Le danze classiche indiane, frutto di una lunga e complessa elaborazione, si sono sviluppate nel tempo grazie a processi di stratificazione culturale fino a raggiungere forme stilizzate altamente specializzate.  La tecnica che è alla base di ogni stile, espressione di un linguaggio codificato, si basa su elementi essenziali quali il ritmo, la gestualità delle mani, l’espressività del volto, numerose posizioni dei piedi e diversi modi di camminare e di muoversi nello spazio.

La bellezza dei movimenti, che il danzatore acquisisce potenziando il suo corpo attraverso il training, comunica sentimenti ed emozioni facendo emergere nello spettatore quel gusto che riempie l’anima. Le storie narrate grazie alla danza, coadiuvata da musica e canto, riattualizzano gli insegnamenti eterni dell’epica indiana in cui  prevalgono l’amore e il trionfo del bene sul male. Il linguaggio del corpo assume in questo modo significati simbolici, offrendo chiavi di accesso a mondi invisibili in cui la fantasia genera atmosfere da sogno, come è possibile ammirare nelle rappresentazioni di danza Kathak.

L’arte antica dei cantastorie

Il termine kathak trae origine dalla radice sanscrita katha, “racconto” da cui deriva anche la parola kathaka, “narratore” e fa risalire questo  stile di danza, originatosi nell’India settentrionale, all’arte antica dei cantastorie che diffondevano eventi e notizie di villaggio in villaggio, servendosi nell’interpretazione di accompagnamento musicale e vocale.  Sotto l’influsso della corrente religiosa visnuita (dal IV-III sec. a.C.) i cantastorie iniziarono a rappresentate in forma drammatica i racconti collegati a Krishna, eventi performativi composti da musica, canto e danza per manifestare il sentimento devozionale, misto di spiritualità e sensualità, in cui l’amore di Radha e Krishna era metafora dell’anima individuale alla ricerca del ricongiungimento con l’anima divina.

 Quando i sultani musulmani si stabilirono in India (XI sec.) le tematiche filosofico-religiose induiste lasciarono spazio a contenuti più mondani e di conseguenza la danza, dallo spirito devozionale che aveva caratterizzato le sue origini, si ridusse a un puro intrattenimento di corte. I sultani amavano circondarsi di musicisti e danzatrici che ricompensavano con doni e denaro affinché realizzassero spettacoli meravigliosi per il loro svago, assecondandone il gusto sfarzoso.

Una danza che nasce dalla fusione di elementi indù e componenti arabe

La danza Kathak è dunque il frutto della fusione di elementi della tradizione indù con componenti arabe, persiane e centroasiatiche, introdotte e diffuse dai sovrani musulmani che dominarono in India fino al XVIII sec. Con la dinastia dei Moghul, sotto il regno di Akbar (1556-1605), la danza e la musica raggiunsero alti livelli e in particolare durante il regno del Nawab Wajid Ali Shah (1822-1887), mecenate delle arti, egli stesso compositore, musicista e danzatore, la Kathak ebbe un’evoluzione notevole per arrivare in seguito alla cristallizzazione dello stile con Birju Maharaj (1938, tuttora vivente) che fondò la scuola di Lucknow (Lucknow garana). Ancora oggi la più rinomata e conosciuta.

Le altre due scuole, ugualmente note e considerate di grande pregio, sono la scuola di Jaipur (Jaipur garana) e la scuola di Benares (Benares garana). Le tre scuole di Kathak hanno in comune l’eleganza nel portamento e la maestria nell’esecuzione dei complessi moduli ritmici dei piedi nonostante sussistano lievi differenze che rendono chiare, ad un occhio attento, le loro particolarità: la Lucknow garana, caratterizzata da movimenti piccoli, aggraziati e sensuali, ha sviluppato una tendenza romantica; la Jaipur garana,  potenziando per lo più i virtuosismi ritmici dei piedi, è uno stile forte e vigoroso; la Benares garana è espressione di una intensa spiritualità.

La tecnica della danza Kathak

La postura base della danza Kathak è eretta e bilanciata, con un  minimo piegamento delle ginocchia in cui i piedi sono vicini e  le mani, unite e sovrapposte, sono sospese all’altezza del petto oppure poggiate ai fianchi. Lo sguardo, dritto e lontano, a volte è ammiccante, altre volte è fisso e concentrato per garantire equilibrio e stabilità nel vortice dei giri. I gesti delle mani (hasta) sono per lo più di abbellimento coreografico alla danza pura (nritta) mentrenella danza interpretativa (nritya) rappresentano divinità, azioni e sentimenti.

Le braccia disegnano linee geometriche nello spazio, spesso diagonali,  e si muovono fluide assecondando torsioni, movimenti e giri. Attraverso un allenamento attento e preciso i danzatori sviluppano un linguaggio complesso in cui, ad espressioni facciali, gesti e movimenti, si aggiungono numerosi e complessi ritmi dei piedi che rendono unica la danza Kathak.

Il battito dei piedi a terra (tatkar), nell’esecuzione e nello sviluppo diritmi articolati e di diversa lunghezza, richiede una notevole capacità di coordinazione e il danzatore, facendo tintinnare ad ogni battito le cavigliere (ghungroo) piene di sonagli, diviene parte integrante dell’orchestra. Durante l’allenamento il danzatore ripete e memorizza i ritmi ripetendoli più volte a diverse velocità a tempo lento, medio e veloce (vilambit, madhya e drut laya).

Il maestro Ariun Misra nella posa raffigurante Krishna col flauto

Le andature (ghat) prendono ispirazione dai movimenti degli animali, dalle attività domestiche femminili, dalle azioni di guerra maschili altrimenti sono rappresentative di divinità, come per esempio l’andatura che rappresenta Krishna col flauto (bansuri ghat). I passi si sviluppano in avanti, indietro, lateralmente, disegnando diagonali, facendo inoltre uso di giri e di vari elementi coreografici ulteriormente caratterizzanti.

L’importanza del giro, retaggio della danza Sufi

Di particolare rilevanza tecnica per la danza Kathak, componente scenografica di notevole bellezza, è il giro (chakkar), retaggio della danza Sufi.  Nell’eseguire il chakkar, l’interprete ruota sull’asse centrale battendo ritmicamente un piede a terra oppure, facendo perno sul tallone, completando un giro intero più e più volte, mentre le braccia si aprono e si chiudono favorendo così il moto circolare.

Rossella Fanelli esegue i giti chakkar

Una preghiera devozionale da inizio allo spettacolo

Lo spettacolo di Kathak inizia con una preghiera devozionale (Vandana) in cui si invoca la divinità, spesso il dio Ganesh, affinché rimuova gli ostacoli. La rappresentazione è caratterizzata inizialmente da piccoli movimenti, quasi impercettibili, degli occhi, delle sopracciglia, del collo, dei polsi, in un continuo crescendo che coinvolge via via tutto il corpo. I brani di danza pura  predominano su quelli di danza interpretativa, mettendo in evidenza il tecnicismo degli interpreti nell’esecuzione dei repertori coreografici basati non solo sugli episodi dell’epica indiana, ma anche prendendo spunto da tematiche più mondane  in cui regna il gusto per la bellezza e il sentimento d’amore.

La musica e gli strumenti musicali

La musica della danza Kathak segue lo stile hindustani, tipico dell’India settentrionale, con prevalenza dell’aspetto melodico. I canti sono influenzati sia dalla tradizione indù (kirtan,  pada e bhajan) sia dalla cultura islamica (tumri, dadra e gazal ).

I ritmi (tala) sono composti da strutture complesse di diversa natura e vengono scelti in base alla coreografia da mettere in scena, così ad ogni danza corrisponde un relativo ritmo che la identifica. 

L’orchestra è composta da: pakhavaj, tamburo in legno a due membrane; tabla, due piccoli tamburi a ciotola di diverse dimensioni;  sitar e sarangi, cordofoni importati dalla cultura islamica; bansuri, flauto di canna.

I cambiamenti dei costumi

I costumi della danza Kathak hanno subito un processo di trasformazione dovuto al passaggio e alla commistione tra elementi della  tradizione indù e quelli provenienti dalla cultura islamica. Nel  periodo indù l’uomo, a petto nudo, indossava semplicemente un dhoti, telo sistemato in vita a mo’ di pantalone, con accessori quali collane e bracciali, mentre la donna vestiva un sari  drappeggiato intorno al corpo, abbinato a un bolerino e arricchito da decorazioni quali fiori e gioielli. Con l’influenza musulmana l’abbigliamento si adegua allo sfarzo cortigiano per cui l’uomo indossa un paio di pantaloni stretti, una tunica svasata e, sulla testa, il tipico turbante.

La donna si copre, come per tradizione, facendo uso di una gonna lunga abbinata al pantalone e al bolerino con l’aggiunta del velo sulla testa che cade lungo il corpo. Elegantissimi i suoi ornamenti e gli accessori, tuttora in uso, che rendono evidente l’associazione della danza Kathak alla ricchezza e al lusso derivante dal gusto e dal  raffinatezza che caratterizzò l’epoca dei Moghul.

Fotografie di Maria Grazia Sarandrea

Info: scuolakathalitalia@gmail.com

(Facebook : Rosella Fanelli)

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Danzatrice, coreografa, docente, membro di AIRdanza. Ideatrice della Tribal, danza e tamburi e del Nataraja Yoga, una forma di yoga in danza, che insegna presso Movimento Danza e presso lo IALS. Conduce laboratori per danzatori e attori. Laureatasi in Discipline dello Spettacolo all’Università La Sapienza di Roma, collabora come docente con Enti di Formazione per le materie: Storia della Danza, Storia del Teatro e Antropologia della Danza. Curatrice di Festival e Rassegne di danza. Lavora come coreografa per il teatro e per la televisione.