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La Questione Meridionale della Danza secondo Letizia Gioia Monda, docente e coreografa

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Apriamo un nuovo luogo di incontro e di dibattito per ospitare un tema importante come quello della Questione Meridionale della Danza, in cui poter pubblicare i contributi di quanti, operatori ed artisti, desiderino confrontarsi su questo argomento.  Continuiamo con la riflessione di Letizia Gioia Monda, coreografa, performer, docente a contratto dell’insegnamento Coreografia Digitale presso L’Università di Roma La Sapienza. 

Un viaggio alla ricerca della danza: Napoli-Francoforte andata, ritorno e… 

“Ho lasciato Napoli a sedici anni per conseguire gli studi e la formazione che mi hanno condotto oggi alla mia professione. Una professione, la mia, che si pone nel mezzo di due aspetti complementari di uno stesso sapere, quello teorico e quello pratico dell’arte coreutica.

Sono tornata in Italia dopo aver vissuto quattro anni in Germania, a Francoforte sul Meno, per portare avanti un lavoro di ricerca sul campo all’interno del progetto Motion Bank (un’iniziativa del rinomato coreografo William Forsythe che ha provveduto dal 2010 al 2014 ad offrire un ambiente per la ricerca interdisciplinare all’interno della pratica coreografica). Questa esperienza mi ha condotto a comprendere quanto oggi, più che mai, sia importante nel settore della danza costituire comunità di pratica.  Il termine community of practice (comunità di pratica) fu introdotto all’inizio degli anni Novanta da Etienne Wenger per indicare l’esistenza di gruppi sociali che si occupano di produrre, valorizzare e organizzare la conoscenza esplicita e tacita (rispetto i campi tematici di interesse per il gruppo) attraverso una ricerca continua basata sul principio di condivisione e interazione.

Se esiste una questione meridionale della danza sicuramente è questa, e non riguarda solo Napoli, e non riguarda solo il Sud Italia: essa riguarda l’Italia. In Italia si è perso il senso comunitario che dovrebbe sostenere la ricerca artistica. In Italia vi è troppa confusione su come “gestire” quel patrimonio scientifico e culturale che è l’arte coreutica: controversie politiche, dibattiti storici, e partiti istituzionali hanno favorito lo sviluppo di un divario, di una conflittualità e di una cattiva competizione tra gli operatori del settore (artisti, coreografi, danzatori, performer, ricercatori, critici/giornalisti, organizzatori, promotori, etc.). La necessità oggi è una riforma che anzitutto conduca a riconsiderare il substrato etico che dovrebbe nutrire il pensiero coreografico contemporaneo. E se è vero che il pensiero coreografico può manifestarsi nelle sue forme più sfaccettate, tale riforma dovrebbe ricordare che la danza è una forma d’arte che fonda le sue radici nel sociale e che si fa espressione di una voce corale che è quella comunitaria.

Risulterebbe allora evidente come l’esigenza primaria sia quella di condividere le conoscenze osservando le connessioni fra campi del sapere: si comprenderà dunque che non parliamo lingue così diverse se ci occupiamo di danza in teatro, installazioni coreografiche nei musei oppure di danza-terapia. E ancor di più da questo dialogo emergerebbero nuovi modi per esprimere la body knowledge relativa all’arte coreutica. Ciò condurrebbe ad ampliare i nostri vocabolari e a rendere tale conoscenza accessibile ad altri ambiti del sapere. Questo tipo di apertura ideologica potrebbe offrire ai giovani studenti dei licei coreutici, delle accademie e delle università nuove prospettive per sviluppare in futuro l’evoluzione della disciplina connessa alle scienze così come ad altre espressioni artistiche. Questi esposti sono suggerimenti per percorsi possibili di azioni che potrebbero condurre ad aprire nuovi ambiti per la ricerca spronando un cambiamento che farà sì che la nostra disciplina, l’arte coreutica in tutte le sue manifestazioni, venga considerata pari a quella relativa ad altri domini della conoscenza.

La questione meridionale della danza può essere risolta attraverso un’azione comune, un manifesto che rappresenti l’impegno etico e morale degli operatori del settore a costituirsi insieme per fronteggiare una rivoluzione che avrà per oggetto la decentralizzazione, l’internazionalizzazione, e la valorizzazione della danza e della ricerca coreografica italiana. Questa rivoluzione può/deve partire da Napoli quale centro di convergenza di molteplici esperienze europee, focolare ideologico in attiva espansione.”

 

Letizia Gioia Monda

Coreografa, performer e docente

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