duchamp (prima parte)

Dance Composition 6 | Cunningham, Cage, Rauschenberg: un tempo in comune

Dance Composition 5 | Merce Cunningham, John Cage, il caso. Una storia d’amore.

Citazioni e fonti

Gabriella Stazio – Note di programma – “Event 1 – Event 2” Coreografia di Merce Cunningham, musiche di John Cage, Takehisa Kosugi, David Tudor – Merce Cunningham Dance Company – Teatro San Ferdinando – Napoli – aprile 1985 (1); (9); (14)

The Six Side of Merce Cunningham – Walker Art Centre –  video prodotto da Andy Underwood-Bultmann. Identità grafica di Ryan Gerald Nelson. Grafica aggiuntiva di Jas Stefanski – 2017 (2) ­­­+ (10)

 Marinella Guatterini –  Merce Cunningham – Un processo di collaborazione tra musica e danza – introduzione Culture Teatrali n. 14 – 2006 (3) 

Carolyn Brown – Merce Cunningham and the language of the body – 2001 – nytimes.com – (4)

Nancy Dalva – The way of Merce – Merce Cunningham Trust Scholar in Residence – Saggio originariamente commissionato da Patsy Tarr e pubblicato nella sua rivista  Dance Ink ; e più tardi in  Merce Cunningham, Dancing in Time and Space , Richard Kostelanetz, ed .; pubblicato anche dalla Stanford University e riprodotto presso la Ohio State University e la New York University. —– 1992, 2012, 2014 cunninghamcentennial.blog (5); (8)

Leonetta Bentivoglio – Merce Cunningham o del divorzio tra danza e musica1985 – larepubblica.it – (6)

Elisa Guzzo Vaccarino – John Cage, il libertador della danza – academia.edu (7)

Hannah Sargeant – How Merce Cunningham reinvented way the world saw dance – 2019 – dazeddigital.com – (11)

Claudio Magris – Non esiste libertà senza regole. È lecito cambiarle, non ignorarle- 2010 – corriere.it (12)

Merce Cunningham – Space, Time and Dance – 1952 – mercecunningham.org- (13)

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