Una voce naturale, color del miele, duttile quanto salda per un’intonazione che sfida e quasi “danza” fra stili, registri e timbri diversissimi, tesi in cortocircuito fra le meraviglie del primo Barocco e il disincanto della nostra contemporaneità.

È sorprendente come la versatilità di Vincenzo Capezzuto, danzatore salernitano fra i più talentuosi della Scuola e poi del Corpo di Ballo del Teatro San Carlo, oggi trentaquattrenne e free lance residente a Bologna, lo abbia già da alcuni anni portato con successo a cantare inaugurando un’originale formula vocale “overcross”, in grado di passare con assoluta disinvoltura dal sopranile Lamento della Ninfa di Ottavio Rinuccini, sulle note d’incanto firmate Monteverdi, alle canzoni “cult” di Mina, dalle monodie seicentesche di Barbara Strozzi ai canti del folklore napoletano e veneziano, cercando e creando un link segreto fra la matrice di quei suoni antichi e la tinta suadente, ad esempio, di un moderno sax ma, soprattutto, reinventando nuove relazioni e suggestioni fra testo e partitura. «Il “Lamento della Ninfa” – spiega Vincenzo – per me è “teatro puro”. Un capolavoro del Seicento in cui il personaggio femminile è talmente umano, carico di sentimenti contrastanti, da venir fuori in maniera chiara e potente. La musica insieme alla parola raggiunge livelli di drammaturgia incredibile, proprio come quando il corpo attraverso la danza e la musica racconta la pazzia di Giselle oppure la morte del cigno».

Con un tale, vertiginoso ma già ben rodato “volo” ideato e messo a punto con Claudio Borgianni (al pari di “Who’s afraid of baroque?”) entro il progetto nato due anni fa dal titolo “Soqquadro Italiano”, ha già raccolto ovunque consensi. Trionfale il suo recente debutto all’Oratorio capitolino del Gonfalone così come annunciati si rivelano i successi dei suoi prossimi impegni: il 22 marzo a Torino, in Palazzo Barolo, il giorno 24 al Palazzo Chiaromonte di Steri (Palermo) per l’Associazione di Musica Antica “Antonio Il Verso” e il 25 aprile in Serbia, tutti con Soqquadro Italiano; a maggio sarà invece in Belgio e in Germania con L’Arpeggiata, poi a Carpi nuovamente con il progetto “Da Monteverdi a Mina” e chiudere con un breve tour in Cina.

La storia di Vincenzo? Inizia a Napoli, vent’anni fa: lo ricordiamo bene quando ancora adolescente, scelto fra i migliori allievi della Scuola di Ballo del Lirico dall’attuale direttrice Anna Razzi, piroettava distinguendosi per il suo non comune scatto ritmico sul grande palcoscenico del San Carlo in “Tracce di luci nell’aria” di Joseph Fontano, in locandina per i più giovani. Poi nel 1997, a diciassette anni, il diploma e, a breve, il salto in stagione ottenendo un ruolo da solista nel donizettiano “Te voglio bene assaje” di Roberto De Simone e Luciano Cannito. A seguire, l’ingresso a tempo indeterminato nella Compagnia di Balletto del San Carlo eccellendo in Bournonville come in Petit, in Balanchine come in Forsythe. «Gli anni del Teatro – dichiara in merito il danzatore e cantante – sono stati formativi e sorprendenti soprattutto perché si aveva la fortuna di entrare in contatto con grandissime personalità artistiche quali Roberto De Simone, Rudolf Nureyev, Vittoria Ottolenghi. Personaggi che hanno segnato la mia vita, sia a livello umano che professionale».

Quindi, il coraggio di lasciare quel contratto sicuro per il salto nella libera professione, entrando in Compagnie quali l’Aterballetto di Mauro Bigonzetti, l’English National Ballet, la MMcompany di Michele Merola e il Ballet Argentino di Julio Bocca, o partecipando ai galà della scaligera Alessandra Ferri. Ma come nasce il doppio percorso in bilico fra il corpo e la voce, la danza e la sua nuova forma di canto?

Da piccolo – racconta Vincenzo – ero molto affascinato dalla musica. Era probabilmente qualcosa di intimo e viscerale. Riuscivo ad esternare le emozioni che la musica mi provocava attraverso la danza e il canto. Era come se fosse il linguaggio, per me, più naturale per comunicare, quasi più della parola. Decisi quindi istintivamente di approfondire, per prima cosa, la danza ben sapendo che il rigore, la conoscenza profonda del mio corpo attraverso la musica, mi avrebbe permesso con il tempo di prendere coscienza anche della mia voce, potendo poi trasmettere al canto l’esperienza artistica fin lì accumulata. Moltissime persone, in Teatro, mi dicevano intanto che avevo una voce “rara”, “indefinibile”, “naturalmente intonata” e dall’“emissione naturale”. Capivo chiaramente che la natura aveva fatto molto e che bisognava approfondire la conoscenza dello strumento senza troppi artifici, ma con intelligenza e attenzione. Il passaggio dalla danza al canto sarebbe stata un’evoluzione naturale. Oggi? Ritengo che la musica non possa prescindere dalla danza. L’una si rigenera nell’altra, sono complementari e indivisibili». Poi, la possibilità di utilizzare entrambe le arti in scena… «Il coreografo Fabrizio Monteverde, nel suo Barmoon/the cage al San Carlo – prosegue – volle farmi cantare. Mi aveva forse ascoltato mentre lo facevo tra i corridoi del Teatro. Fu lì che compresi quanto sarebbe arrivato presto il giorno di quell’evoluzione.

(foto di Elio Fedele)
Vincenzo Capezzuto (foto di Elio Fedele)
Vincenzo-Capezzuto in "Fandango"
Vincenzo Capezzuto in “Fandango” (foto di Elio Fedele)

A scommettere sulla sua voce – a Napoli “rodata” in anteprima nell’anno 2000 cantando il Weill di Ute Lemper nel Centro di Pasquale della Monaco, alle Rampe Pizzofalcone – sarebbe poi stata Christina Pluhar, liutista, arpista straordinaria e direttrice artistica dell’ensemble “L’Arpeggiata”.

L’incontro con la Pluhar, – confessa – è stato assolutamente determinante. In quattro anni ne sono nati 4 dischi per la Emi/Virgin Classics, quindi le esibizioni alla Carnegie Hall di New York, alla Wigmore Hall di Londra, al BBCProms di Londra, al Teatro du Chatelet di Parigi e il recente esordio all’Argentina di Roma.

Nel 2011 nasce infine Soqquadro Italiano, un progetto artistico nato dal comune interesse di Vincenzo Capezzuto e di Claudio Borgianni per la produzione artistica, musicale e teatrale a cavallo tra il XVI e XVII secolo. Ogni progetto di Soqquadro è sviluppato sul confronto-interazione fra i diversi linguaggi artistici. Ecco perché il repertorio musicale spazia dalla musica antica al jazz, dalle tradizionali al pop. D’altra parte, Soqquadro significa scompiglio… «È infatti un modo per rileggere il Cinque e il Seicento musical-teatrale – spiega l’artista – sovvertendone in formule di contaminazione le regole di stile e di genere».

Infine già sul mercato nel mondo, e d’imminente uscita anche in Italia, è la sua ultimissima produzione, sul mix delle due arti: «Dopo “Gondola”, il music-book della scrittrice americana Donna Leon con cd allegato in cui interpreto le arie da battello arrangiate dal violinista Riccardo Minasi con l’ensemble barocco il “Pomo d’oro” più Cecilia Bartoli special guest, da pochi giorni è in vendita – annuncia – il mio quarto disco con “L’Arpeggiata”. S’intitola “Music for a while”, con primo piano sul massimo esponente del Barocco inglese, Henry Purcell. È qui che canto al fianco di grandissimi musicisti quali il jazzista Gianluigi Trovesi, il chitarrista Wolfgang Muthspiel, il cornettista barocco Doron Sherwin, il controtenore Philippe Jaroussky col quale duetto nell’aria, dall’Ode a Santa Cecilia, “In vain the am’rous flute”. Un’esperienza particolare ed emozionante che crea cose meravigliose, grazie alla generosità della musica come del canto».

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