La recente stagione al David H. Koch Theater al Lincoln Center di New York dell’ Alvin Ailey American Dance Theather, ha celebrato due importanti ricorrenze, i 60 anni della fondazione della Compagnia e i 50 anni della Ailey School, creata a Brooklyn nel 1969 dal grande e visionario coreografo, nato in Texas nel 1931 e formatosi a Los Angeles. La sera del 16 giugno ho avuto la fortuna di assistere allo spettacolo dedicato a Carmen de Lavallade, amica e coetanea di Alvin Ailey, sua compagna di scuola alle superiori, che lo introdusse allo studio della danza e che ha poi partecipato da ospite a molti spettacoli della sua compagnia. De Lavallade aveva iniziato a studiare danza classica a sedici anni con Melissa Blake e poi ebbe una borsa di studio per seguire le lezioni con Lester Horton dove ben presto si ritrovò a danzare con Alvin Ailey. Insieme hanno ricevuto quella formazione completa e articolata con altre forme d’arte, tra cui pittura, recitazione, musica, scenografia, costumi, balletto e altre tipologie di danza moderna ed etnica, che caratterizzavano la compagnia di Horton. Alla sua morte, nel 1953, Ailey, a soli 22 anni, fu scelto per diventare il coreografo principale e direttore della Lester Horton Dance Company che ebbe però breve vita. Successivamente Ailey si trasferì a New York e fece della tecnica Horton uno dei linguaggi principali della formazione all’interno della sua scuola e della compagnia. La Ailey School, per molti anni, ha cambiato sede e nei sogni del suo fondatore, che ha permesso a generazioni di bambini di famiglie non abbienti di studiare la danza in tutte le sue forme, c’era quello di possedere un edificio e lo spazio giusto per la danza. Solo Judith Jamison, musa ispiratrice e grande interprete delle sue coreografie, oggi direttrice artistica emerita della Fondazione, riuscì a concretizzare il sogno di Ailey nel 2005 con la costruzione del Joan Weill Center for Dance, edificio di nove piani, sede della scuola, della compagnia, e, con le sue 16 sale e un piccolo teatro di circa trecento posti, il più grande spazio dedicato alla danza in tutta la città di New York.
Oggi la Compagnia è diretta da Robert Battle, danzatore e coreografo, in associazione con Masazumi Chaya, giapponese, anch’egli ex ballerino della compagnia e tra i più fedeli riproduttori delle creazioni di Ailey nei principali teatri del mondo. I danzatori, preferibilmente afro-americani, ma non solo, hanno quella caratteristica di versatilità tecnica e ricchezza espressiva che sono sempre stati alla base del lavoro di Ailey e dei suoi seguaci. Il programma del 16 giugno esordiva con un primo atto, Honoring Carmen de Lavallade, composto da quattro brani di diversa ispirazione. Il primo Blues Suite, del 1958 è di Alvin Ailey e, su musiche tradizionali, si articola in una suite di danze, per una solista, tre donne e due uomini, che richiama alle origini tribali della jazz dance. Il secondo brano, Portrait of Billie, è un leggero omaggio alla cantante Billie Holiday e al glamour dei suoi fiori tra i capelli che nascondevano il dramma della sua difficile esistenza. Sarong Paramaribo è un brano creato da Lester Horton nel 1950 per Carmen de Lavallade che realizza un incontro tra due culture, quella africana e quella asiatica, in una sintesi tipica delle ricerche sulle danze etniche di quegli anni, è l’unica parte ancora conosciuta e rappresentata della coreografia Estil de Ti di Horton. L’ultimo brano Sweet bitter love è un solo creato nel 2000 da de Lavallade sul brano interpretato da Roberta Flack.
Nella seconda parte del programma sono state presentate due coreografie recenti, The Call, di Roland K. Brown, del 2018 e Ounce of Faith, di Darrell Grand Moultrie, del 2019 e lo storico Revelations del 1960 di Alvin Ailey, il brano che lo ha reso immortale. Le prime due coreografie rappresentano il dialogo vivo e sentito che gli ex ballerini di Ailey, oggi coreografi, continuano a mantenere con la missione artistica di Ailey di raccontare le origini spirituali della sua danza, da una parte legata alle matrici etniche africane, dall’altra votate ad una visione universalistica della sua danza che si fonde con il neoclassico ed il contemporaneo. The Call inizia con un brano d’ispirazione neoclassica sulla Sonata No. 6 di Johann Sebastian Bach, per poi passare ad uno stile jazz sul brano blues di Mary Lou Williams e finire con uno sfrenato brano tribale sui ritmi di Asase Yaa Entertainment Group come se per il coreografo l’essenza della danza e della vita sia il passaggio da un’estetica formale ad una potente forza ancestrale e spirituale. Il raggruppamento finale degli interpreti è, infatti, un esplicito richiamo alla posizione triangolare di Revelations. Ounce of faith è, se vogliamo, un brano più contemporaneo nello stile coreografico, con un rapporto dei danzatori con il suolo e le cadute che richiamano maggiormente allo stile release degli ultimi anni, in una sintesi con quello jazz. Le scelte musicali sono più varie con “Lift Every Voice and Sing” di Aisha Jackson & Dante Hawkins, “Logo Talk” e “Where and When” by Wynton Marsalis & Jazz, composizioni originali di Chuck Harmony e “Bellhead” di Liquid Liquid e producono un effetto vivace, spensierato, ma a volte anche sofferto, di ricerca della propria essenza attraverso la danza. Assistere dal vivo alla rappresentazione di Revelations ad opera della compagnia di Alvin Ailey è certamente un privilegio! Per chi non conoscesse il brano, si tratta del legame più esplicito che un artista possa dedicare alle proprie origini culturali e alla storia personale. Attraverso una suite di danze incentrate su spirituals, gospels e brani blues, si evoca la storia afroamericana dalla schiavitù alla libertà. È un viaggio collettivo e personale definito dalla profonda educazione cristiana ricevuta da Ailey dalla madre e filtrata dalla poetica degli scrittori attivisti Langston Huges e James Baldwin che condividevano con il coreografo il difficile e quasi inconfessato rapporto tra omosessualità e comunità nera. Revelations si articola in tre sezioni, Pilgrim of sorrow, Take me to the water e Move,Members, Move, che rappresentano una sorta di celebrazione laica in cui Ailey invita la propria comunità, attraverso la spiritualità e la purificazione, ad una presa di coscienza e azione. È un’opera immortale che nella sua essenza supera i confini storico geografici in cui è nata ed è un inno dell’umanità al superamento delle ingiustizie attraverso la consapevolezza delle proprie radici di cui oggi c’è ancora bisogno. L’ Alvin Ailey American Dance Theater è una delle principali realtà degli Stati Uniti, che viene subito dopo il New York City Ballet e l’American Ballet Theater. Raccoglie intorno a sé un numero enorme di donatori e benefattori ed è testimonianza di come, solo attraverso l’unione e l’integrazione culturale e sociale, si possa mantenere viva l’intenzione del proprio fondatore, scomparso ormai da oltre trenta anni, ma portatore di un messaggio insuperato di giustizia e libertà attraverso l’arte della danza.
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