Ripercorrere le origini della danza ci permette di comprendere lo spirito essenziale di un’arte sconfinata. Il desiderio di ballare è insito nella natura degli uomini poiché danzando si gioisce spontaneamente della vita. Per gli Egiziani infatti, così come per altre popolazioni, la parola danza, hbj, significa anche essere lieto, gioire. Nella vita dei popoli primitivi ogni evento era accompagnato dalla danza: la nascita, la semina, il raccolto, la guerra, la morte. Danzare era una necessità per evocare le forze della natura, per propiziare la fertilità e per raggiungere unità all’interno della comunità.

La Danza del Ventre è associata ai rituali del parto e ai culti arcaici della dea Madre, invocata per la fertilità nelle società matriarcali. Statuine di donne che mettono in risalto il ventre, i fianchi, il seno o catturate in movimenti sinuosi sono già presenti dalla preistoria e proseguono a vivere ciclicamente in differenti paesi e culture. Il termine arabo utilizzato per definire lo stile di danza sviluppatosi  nei paesi mediorientali è Raqs Sharqui, Danza Orientale. L’Occidente scoprì la Danza del Ventre grazie ai numerosi viaggiatori che già durante il Settecento oltrepassarono i confini incuriositi dall’esotismo delle terre orientali. Furono gli orientalisti francesi ad attribuirle l’appellativo di Dance du Ventre mettendone in risalto i movimenti caratteristici concentrati  nella zona centrale del corpo. Per molto tempo questa danza, sensuale e aggraziata, fu associata ingiustamente alla lascivia delle donne degli harem.

Lo svelamento della dea Isthar

La danza del Ventre si ricollega all’archetipo della Grande Madre, venerata in epoche remote con nomi diversi: Isthar in Mesopotamia, Iside in Egitto, Demetra in Grecia. Nel mito babilonese, Isthar, la dea dell’amore e della fertilità,  durante la sua discesa agli inferi, è obbligata a spogliarsi dei monili e dei veli per passare attraverso sette porte. La sua svestizione, simbolo della perdita di forza e potere, causa una crisi irrisolvibile nel mondo degli esseri viventi. Durante la sua permanenza nel regno dei morti, la vita sulla terra si arresta.  Il recupero dei veli e il ritorno tra i vivi fa rifiorire tutto ciò che con la sua scomparsa era morto. Il suo potere divino deve necessariamente passare attraverso il lutto per rinnovarsi, dando così vita alla ciclicità delle stagioni.  A Isthar, Signora della Vita, è attribuita la prima danza dei sette veli.  La centralità del ruolo della Grande Madre mette in evidenza una società basata sul matriarcato, che valorizza la donna e il suo ruolo nella comunità.

La tecnica della Danza esalta la bellezza della donna

Nella foto Halima

La tecnica della Danza del Ventre prevede movimenti naturali che  rispettano la conformazione fisica della donna, valorizzandone le  forme. Vibrazioni, rotazioni, ondeggiamenti continui, tremolii, moti serpentini che a poco a poco invadono tutto il corpo si alternano creando momenti di tensione e rilassamento. La danza si sviluppa morbida e fluida, sfruttando la scioltezza delle articolazioni, in un continuo respirare ritmico. La concentrazione permette alla danzatrice di coordinare le singole parti del corpo con maestria. La danza del Ventre rafforza le spalle e le braccia, tonifica l’addome e modella le gambe, migliora la postura, elimina tensioni e resistenze, mette in moto energie benefiche, risvegliando la femminilità.

Il linguaggio comunicativo della Danza del Ventre evoca movimenti connessi all’atto sessuale, che nelle società primitive era venerato come momento sacro della vita, indispensabile per la riproduzione. Molti gesti richiamano il serpente, simbolo del rinnovamento della vita e della rigenerazione, collegato alla facoltà  divinatoria e ai poteri magici della donna. Con l’avvento della religione giudaico-cristiana il serpente iniziò ad assumere una valenza negativa e la donna svilita del suo ruolo sacro. Tuttavia i riti destinati alla celebrazione di divinità femminili non cessarono mai di esistere e la grande diffusione della Danza del Ventre, che le donne un tempo usavano come dimostrazione del loro potere, ne è un esempio.

La danza può essere eseguita utilizzando vari accessori tra cui: il velo, nel gioco di coprire e scoprire il corpo;  piccoli cimbali, indossati al pollice e all’indice, che la danzatrice percuote come accompagnamento ritmico,  così come il tamburello; il bastone derivante da alcune danze tipicamente maschili; e la spada, utilizzata per eseguire posizioni di equilibrio.

Con l’evoluzione della danza, si aprì uno spazio anche per gli uomini, che si esibivano in danze di tipo acrobatico e virtuosistico, facendo uso di bastoni e spade.

 I diversi stili di Danza del Ventre sono dovuti al folclore locale. Essendo una danza tipica di diversi paesi come Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto e paesi arabi, in ogni luogo si sono sviluppate caratteristiche diverse.

La musica

La musica utilizzata per la Danza del Ventre presenta una parte ritmica eseguita su vari tipi di tamburi, come il bendir, il daff, il rikk, il dumbeki, e una parte melodica eseguita dal flauto, il ney,  dalla cetra,  kanoon, dal liuto, oud, e da una sorta di violino primitivo a una corda chiamato  rebab. A volte la danzatrice segue il ritmo delle percussioni marcandolo con i passi dei piedi e con i gesti scattosi di fianchi e spalle; altre volte, lasciandosi condurre dalla melodia, diventa più espressiva eseguendo movimenti fluidi delle braccia, ondeggiamenti e serpentine, in accordo con la musica.

Fotografie di Pinella Palmisano

www.pinellapalmisano.it

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Danzatrice, coreografa, docente, membro di AIRdanza. Ideatrice della Tribal, danza e tamburi e del Nataraja Yoga, una forma di yoga in danza, che insegna presso Movimento Danza e presso lo IALS. Conduce laboratori per danzatori e attori. Laureatasi in Discipline dello Spettacolo all’Università La Sapienza di Roma, collabora come docente con Enti di Formazione per le materie: Storia della Danza, Storia del Teatro e Antropologia della Danza. Curatrice di Festival e Rassegne di danza. Lavora come coreografa per il teatro e per la televisione.