“Ho avuto la fortuna di calcare tutti i palcoscenici dei teatri e degli studi tv più importanti”. Sergio Cunto parla di fortuna, che è una componente fondamentale nella vita e nella carriera di ciascuno. Ma non è tutto. Per costruire un percorso professionale come il suo, infatti, oltre ad una serie di incontri e di circostanze favorevoli, sono necessari in quest’ordine talento, studio e tenacia. Con il talento si nasce, con lo studio si cresce e con la tenacia si resiste. Rimettendosi in gioco ad ogni provino. E’ così che Sergio da più o meno vent’anni ha potuto collezionare una serie di esperienze che tutti coloro che sognano di fare il suo mestiere vorrebbero vivere: ha ballato in tutti i programmi tv e in tutti i musical di successo degli ultimi anni, ha lavorato con i grandi nomi della coreografia, ha condiviso il palcoscenico con Raffaella Carrà, Heather Parisi, Lorella Cuccarini. E pensare che tutto è cominciato in un piccolo teatro di Caserta, dove Sergio mi dà appuntamento per la nostra intervista. “Sono legatissimo al Teatro Izzo, gestito dalla mia famiglia, perché è qui che ho esordito da ragazzino. Lo spettacolo si chiamava “Carnevalissimo” ed io ancora non studiavo danza. Era il periodo in cui, tra i nove ed i dieci anni, mi dedicavo alla breakdance da autodidatta”.

Quando hai cominciato a studiare?

Ad undici anni. Fui io a chiedere a mio padre di portarmi in una scuola di danza. A differenza di altri ho iniziato con la danza moderna e solo successivamente mi sono avvicinato al classico, che mi ha rapito completamente.

Come sei arrivato in televisione?

Nel ‘96 Stefano Forti, il coreografo di Raffaella Carrà, girava le scuole di danza italiane per scegliere gli allievi più meritevoli, i quali avrebbero poi formato il corpo di ballo di “Carràmba! Che sorpresa”. Cominciai con una puntata, a cui ne seguirono altre dieci. L’anno successivo mi riconfermarono e mi fecero firmare il mio primo contratto da professionista. Di questa trasmissione ho ancor oggi dei ricordi nitidissimi, a partire dal momento in cui vidi per la prima volta la Carrà, una grande professionista da cui non si può che imparare. Fu una sorta di apparizione: lei indossava un vestito bianco ed era di una bellezza sconvolgente. Ma è indelebile anche “Il ballo del mattone” con Rita Pavone, con cui ho lavorato anni dopo in teatro.

Immaginiamo che invece che nel ’96 dovessi muovere i primi passi per diventare ballerino professionista nel 2017…

Bisogna incoraggiare i giovani, sempre. Però ammetto che per chi comincia oggi è dura. Al punto che credo che forse io, se avessi dovuto iniziare oggi questo lavoro, avrei intrapreso un’altra strada che mi piaceva: sarei andato a lavorare in banca. Lo dico perché prima c’era tanto lavoro, in un mese potevano esserci anche dieci provini tra tv e teatro. Per questo, anche se un’audizione ti andava male, non ti scoraggiavi ma aspettavi la successiva. L’occasione c’era per tutti e se eri bravo ti era permesso di costruirti una carriera. Ma oggi non è più così, la crisi ha colpito la tv, la danza classica, i musical. Il lavoro si è ridotto notevolmente. Molti miei colleghi per sbarcare il lunario vanno a lavorare nelle discoteche o nei villaggi, o perfino nei ristoranti come camerieri, perché non si può pagare l’affitto a Roma con un solo lavoro all’anno. Nonostante ciò, voglio dire ai ragazzi che devono crederci. Soprattutto, voglio dire loro che bisogna essere umili, rimanere con i piedi per terra e non pensare mai di essere arrivati.

Dopo le prime due edizioni di “Carràmba! Che sorpresa” hai lavorato con Franco Miseria.

La trasmissione si chiamava “Scopriamo le carte” ed era presentata da Jerry Scotti e Natalia Estrada. Franco è eccezionale, pagherei per lavorare di nuovo con lui. Ne conservo un ricordo meraviglioso. Lui arrivava sempre con il suo autista, creava le sue coreografie e durante la puntata non si separava mai da una pallina scacciapensieri, che per lui era un antistress.

Subito dopo hai iniziato a lavorare con Roberto Croce.

Con lui la mia carriera ha spiccato il volo. Insieme a Roberto ho lavorato sia in tv, come in “Per tutta la vita”, che in teatro, come in “May fair lady”. Ricordo anche una trasmissione bellissima dedicata ai musical che si chiamava “Garda…che musical”, che andava appunto in diretta dal lago di Garda. In quell’occasione ebbi il ruolo di primo ballerino, avevo trent’anni. Con Croce c’è stata una vera crescita professionale, a lui tengo tanto. Ma un’altra persona a cui sono particolarmente grato è il mio primo insegnante di danza moderna a Roma, Stefano Vagnoli. A “Carràmba! Che sorpresa” era l’assistente di Stefano Forti ed ha creduto sempre in me, mi diceva che rivedeva se stesso nella mia energia e voglia di arrivare.

Come dicevi, con Roberto Croce hai lavorato anche in teatro, con la regia di Massimo Romeo Piparo.

Esatto, Piparo mi ha diretto sia in “My fair lady” che in “Jesus Christ Superstar”. L’audizione per “My fair lady” l’ho sostenuta nel 2000 e dopo seppi che mi scelsero perché oltre ad avere una buona base classica sapevo ballare il valzer. Ricordo che al provino portai “Aggiungi un posto al tavola” perché al pianoforte ci accompagnava Gianluca Guidi, il figlio di Johnny Dorelli. Non sono un cantante ma sono intonato. Tuttavia ero imbarazzato e sul finale del pezzo feci un inchino e dissi un sonoro “Grazie”. Pensavo di aver fatto una figuraccia, e invece da quel momento Massimo Romeo Piparo cominciò a nutrire simpatia per me ed ebbe inizio una lunga e bella collaborazione.  Dei tanti musical a cui ho preso parte, però, il più emozionante di tutti rimane “Jesus Christ Superstar”. Ripercorrere la vita di Cristo è stato straordinario. Inoltre, io ho avuto la fortuna di prender parte in “Garda…che musical” all’ultima replica televisiva.

Tra gli incontri della tua carriera c’è anche quello con Don Lurio. Hai qualche aneddoto da condividere con noi?

Don Lurio è stato immenso, lo considero il non plus ultra dei coreografi. Con lui ho lavorato al Salone Margherita. Ricordo che fumava tantissimo e mi faceva sorridere perché non ricordava i nomi di nessuno. Sentendo l’accento campano mi chiamava Napoli, mentre i miei colleghi romani e milanesi per lui erano Roma e Milano. Mi dispiace che ai suoi funerali non l’abbiano omaggiato come avrebbe meritato. Dobbiamo essere riconoscenti verso i grandi come lui.

Con Gino Landi, invece, com’è andata?

Con il maestro Landi ho iniziato a lavorare attraverso due serate al Live Café di Roma, un locale famosissimo che ha sempre collaborato con i ballerini e per il quale lui ricopriva l’incarico di supervisore. Poi ci siamo incontrati di nuovo nel 2011, un anno in cui il maestro era impegnato con ben sei lavori e perciò aveva bisogno di tantissimi ballerini. Io mi presentai al provino per la trasmissione “Centocinquanta” di Pippo Baudo, ma alla fine della selezione Landi disse: “Ragazzi, siete tutti bravi, ma per il programma ho già i danzatori. Mi piacerebbe che voi veniste con me a fare una vacanza negli Emirati Arabi”. E così, dopo tre mesi di prove a Roma, partimmo tutti alla volta di questo Paese, dove al maestro era stato commissionato uno spettacolo che doveva ripercorrere la storia del Qatar. E in effetti fu davvero una vacanza! Il maestro Gino portò con sé tutta la squadra del Sistina per mettere in piedi un capolavoro. Il teatro era sulla spiaggia, come sfondo avevamo l’oceano indiano. Abbiamo lavorato per ventuno giorni, lo spettacolo durava 50 minuti. Fu un’esperienza bellissima.

Sei stato anche nel corpo di ballo di “Stasera pago io” di Fiorello, un grande show con le coreografie di Moses Pendleton.

Pendleton è una persona incredibilmente carismatica, un genio assoluto. Lavorare con lui non fa solo curriculum ma ti segna davvero. Chiaramente il papà dei Momix ha una visione teatrale della danza, e io ho lavorato con lui in un contesto televisivo. Ricordo che Fiorello dopo qualche puntata sottolineò al pubblico, con la sua enorme simpatia, che noi ballerini esistevamo! Lo disse perché in realtà eravamo sempre coperti o nascosti: le coreografie prevedevano a volte che ballassimo dietro ombrelli, altre volte che indossassimo tutine che ci camuffavano.

C’è, invece, un coreografo con cui avresti voluto lavorare ma non c’è stata l’occasione?

Sì, è Enzo Paolo Turchi, che reputo un grande della danza. L’ho incontrato in diverse occasioni negli studi tv ma purtroppo i nostri impegni professionali non coincidevano.

E’ recente il tuo passaggio da danzatore ad assistente coreografo, avvenuto con “Il divorzio dei Compromessi Sposi” di Carlo Buccirosso.

Un passaggio reso possibile grazie a Rita Pivano, che ho conosciuto nel ’98, quando era assistente di Franco Miseria. Oggi lei firma le coreografie dei musical di Lorella Cuccarini. Mi ha chiamato due anni fa perché aveva bisogno di un assistente per il musical di Buccirosso e, avendo lavorato insieme sia in teatro che in tv, mi stimava professionalmente. E’ stata un’esperienza bellissima, che spero di ripetere il prima possibile. In realtà non ho mai ambito a diventare coreografo, ma vorrei continuare questo percorso come assistente.

Veniamo al tuo prossimo impegno: dal 28 aprile sarai di nuovo su Rai Uno per “I migliori anni” di Carlo Conti, con le coreografie di Fabrizio Mainini.

Sono passati dieci anni da quando ho iniziato a ballare in questo programma. Era il 2007, avevo 33 anni, e avevo già lavorato con Conti nella trasmissione “I fuoriclasse”. Ho cominciato nel momento in cui ero nel periodo migliore della mia forma come danzatore. Sono particolarmente legato a questo show per varie ragioni. Anzitutto perché ho potuto lavorare con Mainini, che ho sempre stimato prima come ballerino e poi come coreografo, e poi perché mi ha dato modo di immergermi nella danza a 360 gradi grazie ai numerosi stili in cui siamo chiamati a cimentarci una puntata dopo l’altra, dal tango al funky, dal moderno al latino. Inoltre, mi ha permesso di danzare accompagnato dalla voce di big della musica. Nel tempo la formula della trasmissione si è modificata, e da ormai qualche edizione io sono il capogruppo degli anni Sessanta.

Hai un sogno professionale ancora da realizzare?

Devo dire che sono molto appagato. Sono partito da ragazzino da Caserta e ho pensato sempre e solo a lavorare sodo. Sono contento di quello che ho fatto, perfino delle situazioni dove si son chiuse delle porte perché, poi, si sono aperti dei portoni.

Angela Lonardo

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