Popoli Danzanti è un viaggio alla ricerca delle origini, delle simbologie, dei profondi significati che l’arte della danza esprime e comunica, generando bellezza, sensualità, amore, gioia, emozioni infinite. La rubrica racconta la storia dei popoli danzanti.

La danza Sufi

L’anima non è straniera nel corpo,

né è straniero il corpo stesso all’anima,

eppure a nessuno è dato di vedere quell’anima.

Celalu-din-Rumi

(dal prologo del Mesnevi)

Il Sufismo è un sentiero mistico nato all’interno della religione islamica, che focalizza il suo insegnamento sull’amore e la tolleranza. Il Sufi ricerca l’automiglioramento attraverso lo sviluppo dell’umiltà e  l’abbandono dell’ego, causa di sofferenza, per ricongiungersi con Dio e con l’Universo intero. La parola Sufi deriva dalla radice araba suf, lana, e si riferisce agli indumenti indossati dai mistici musulmani, che praticavano la rinuncia alla vanità del mondo.

 Le prime confraternite Sufi, tariqa, si svilupparono verso il XII e XIII secolo e presero il nome dai loro maestri fondatori. Le più note furono la confraternita Rifa’iyya e la Mevleviya. Queste comunità religiose svilupparono pratiche simili, introducendo elementi di musica e danza, attività guardate con sospetto dalla religione ortodossa. Ma, a sostegno delle loro attività, nacque, in questo periodo, una letteratura in turco e in arabo che sviluppava il tema della legalità della musica e della danza negli esercizi religiosi, il cui interprete principale fu al-Gazzali, giurista e teologo mistico. 

La pratica dei Sufi

La pratica dei Sufi comprende la recitazione, individuale o collettiva, del dhikr,  ripetizione o rievocazione del nome di Dio, un processo per entrare in una sorta di rapimento mistico, wajd, tramite la respirazione. Infatti questa recitazione mette in opera un’elaborata tecnica di respiro e di movimenti del corpo e delle membra, che consente di raggiungere uno stato di annientamento, fana, e di totale assorbimento in Dio.

Tutte le confraternite usano il dhikr ma con diverse modalità. Nel dhikr collettivo la recitazione si svolge sotto la guida di un maestro spirituale, sheyk, affiancato da uno o più cantori. I partecipanti, seduti in circolo intorno a lui, intonano preghiere e canti producendo uno stato di raccoglimento e di fervore musicale, mentre i corpi oscillano avanti e indietro.

Il crescendo viene interrotto da un segno del maestro, dopo il quale i partecipanti si alzano e sempre in circolo, tenendosi per mano o con le braccia incrociate, pronunciano la frase La ilaha illa ‘llah, non c’è altro dio all’infuori di Dio. Le parole sono in parte cantate e in parte urlate, mentre si accentuano i movimenti respiratori e i petti si alzano e si abbassano in un ansimare collettivo.

Questi suoni sordi, aspirati e vibranti, con il loro mistico potere, danno l’impressione di trascinare l’individuo oltre i confini della vita di ogni giorno. Lo sheyk dirige l’alternarsi dei canti e delle recitazioni e regola i ritmi e la velocità dei movimenti, che consistono in una sorta di ondeggiamento del busto in posizione seduta.  Al ritmo, sempre più veloce, segue improvvisamente il silenzio dell’estasi. Il Sufi adotta dunque una pratica ritmica, attraverso cui mette in moto l’intero meccanismo del corpo e della mente. La vibrazione ritmica è l’essenza di tutte le cose e ha il potere di trasmettere messaggi profondi.

Il pensatore e poeta Rumi

Il Sufismo raggiunse vette elevatissime con i mistici, filosofi ed artisti di notevole spessore. Mevlana Celalu’d-din Rumi vissuto nel XIII sec. in Anatolia -da qui il nome Rumi, l’anatolico- fu uno dei più grandi messaggeri di pace universale. Si racconta che un giorno, passando nel bazar, nella zona degli orafi, sentendo il martellare ritmico dei loro scalpelli, Rumi entrò in uno stato di rapimento mistico e cominciò a volteggiare liberamente e ininterrottamente per ore.

Fu questo il momento della sua liberazione-illuminazione.  Rumi fu un altissimo pensatore e poeta non solo per il mondo islamico. Nella sua opera è singolare il rispetto che esprime per la vita umana e per la libertà individuale. Tutti gli esseri sono degni di amore e di perdono; amare gli esseri umani significa amare Dio.

La sua opera più importante è Mesnevì che contiene consigli sull’amore e sulla virtù e numerosi racconti e parabole che illustrano i suoi insegnamenti. Rumi morì a Konya, in Turchia, il 17 Dicembre del 1273 ed ogni anno si festeggia questo giorno, officiando la cerimonia religiosa chiamata La notte del ricongiungimento, poiché era così che Rumi considerava la morte.

L’uso coreografico della danza vorticosa

Fu suo figlio, Sultan Veled a tramadare, attraverso numerose opere scritte, gli insegnamenti di Rumi e ad elaborare l’uso coreografico della danza vorticosa nella cerimonia della confraternita Mevleviya,  famosa ormai in tutto il mondo. Sultan Veled fece inoltre costruire il Mausoleo Mevlana a Konya, caratteristico per il minareto azzurro, dove giace la tomba di Rumi e dove ogni anno si svolge il rituale in suo onore.   

Il rituale Mevlevi, sema, celebra il ritorno alla propria radice divina, espressione della gioia cosmica, attraverso l’arte della musica, del canto e della danza. I Sufi considerano la musica come il cibo per l’anima, Giza-i Ruh.  Attraverso la musica si accende infatti il fuoco del cuore, che si esprime attraverso il vortice della danza, liberatoria ed estatica.   La maggior parte della cerimonia Sufi è cantata.

L’importanza del ney nell’Orchestra Sufi

Le parole dei poemi sono sempre connesse alle frasi musicali e la melodia non domina mai sulle parole, che hanno un significato profondo. Le canzoni sono scritte in versi e pronunciate come una litania. Nell’orchestra Sufi, un ruolo principale è assunto dal ney, flauto di canna a sette fori, di varie dimensioni, simbolo dell’esistenza umana. Il ney sprigiona il lamento del pezzo di canna estirpato dal letto del fiume in cui viveva, ad indicare l’uomo allontanato dalla sua radice divina e anelante al ricongiungimento con essa.

Tra gli altri strumenti musicali vi sono:  kudum, due piccoli timpani in cuoio ricoperti di pelle di capra, suonati con bacchette dal suono profondo; halile, piatti in rame; tef, tamburello con sonagli; kanun, strumento a corde orizzontali; kemençe, viella a tre corde pizzicata; keman, violino di tipo occidentale; tambur, liuto ad 8 corde accoppiate; ut, liuto con sei paia di corde; rebab, antico violino orientale con il manico lungo e corde metalliche.

La danza Sufi o danza dei Dervisci

La danza Sufi è anche conosciuta come danza dei Dervisci. Il termine deriva dal persiano darwish che letteralmente significa sulla soglia della porta, per indicare simbolicamente il Sufi che si trova sulla soglia che divide il mondo terrestre da quello celeste. La radice devr  significa anche rotazione, elemento caratteristico della danza. Attraverso il respiro, il suono, il giro ininterrottto, il Sufi diventa un tutt’uno con l’esistenza, ricercando l’armonia e facendo cadere il proprio ego, nufs, fonte di disarmonia cosmica.

Tutto nell’universo manifesta armonia come l’avvicendarsi delle stagioni e la notte che segue il giorno,  in un ritmo costante e sempre presente, che bisogna ritrovare e onorare attraverso musica, canto e danza.

Le cerimonie dei Sufi si svolgono nel tekke, Casa dei suoni celesti. Il suono è, come il respiro, uno dei canali privilegiati per la ricerca mistica. Il rito ha inizio con l’ingresso dei partecipanti, i semazen,  nella sala, seguiti dallo seyk, il maestro spirituale. Il cantante intona una litania, costituita da alcuni passi del Corano, a cui si unisce un’improvvisazione del flauto. In questo momento i partecipanti, in cerchio, ascoltano in concentrazione. Poi, camminando in cerchio, completano tre giri intorno alla stanza salutandosi e inchinandosi l’uno verso l’altro, accompagnati da una musica strumentale, caratterizzata da lunghi moduli ritmici.

I partecipanti infine si inchinano e lasciano cadere dalle spalle i mantelli neri. Inizia un’improvvisazione del ney che avvia la seconda parte della cerimonia, all’interno della quale i semazen iniziano la danza vorticosa. La danza è il mezzo più naturale per esprimere emozioni, è la reazione più spontanea alla musica. Nel girare, tutte le forme intorno perdono nitidezza e si amalgamano fino a scomparire.

Il significato degli abiti

Ogni parte della cerimonia ha un significato profondo: i neri mantelli, chiamati thirqua, di cui i partecipanti si liberano prima della danza,  indicano la morte e l’oscurità, la gonna bianca con cui danzano, tennure, è simbolo di purezza, i copricapi a forma di cono, sikke, rappresentano la pietra tombale dell’ego. Le braccia, incrociate inizialmente davanti al petto, si aprono verso l’alto. Il palmo della mano destra è rivolto verso il cielo e il palmo della mano sinistra verso la terra. Girando, il corpo diventa un canale di passaggio tra la sfera divina e quella terrena, si perdono le coordinate spazio-temporali e si  sviluppa uno stato alterato di coscienza. I danzatori girano intorno a se stessi ma nello stesso tempo intorno al maestro che, durante la cerimonia si trova al centro della sala, rappresentando così una sfera cosmica dove simbolici pianeti girano intorno al sole. Questa danza vorticosa, dal carattere astrale, è la forma più pura di abbandono alla danza ed è espressione dell’estasi mistica.  Nella parte conclusiva della cerimonia, il ritmo diviene più lento e riporta la calma. Lo sheyk si siede dunque sul suo tappeto rosso e tutti i semazen si siedono e vengono coperti dai neri mantelli precedentemente abbandonati. Durante l’improvvisazione del ney, il maestro recita parti del Corano per concludere con la parola Hu, che significa Dio, ma che rappresenta lo spirito di tutti i suoni e di tutte le parole. L’intero gruppo ripete dunque la parola Hu e quando lo sheyk lascia la sala, la cerimonia ha termine.

Il Derviscio del cuore

Nel Kurdistan esiste la nozione di Derviscio del cuore: essere Sufi non è un fatto formale ma un’esperienza di ricerca e di purificazione interiore, di silenzio, di unione con la propria essenza spirituale. E’ un mettere al centro della propria esistenza il cuore e l’amore per sé e per il cosmo intero.

La danza è una forma di liberazione e di totale abbandono. Un perdere se stessi nell’unione col divino che tutto avvolge. Danzare è il mezzo privilegiato per partecipare alla vita cosmica con l’energia del ritmo, attraverso i gesti simbolici nel movimento. La via del Sufi è un percorso di ricerca di unità, di pace e gioia, di amore.

L’ordine dei Mevlevi, forse il più conosciuto in Occidente, ha ispirato e continua a ispirare numerosi danzatori e coreografi tra cui ricordiamo il famoso Ted Shawn, capostipite della Modern Dance americana, che compose e rappresentò nel 1929 Mevlevi Dervish.

La danza dei dervisci rotanti è stata dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, come forma di arte e spiritualità insieme. Il corpo e l’anima unite nella danza.  

Testo e foto di Maria Grazia Sarandrea

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Danzatrice, coreografa, docente, membro di AIRdanza. Ideatrice della Tribal, danza e tamburi e del Nataraja Yoga, una forma di yoga in danza, che insegna presso Movimento Danza e presso lo IALS. Conduce laboratori per danzatori e attori. Laureatasi in Discipline dello Spettacolo all’Università La Sapienza di Roma, collabora come docente con Enti di Formazione per le materie: Storia della Danza, Storia del Teatro e Antropologia della Danza. Curatrice di Festival e Rassegne di danza. Lavora come coreografa per il teatro e per la televisione.