Salvatore Romania

SIRACUSA – Salvatore Romania, insieme a Laura Odierna, è coreografo della compagnia siciliana Petranuradanza, presente per il terzo anno di fila al Ra.I.D. Festivals. Danzatore storico della Compagnia Zappalà, Romania è anche direttore artistico del Festival Incontri Internazionali di danza contemporanea, della Rassegna Incontroscena e del Naranji Dance Festival. Con la collega Odierna, è artista associato per il triennio 2022-2024 al Centro Nazionale di produzione danza Scenario Pubblico/Compagnia Zappalà danza.

Fondata a Lentini nel 1997, l’Associazione Culturale Megakles Ballet in arte è denominata Compagnia Petranuradanza. Termine tratto dal vocabolario siciliano, “Petranura” vuol dire appunto “pietra nuda” ed evoca l’azione magmatica del vulcano Etna. Forza distruttrice e allo stesso tempo generatrice, capace di rinnovare di continuo il proprio aspetto.

Della stessa forza si nutre anche Sciara (Genesi), duo al maschile andato in scena al Chiostro di Santa Chiara di Solofra lo scorso 8 settembre. Primo studio di un lavoro più ampio, sembra raccontare tante storie in una: un viaggio per mare, un naufragio, la lotta fra due diavoli – interpretati da Francesco Bax e Konstyantyn Hryhor’yev.

Com’è tornare a Ra.I.D. Festivals per Salvatore Romania?
Sono felice di tornare a Ra.I.D. con la mia compagnia, Petranuradanza. Siamo stati qui già due anni fa, abbiamo portato Agua, e poi l’anno scorso il quartetto Fisiognomica. Quindi questo è il terzo anno di seguito.

Lo spettacolo di quest’anno è andato in scena al Chiostro di Santa Chiara. Che energia trasmette questo luogo?
Fin ora ci siamo esibiti sempre a Palazzo Ducale Orsini, è abbiamo potuto assistere alla crescita di Ra.I.D. Festivals passo dopo passo, come l’installazione della pedana. È stata la prima volta per noi al Chiostro e anche qui è molto interessante.

Penso che i piccoli festival – piccoli rispetto a quelli storici – sono il pilastro portante della divulgazione della danza in Italia. La danza nel nostro paese è considerata un’arte minore, lo sappiamo bene, quindi non ha grandi spazi. Proprio per questo gli sforzi fatti dai piccoli festival sono notevoli e ammirevoli. Tante volte non vengono messi in rilievo, meriterebbero più attenzione.

Per questa edizione Ra.I.D. Festivals ospita il progetto speciale Come as you are: l’arte nuda da ogni pregiudizio. Cosa ne pensa Salvatore Romania dell’abbinamento della danza con le altre arti? Nella sua serata, per esempio, c’era presentazione del fumetto Fratelli di libertà scritto da Antonio Mondillo.
Penso che sia la strada giusta.

A Lentini, dove Petranuradanza ha sede, due anni fa abbiamo avviato un festival all’interno di Palazzo Beneventano. Si chiama Naranji Dance Festival, termine persiano che indica le arance tarocco tipiche della nostra zona. Con tanto sforzo riusciamo a renderlo un festival multidisciplinare: la danza è la forza centrale, ma attorno ruotano tante arti come la scultura, la pittura, il cinema. Il Palazzo Beneventano, un edificio storico, è un’area molto grande e cerchiamo di farla vivere tutta. Organizziamo mostre, video-installazioni, site-specific. E tutto ruota intorno a un tema: l’anno scorso era Il corpo devoto, quest’anno La terra.

Sembra quindi che nell’ultimo periodo Salvatore Romania stia affrontando spesso il tema della terra. Anche Sciara riguarda questo tema, no?
Quello andato in scena a Ra.I.D. è in realtà Sciara (Genesi), cioè il punto di partenza di Sciara che è un duo e che poi diventa Sciara.2. Quest’ultima versione ha debuttato quest’anno a luglio Naranji Dance Festival, appunto.

Sciara è la terza tappa di un lavoro che io e Laura Odierna stiamo portando avanti da un po’ di anni. La prima tappa, nel 2009, è stata L’albero di limoni, una sorta di piccolo viaggio nella nostra terra. La seconda è Ma-shalai, coreografia del 2010 selezionata nella rassegna Marathon of Unexpected della Biennale di Venezia, sotto la direzione di Ismael Ivo. Il titolo è un gioco di parole: il suono ricorda un termine siciliano che vuol dire “mi sono tanto divertito”, ma è un’illusione. È una sorta di denuncia verso lo Statuto siciliano, uno strumento che non è mai stato utilizzato nella maniera giusta.

A Ra.I.D. quindi abbiamo presentato Sciara (Genesi) cioè proprio la genesi di questa opera: un passo a due, un lavoro scarno ma ricco di suggestioni.

Quali sono, dunque, le suggestioni che alimentano Sciara?
Sciara parte da lontano: da tutti quegli italiani, siciliani anche, emigrati verso gli Stati Uniti nei primi del Novecento. Un parallelismo con l’attuale situazione dei migranti provenienti dall’Africa. È paradossale oggi aver paura di un immigrato, temere che chi scappa da guerra e povertà sia giunto in Italia per togliere lavoro agli italiani. Non è così, io penso che ogni migrazione porti ricchezza e per questo desidero ricordare il nostro passato di migranti attraverso Sciara.
Prendo dunque spunto dalla mia terra perché credo sia un esempio di tolleranza. La Sicilia ha vissuto 13 dominazioni: accoglienza e contaminazione di culture sono nel DNA di noi siciliani, e vorrei che fosse così per tutti gli esseri umani.

Mi sono ispirato poi a un libro di Giuseppe Pitrè che ha condotto uno studio sul gesto siciliano, catalogando circa 150 gesti di significato differente. L’ipotesi è che i siciliani abbiano codificato questo linguaggio gestuale per comunicare senza che il nemico – uno dei tanti dominatori – comprendesse. Si può davvero condurre un discorso attraverso questo vocabolario, tanto che durante le varie fasi di lavorazione di Sciara i danzatori e io abbiamo iniziato a scherzare e comunicare tra noi solo attraverso gesti siciliani.

Un altro influsso deriva, inoltre, dalla leggenda di Colapesce: un ragazzino che ama così tanto il mare da trascorrere molto tempo in acqua facendo preoccupare sua madre. Per l’ennesima volta Colapesce si immerge, nuota nelle profondità del mare e scopre che una delle tre colonne su cui poggia l’isola si sta sgretolando. Sceglie quindi di restare sott’acqua e sostenere la colonna.

Le numerose fonti di ispirazione di questa coreografia sono però racchiuse in una sola parola, nel titolo. Cosa vuol dire dunque “Sciara”?
In dialetto siciliano vuol dire “strada” e indica in particolare la strada che il vulcano – l’Etna, lo Stromboli – si crea eruttando lava. La sciara è un paesaggio lunare, privo di vegetazione, non sembra appartenere a questo pianeta. Ma allo stesso tempo la sciara è vita: rende fertili le campagne. È un luogo che sembra ostile e invece è fonte di ricchezza.

Anche questa è una metafora della migrazione: muoversi in un luogo in cui non si è i ben voluti è come camminare sulla sciara, che è un terreno instabile e tagliente. L’immigrato potrebbe ritrovarsi in un paese ostile se gli abitanti di quel luogo non comprendono la ricchezza culturale che porta con sé.

All’inizio della performance andata in scena a Ra.I.D., i due interpreti indossano delle maschere. Salvatore Romania le andrebbe di raccontarci cosa rappresentano?
Le maschere rosse si rifanno al Ballo dei diavoli di Prizzi. Mi sono ispirato infatti alla festa che si svolge nel comune di Prizzi, in provincia di Palermo, in periodo pasquale. Ci sono due diavoli, che indossano una maschera rossa, e la rappresentazione della morte con una maschera gialla. Insultano le persone, inseguendole per tutto il paese.

In Sciara (Genesi) la maschera è un’altra metafora: è vedere l’altro, il diverso da me, come un demonio che vuole distruggere la mia vita. C’è, infatti, anche un riferimento al film Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore: all’inizio della coreografia Bax e Hryhor’yev con indosso le maschere ripetono “la piazza è mia” nel senso che l’Italia è mia, noi siamo italiani, e quindi l’altro non può venire. Per me è umanamente sbagliato, e con questo espediente vorrei invitare a riflettere su alcuni pregiudizi, come la paura del diverso che appare pericoloso ma non lo è.

I gesti siciliani, il nostro passato di migranti, l’Etna e i diavoli: qual è il filo conduttore che li lega tutti?
Sono delle immagini. Sciara (Genesi) non è uno spettacolo narrativo nel senso che non racconta una storia, ma delle vicende che anche a distanza di tempo si ripetono. Come le migrazioni: prima gli italiani verso gli USA, oggi gli africani verso l’Europa.

Le migrazioni sono un fenomeno che non può essere fermato: come il vento, come le correnti. Anzi è proprio il movimento che genera la vita sulla Terra. Tutto ciò che è vissuto con paura genera invece un blocco, sotto tutti i punti di vista. Oggi la paura è la forza dominante, purtroppo. Ma non si può chiudere gli occhi difronte a chi muore in mare. Non si può morire oggi in mare, migrando.


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