Apriamo un nuovo luogo di incontro e di dibattito per ospitare un tema importante come quello della Questione Meridionale della Danza, in cui poter pubblicare i contributi di quanti, operatori ed artisti, desiderino confrontarsi su questo argomento.  Continuiamo con la riflessione di Luca Della Corte, danzatore e coreografo.

 

Esiste una questione meridionale della danza?

” Il tema proposto è alquanto scottante, necessita di riflessione, tempo e spazio, un tempo e uno spazio che avrei voluto vivere di persona e non soltanto nei termini di questo breve – e certamente non esaustivo per completezza – contributo virtuale.

La domanda esiste una questione meridionale della danza? ne genera un’altra: Quando le parole questione e danza abitano la stessa frase? Quando interroghiamo la danza e i suoi autori?

Negli ultimi anni si può assistere a un curioso fenomeno che chiamo “frattura da stress”. Funziona più o meno così: la danza esce dalla porta ed entra dalla televisione con fare prepotente, si assume con gioia il fatto che possa essere attività ludica (e in parte è certamente un bene) svolta a fini ricreativi e perché no con attitudine debosciata e fare naïf. Quello che si perde di vista è lo spirito di sacrificio e la dedizione che lo studio di qualsiasi disciplina comporta. La danza così diventa sempre più opulenta, inizia a nutrirsi di compromessi, gli atteggiamenti personali diventano stili, gli stili tecniche; a questo punto si genera confusione, il sistema collassa e senza più punti di riferimento diventa impensabile poter costruire un’architettura di sapere, dalla e sulla danza.

Senza dubbio la questione investe particolarmente il meridione, il meridione d’Europa; ed è altrettanto vero che il meridione d’Italia non vuole o non riesce a strapparsi di dosso la nota e scomoda etichetta. Il punto della questione forse è proprio questo: bisognerebbe avere il coraggio di rompere l’antico cliché ed estendere il nostro sguardo a settentrione del meridione d’Europa per poterne condividere ricerca e nuove metodologie, riuscendo a percepire la danza come un unicum, le cui differenze interne risiedono nella genuinità dei contenuti. Quello che in Francia, Germania, Olanda, Belgio – e l’elenco potrebbe estendersi fino ai Paesi Scandinavi – è ormai consuetudine dagli anni ’80 (mi riferisco alle famigerate residenze artistiche) in Italia e certamente al Sud più che al Nord, sono argomento del tutto (o quasi) ignorato.

Eppure, sia da un punto di vista organizzativo, quanto economico, utilizzare uno spazio esistente, sia anche uno spazio urbano, e convertirlo in spazio di ricerca non è cosa poi così complessa.

D’altro canto il caso di Movimento Danza è più che esemplificativo: esiste uno spazio, esiste una direzione “illuminata” che persegue un obiettivo, esiste un’organizzazione che in maniera efficiente stabilisce criteri e modalità di gestione “dell’affare danza”.

Ecco, forse sono queste le tre, semplici cose, che giovani autori di danza come me chiedono: spazi fisici, di riflessione e di confronto in cui condividere le proprie ricerche, ma anche i punti di partenza e magari gli eventuali approdi; gruppi di sostegno composti non solo da coreografi ma anche e soprattutto da critici, giornalisti, intellettuali e perché no mecenati (una parola che è diventata inspiegabilmente orrenda e che invece rimanda all’atto di proteggere e diffondere un’arte); un’organizzazione, ovvero un sistema che lavora all’unisono per sviluppare un’idea.”

Luca Della Corte

Danzatore e coreografo

PhotoCredits: Pasquale Ottaiano

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