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L’uso del termine “schema” nell’ambito della descrizione e della pratica della danza nell’antica Grecia

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Nella Grecia antica la comunicazione era affidata quasi esclusivamente alla dimensione visuale e orale. Con un tasso di alfabetizzazione non certamente paragonabile a quello di oggi, gran parte del messaggio che si intendeva diffondere era affidato all’immagine alla cui dimensione visiva si affiancava spesso la dimensione orale. Ancora più significativa, la dimensione contestuale che svolgeva un ruolo cospicuo orientandone la lettura. Eikōn, media per eccellenza, l’immagine era onnipresente e giocava un ruolo importante in una comunicazione la cui centralità è testimoniata tanto da fonti scritte quanto da quelle figurative. Una dimensione visuale così rilevante era immancabilmente pervasiva e coinvolgeva tutti gli ambiti della vita di un cittadino: a cominciare dalle immagini da cui era circondato ogni giorno, presenti nei riti civili e religiosi, negli spettacoli e nello stesso comportamento adottato pubblicamente in città. Conseguenza di tali premesse era la necessità di un vocabolario iconografico e gestuale il meno ambiguo possibile, cristallizzato e largamente condiviso, indispensabile alle pratiche socioculturali. Stabilmente e senza ambiguità, alcuni valori, funzioni o identità erano associati a schemi iconografici: la rappresentazione di Apollo o di Atena, quella del buon cittadino o del viandante, della virtù guerresca o della dedizione familiare, schemi che potevano funzionare ed essere efficaci solo in presenza di un pubblico che condividesse con la committenza un vocabolario di gesti e schemi iconografici altamente cristallizzati ed largamente riconosciuti. Gli schemata erano le singole configurazioni che costituivano il vocabolario gestuale e gli schemi iconografici utilizzati per rappresentarlo. Condivisi da tutte le arti mimetiche, danza, poesia, pittura e scultura, gli schemata si configuravano come strumenti trasversali ai diversi media, segmenti semantici in grado di garantirne  la comunicazione. Nel IV secolo in Grecia un’opera figurativa, scultura e pittura comprese, era lodevole quando si avvicinava il più possibile al vero. I mimetai, poeti, pittori, scultori, danzatori e auleti, erano lodati per le loro capacità di far apparire vero ciò che invece era stato appreso e preparato artificialmente; la verosimiglianza era garanzia di qualità artistica. Nel Simposio senofonteo a un certo punto il Siracusano decide di offrire a Socrate lo spettacolo di Dionisio e Arianna in risposta alle critiche del filosofo. I due giovani danzatori eseguono una serie di schemata di baci e abbracci in modo così naturale, realistico, che sembrano veramente due innamorati. La finzione è così vicina al vero che ha sugli spettatori un effetto eccitante tale da far desiderare di prender moglie a chi non l’aveva e di correre dalla propria donna a chi ce l’aveva già. Il racconto costruito intorno all’ambiguità fra rappresentazione e realtà affronta molto esplicitamente il rapporto fra l’arte mimetica della danza, e la realtà. Anche altri due fili corrono lungo il racconto senofonteo: il grande amore di Socrate per la danza e l’assimilazione di essa alle altre arti mimetiche. In apertura dello spettacolo del simposio una danzatrice molto brava esegue una danza acrobatica saltando dentro e fuori dal cerchio pieno di spade. Il pensiero di Socrate va subito all’ all’ammaestramento di un valore da parte della giovane donna che è appunto il coraggio. Socrate amava la danza, sia come buon esercizio per il corpo che come mezzo educativo. Egli, tuttavia, durante il simposio aveva criticato alcune danze acrobatiche che, seppur a suo avviso ammirevoli, gli sembravano però fuori luogo: “ … se danzassero al suono del flauto gli schemata nei quali vengono dipinte le Cariti o le Ore o Le Ninfe, credo che sarebbe di gran lunga meglio per loro e il simposio sarebbe molto più piacevole” . Le parole di Socrate ci mettono davanti all’assoluta e aproblematica assimilazione di pittura e danza fondata su un elemento che le due arti hanno in comune: l’uso che esse fanno degli schemata al fine di imitare caratteri. E’ proprio grazie agli schemata, mezzi di realizzazione della mimesi, che la danza poté entrare in competizione con l’arte della parola. Su quest’ultima però la danza ha un vantaggio quello di adattare i personaggi all’azione e cioè il movimento, la pittura e la scultura invece si pongono sul versante dell’immobilità. Il concetto di restare “nello stesso schema come un’immagine dipinta” era già stato utilizzato da Aristofane a significare l’incapacità di adattamento alle situazioni. Al parallelo fra le figure dipinte, che si pongono sul versante dell’immobilità, e i corpi in movimento pieni di vita, ricorre Alcidamante per mettere a confronto il discorso scritto da quello estemporaneo. Plutarco nelle Quaestiones Convivales volendo spiegare lo schema nella danza ricorre allo schema in pittura: “…quel momento cioè in cui i danzatori, disponendo il loro corpo nello schema di Apollo o Pan o una Baccante, rimangono in quella posizione come se fossero dipinti”. La forte contaminazione fra le arti mimetiche e in particolare la spola di schemata fra pittura e danza ha permesso la cristallizzazione di un vocabolario di formule iconografiche valide nella lettura delle immagini dipinte, scolpite, danzate, rappresentate in teatro o eseguite da un uomo pubblico in città. E’ importante non trascurare un dato molto indicativo e cioè che gli ethe e i pathe associati a determinati schemata (e viceversa schemata che comunicano determinati ethe e pathe) possono mutare nel tempo, col mutare dei valori, dell’educazione, dell’etichetta e della moda. Nell’uso moderno, infatti, lo schema iconografico si pone principalmente sul versante dell’osservatore, di colui cioè che legge l’immagine e ne decritta l’iconografia, il termine antico invece presenta una densità che il termine moderno non ha mai conosciuto. Nel V e IV secolo ma anche nei testi del II secolo dopo Cristo, il termine schema conserva sempre il suo legame con la vita reale; in esso continua a essere attivo il livello di significato pertinente ad ambiti di apparenza in pubblico e di etichetta. Schema conserva la sua natura di mezzo tecnico nell’ arte della pittura e della scultura, opera fortemente il suo legame con la danza ma soprattutto schema continua a condensare il legame forte fra questi diversi ambiti di significato.

Fabiola Pasqualitto

(continua)

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Articolo tratto da “Gli schemata nel teatro classico e nella Commedia dell’Arte”, di Fabiola Pasqualitto ( Tesi di LM in Drammaturgie dello Spettacolo, Università “La Sapienza” di Roma)

Bibliografia di riferimento

M.L. Catoni, Schemata. Comunicazione non verbale nell’antica Grecia, Scuola     Nazionale Superiore di Pisa, 2005.

  1. Ahlberg Cornell, Prothesis and ekphorain Greek geometric art, Aström edition, 1971.
  2. Blasis, Trattato dell’Arte della danza – Edizione critica a cura di Flavia Pappacena, Gremesi Editore, Roma 2008.
  3. Ripa, Iconologia, (prima edizione, senza illustrazioni). Dal 1603 (edizioni con illustrazioni), Roma 1593.
  4. Mariti, Transiti tra Teatro e scienza, dalla mimesis tou biou al bios della mimesis, in AA.VV., Dialoghi tra teatro e neuroscienze, Edizione Allegre, Roma 2009.
  5. Guatterini, L’ABC del Balletto, Arnoldo Mondadori, 1998.

 

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Giornalista e critica di danza, danzatrice, coreografa, docente di materie pratiche e teoriche della danza, docente di Lettere e Discipline Audiovisive. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo e specializzata in Saperi e Tecniche dello Spettacolo all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Dal 1990 è direttore artistico e insegnante del Centro Studi Danza Ceccano e curatrice del ”Premio Ceccano Danza". E’ inoltre direttrice e coreografa della CREATIVE Contemporary Dance Company.