Patrizia Coletta

Patrizia Coletta è direttore della Fondazione Toscana Spettacolo. La Fondazione nasce nel 1989 su iniziativa della Regione Toscana per valorizzare lo spettacolo dal vivo attraverso attività di distribuzione, promozione e formazione del pubblico.

Oltre alla Regione, sono enti fondatori le Province di Lucca, Massa-Carrara e Prato. Aderiscono, poi, in qualità di enti partecipanti oltre cinquanta Amministrazioni comunali, dai capoluoghi ai piccoli municipi. Toscana Spettacolo, inoltre, è riconosciuta dal Ministero della Cultura come Circuito Regionale Multidisciplinare.

Realizza stagioni di prosa, per adulti e ragazzi, festival, spettacoli e rassegne di danza, concerti in tutte le aree della regione per un totale di circa settecento recite ogni anno. La programmazione è affiancata da una costante attività di formazione del pubblico: incontri con gli artisti, letture, corsi, laboratori, approfondimenti tematici. La contattiamo per raccogliere il suo parere nell’ambito dell’inchiesta “Covid 19/Si cambia danza”.

Secondo Patrizia Coletta, quali tracce ha lasciato la lunga separazione dal pubblico?

È una ferita sociale molto profonda quella che abbiamo e stiamo ancora vivendo. In effetti, credo che ne avremo ancora per molto, soprattutto noi artisti.

I bambini e i ragazzi hanno altri tipi di cicatrici che sono legate alla maggiore dispersione scolastica, all’aumento dell’isolamento, alla perdita della socializzazione in uno dei momenti più delicati della loro crescita. Credo quindi che gli operatori più sensibili e responsabili dovranno occuparsi soprattutto degli effetti sui bambini e sugli adolescenti.

A tal scopo, la danza potrebbe essere impiegata per superare la ferita del distanziamento. E la danza è straordinaria in questo senso: la riscoperta del corpo, dell’importanza dello stare vicini fisicamente. Credo che questa sarà una responsabilità forte.

Per gli adulti sarà più facile: magari all’inizio ci sarà un po’ di diffidenza. Ma abbiamo un bagaglio di esperienze e ricordi più ampio quindi sarà più facile tornare a quel mondo che conoscevamo prima. Per i più giovani no: la loro esperienza è di adesso e quindi è molto importante dedicarsi a loro. Aiutarli a riscoprire l’importanza della vicinanza umana anche nei percorsi di apprendimento.

Ritiene che lo spettacolo dal vivo sia indispensabile alla vita sociale?

Sì, certo che sì. È indispensabile lo spettacolo dal vivo inteso come espressione cultuale. La cultura e la creatività sono fondamentali nei processi di rigenerazione individuale e collettiva. Non possiamo vivere in una società priva di cultura, di pensieri e di emozioni.

È la cultura che consente di andare avanti nella propria vita, sia in senso quotidiano che in senso sociale. Senza cultura non può esserci crescita sociale. E la cultura teatrale, in senso lato, è cultura all’ennesima potenza perché la si vive sulla propria pelle e insieme ad altre persone.

La mancanza di empatia è uno dei primi sintomi del malessere psicologico. Il teatro, da più di duemila anni, insegna questo: mettersi nei panni dell’altro. Senza empatia, siamo tutti pazzi.

Patrizia Coletta ha timori riguardo la sopravvivenza dello spettacolo dal vivo?

No, io non ho assolutamente timori. Ho timori riguardo la sopravvivenza di alcune imprese, la sopravvivenza economica intendo. Temo che compagnie e artisti più fragili possano fare fatica a continuare dopo più di un anno di pandemia, di fermo e sospensioni. Se dovesse esserci un’ulteriore fermo, molte realtà sparirebbero. Il mio timore è questo.

La gestione economica e amministrativa quanto tempo, energie e risorse porta via?

Per quanto mi riguarda, quasi l’ottanta percento del mio tempo. Noi abbiamo sessanta Comuni associati, quindi tra questioni amministrative e burocratiche – tenendo conto che lavoriamo con la Pubblica Amministrazione – questo mi porta via oltre l’ottanta percento delle mie ore di lavoro quotidiane.

Il sistema dello spettacolo dal vivo e in particolare il settore della danza sembrano poco conosciuti dal pubblico e dai decisori politici. Cosa pensa si potrebbe fare a riguardo?

Io credo che si stia facendo già molto, anche con Agis, sui tavoli di discussione pubblici e sulle tavole dei palcoscenici. Abbiamo pubblicato, l’anno scorso, un volume che si chiama La danza è possibile dove ci sono dati molto chiari ed eloquenti della grande percentuale di danza in Italia, dai circuiti fino ai festival.

Ritengo che l’attenzione da parte dei decisori pubblici ci sia e sia importante. Certo non è mai sufficiente, però c’è. Mi sembra che la danza continui ad essere un linguaggio difficile per gli spettatori. L’Italia non ha la tradizione della danza, ha la tradizione dell’Opera lirica e del teatro di prosa. Quindi la danza non è ancora entrata nell’immaginario collettivo, viene percepita come linguaggio difficile da decifrare.

Patrizia Coletta pensa che un censimento dei lavoratori e delle imprese aiuterebbe?

Aiuterebbe i decisori politici sì, di sicuro. Credo sia importante per i politici.
So che il tema dello statuto dei danzatori è discusso dai decisori politici, è un tema a cui prestano attenzione. Se è giusto creare un albo per i lavoratori dello spettacolo e con quali criteri, poi, farne uno. Ci sono delle proposte di legge, per cui è un argomento di interesse per i politici.

Cosa dovrebbe cambiare per rendere più gestibile la ricerca di lavoro per i danzatori?

Dovrebbero esserci più centri di produzione della danza. Attualmente ce ne sono pochissimi, dovrebbero esserci più strutture solide che producono la danza. In questo momento esistono quattro centri di produzione e moltissime compagnie private.

Credo che la danza abbia bisogno di maggiore solidità produttiva come avviene invece per il teatro, dove ci sono appunto teatri nazionali, centri di ricerca o per l’infanzia.

Il settore della danza è debole dal punto di vista della produzione, che è ancora troppo affidata alle imprese private. Che sono più fragili perché vivono del mercato e hanno bisogno di spazi dove produrre e performare.

Se improvvisamente avesse il potere di risolvere i problemi del mondo della danza, cosa farebbe?

Prima di tutto, non ambisco ad avere un tale potere.
Poi, come ho già detto: ci dovrebbero essere strutture che producono in maniera solida, ce ne dovrebbero essere di più.

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Laureata magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II" nell'ottobre del 2019. Dal 2022 è giornalista pubblicista e socia di AIRDanza - Associazione Italiana per la Ricerca sulla Danza. Si occupa di Comunicazione dello Spettacolo e Servizi Editoriali.