Nello scorso articolo abbiamo affrontato un excursus storiografico sull’emergere delle pratiche somatiche dal Novecento fino ad oggi, puntualizzando il concetto esposto dal rinomato coreografo William Forsythe, relativo alla necessità di sviluppare un nuovo tipo di letteratura della danza (Forsythe; Groves, 2007: 17).  In questo appuntamento, con rispetto per l’interdisciplinarità a cui mirano le mie ricerche, affronterò l’argomento da una prospettiva più pratica.

Un approccio pragmatico alla ricerca: danza, scienza e neuroscienza. 

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Il danzatore e la sua percezione della dimensione spazio-temporale dell’azione

Partiamo da una premessa che ha l’obiettivo di sfatare un luogo comune, ossia quello che ritiene che un bravo danzatore debba unicamente possedere una solida preparazione tecnica. Quest’affermazione è vera fino ad un certo punto. L’incorporazione di una tecnologia coreutica – che possa essere quella del balletto classico, così come quella dello yoga, della tecnica release o dell’hip-hop – serve di base per potenziare lo stato di equilibrio del corpo e l’elasticità muscolare. Ma affinché un danzatore possa acquisire scioltezza plastica ed immediatezza d’espressione, occorre uno studio assiduo e analitico del corpo umano.

Così come un violinista o un pianista hanno bisogno di conoscere alla perfezione il proprio strumento per poter far risuonare nell’esecuzione di un brano il proprio genio, così un danzatore deve impegnarsi in uno studio profondo per conoscere al meglio il proprio strumento, ossia il proprio corpo-mente, per far sì che questo risuoni alla perfezione in scena innescando in coloro che osservano/ascoltano le emozioni e le sensazioni di cui si compone una coreografia della vita.

Vediamo in che modo tale sapere può emergere da una pratica coreutica.

Un danzatore entra in sala, e inizia il warm-up esplorando il corpo, sentendo il respiro, accordando il suo strumento, entrando in contatto con se stesso. Non va dimenticato che il corpo-mente è un’unica e complessa unità, e che il modo in cui percepiamo questa unità in relazione al mondo circostante è molto soggettivo. Come spiego nel mio libro (Monda Letizia Gioia, Choreographic bodies. L’esperienza della Motion Bank nel progetto multidisciplinare di Forsythe, Dino Audino Editore, Roma 2016), esistono una molteplicità di approcci al training. Ognuno di questi è codificato dal maestro in relazione ad una specifica poetica coreografica che guida la strutturazione di una metodologia, necessaria al fine di sollecitare precisi meccanismi psico-somatici che, una volta acquisiti, il danzatore poi adotterà nell’esecuzione delle sequenze di movimento coreografate, le quali, in questo modo, saranno colorate di una precisa cifra stilistica.

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Letizia Gioia Monda, Choreographic Bodies. L’esperienza della Motion Bank nel lavoro multidisciplinare di Forsythe, Dino Audino Editore, Roma, 2016

Vi sono diversi e complessi fattori che lavorano insieme per organizzare il corpo coreograficamente, e qualsiasi persona scelga di impegnarsi in tal processo, percepisce inizialmente tale riorganizzazione psico-fisica (che avviene tramite la tecnologia coreutica attuata) come qualcosa di piuttosto complicato. Quando si intraprende un nuovo percorso di studio nella danza è normale avvertire questo senso di disagio. Inizialmente, ci si sente inadeguati ad eseguire un passo o una posizione, e questo perché stiamo rieducando il nostro corpo e lo stiamo spingendo ad attuare schemi di movimento che non gli sono familiari. Troviamo difficile capire il funzionamento biomeccanico del corpo, ma questo capita ad una persona che non ha mai praticato la danza così come ad un danzatore esperto che, per esempio, ha sempre esercitato la danza classica e decide, per la prima volta, di passare da una condizione fisica verticale ad una orizzontale per studiare la tecnologia del floor work. Lentamente, facendo esperienza ed esercitando la tecnologia coreutica, la metodologia di movimento viene incorporata dal danzatore andando a costituire la natura del suo corpo coreografico.

Perché quando iniziamo a studiare la danza percepiamo questo senso di inadeguatezza?

Perché nella danza utilizziamo il corpo-mente in maniera totalmente differente rispetto la vita quotidiana. Mi spiegherò meglio. Partiamo dal fatto che il nostro organismo è molto furbo: mira a lavorare in modo tale da non disperdere le energie, anzi fa esattamente in modo di risparmiarle il più possibile.  Che vuol dire questo? Significa che quando il nostro organismo deve eseguire un qualsiasi movimento, invece di impegnarsi ogni volta ad eseguire tutti i calcoli necessari per compiere una semplice azione (come per esempio può essere quella del camminare), avendo il cervello archiviato già in precedenza il movimento, al momento debito non pensa al movimento da effettuare ma lo esegue in modalità automatica. Nelle pratiche sceniche questo è ciò che si cerca di evitare perché per attivare la comunicazione teatrale la necessità per il performer è realizzare un’azione organicamente cosciente, portatrice di una verità: qualunque verità essa sia, l’azione non deve essere guidata da una tendenza di movimento, ma deve essere organicamente consapevole. Per fare ciò un neo-danzatore deve rieducarsi al movimento, divenire abile ad interiorizzare la propria attenzione ed affinare il modo in cui percepisce se stesso nella condizione coreografica data. Percepire non significa esclusivamente vedere. Noi percepiamo la nostra presenza nel mondo attraverso molteplici sensi. Un senso molto importante è per esempio la propriocezione, ossia la capacità che abbiamo di percepire i nostri movimenti, le contrazioni muscolari e la posizione che un organo può occupare nello spazio anche senza l’uso della vista. Riconoscere gli schemi abituali di postura, quelli che adottiamo per percepire, e i movimenti che siamo soliti eseguire per interagire con l’ambiente stesso, è necessario al fine di evitare di includere tali automatismi, indotti dalla nostra vita quotidiana, nella pratica del corpo che perseguiamo o attraverso la quale ci stiamo formando. Quindi attraverso lo studio di una tecnologia coreutica e praticando l’ascolto del corpo siamo portati a migliorare il coordinamento del movimento supportando l’integrazione strutturale, funzionale ed espressiva del corpo coreografico.

Il fine di tale lavoro è esperire attraverso il movimento l’incorporazione del proprio senso di vitalità in modo da estendere le nostre nascoste e preziose capacità d’agire in una bellissima coreografia della vita.

Letizia Gioia Monda

Letizia Gioia Monda, coreografa e peformer con background in danza classica e contemporanea, da anni si dedica allo studio della body knowledge nella danza e nella coreografia all’interno della Motion Bank. Membro di AIRDanza ( Associazione Italiana per la ricerca sulla Danza) è regular guest del Dance Engaging Science Workgroup e collabora con le università La Sapienza e Roma Tre.

In copertina Synchronous Objects di Forsythe

Tutti gli argomenti trattati si riferiscono alla ricerca pubblicata nel volume: Letizia Gioia Monda, Choreographic Bodies. L’esperienza della Motion Bank nel lavoro multidisciplinare di Forsythe, Dino Audino Editore, Roma, 2016.

Letizia Gioia Monda

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