Irene Fiordilino
Irene Fiordilino in Self-portrait in Yellow Shades

YORKSHIRE – Irene Fiordilino è una giovane e promettente danzatrice di origini siciliane.

Laureata presso il Trinity Laban (coreografia MFA, 2018) e l’Accademia Nazionale di Danza di Roma (BA Contemporary Dance and Choreography, 2016), Irene Fiordilino è ora una dottoranda presso il Trinity Laban. La sua ricerca indaga le connessioni che vi sono fra coreografia e architettura, con un approccio peculiare verso i media e le nuove forme di performance partecipative.

Irene Fiordilino ha presentato il proprio lavoro a livello internazionale, partecipando come insegnante e coreografa a numerosi festival (Europa, India) e collaborando con artisti come Virna Koutla (architetto), Ronita Mookerji (ballerina e coreografa), Cristopher Hussey (compositore) e molti altri.

Fra i suoi successi più recenti, il suo assolo Self-portarit in Yellow Shades ha ricevuto il premio Anghiari Dance Hub nell’ambito del Festival Presente Futuro (Palermo, Italia, 2019) e il premio Residanza 2018 all’omonimo concorso coreografico promosso da Movimento Danza. Come interprete, la Fiordilino ha avuto l’occasione di lavorare con coreografi come Simona Argentieri, Tony Thatcher, Adriana Borriello, Michele di Stefano e Stian Danielsen che hanno arricchito positivamente il suo percorso artistico.

L’abbiamo raggiunta telefonicamente.

Prima di tutto come sta? Si trova in Italia o a Londra in questo momento?

Sto bene, grazie. Al momento mi trovo in Yorkshire, Londra sarebbe stata invivibile durante il lockdown.

Sappiamo che sta frequentando il dottorato presso il Trinity Laban di Londra, come sta procedendo?

Si, vivo stabilmente a Londra da quasi quattro anni. Tutte le attività didattiche, per dottorandi ma anche per i laureandi, sono state spostate online. Ovviamente, il percorso del dottorato consiste nello sviluppare un progetto di ricerca, in tre anni, che è pratico e teorico. Purtroppo il progetto pratico, che stavo sviluppando con un gruppo di danzatori, è stato temporaneamente sospeso. Non è possibile continuarlo in questa situazione, quindi lo ho posticipato all’anno prossimo.

Ciononostante, non sono ferma in queste settimane. Sto lavorando ad un film di danza che sto realizzando in casa insieme al mio patner. Abbiamo costruito un set mobile che richiami l’architettura surreale di una casa. Si tratta di un progetto che ha comunque a che fare con il mio percorso di dottorato, poichè nella ricerca che svolgo al Trinity Laban rintraccio le connessioni che ci sono fra coreografia e architettura.

Connessioni che sono presenti anche in suoi spettacoli come Self-portrait in Yellow Shades, in cui dominano i colori primari giallo e blu.

Si, ho sempre adottato un approccio interdisciplinare. Nelle mie coreografie, prendo tanto dall’arte visiva e dalla musica. Ogni forma d’arte può diventare fonte d’ispirazione. Mi diverte molto cercare connessioni fra la danza e altre forme d’arte. Soprattutto è interessante scoprire cosa coglie lo spettatore: ognuno nota un qualcosa di diverso pur osservando la medesima performance.

Come ha affrontato il lockdown il mondo della danza inglese?

Credo che l’idea che sta emergendo al momento, e che accomuna Italia e Inghilterra, sia di spostare la danza sullo schermo. Ci sono diversi modi in cui ciò sta avvenendo, prima di tutto condividere col pubblico la documentazione di vecchi spettacoli. Per cui i teatri, come in Italia, stanno diffondendo i propri archivi video di spettacoli realizzati in passato.

Poi, ovviamente, sono numerosi i danzatori, coreografi, insegnanti che si stanno lanciando nella creazione di video casalinghi. È un processo interessante, che rivela molta inventiva. D’altro canto, dimostra quanto sia facile produrre un contenuto e pubblicarlo, al di là della qualità, per cui c’è anche un eccessiva produzione al momento. È molto forte la volontà di dimostrare che il Covid non ci ha fermati, dimostrarlo a noi stessi ma soprattutto agli altri. Per cui il web è invaso di questi brevi video fatti in casa; è un fenomeno comune, ho notato, sia fra i miei contatti inglesi che fra quelli italiani. È anche un modo per dire: noi ci siamo, siamo pronti per quando tutto ricomincerà.

In Italia, a tal proposito, c’era stata la proposta del Ministro Franceschini di creare una piattaforma streaming della danza. La proposta ha diviso l’opinione pubblica fra sostenitori e oppositori. Lei che ne pensa?

Dipende. È il motivo per cui critico i video di prima: anche quelli più interessanti, lasciano il tempo che trovano. Cioè la danza per lo streaming nasce appositamente per il video. Poi c’è la danza concepita per essere fruita dal vivo e che è stata ripresa come documentazione e creazione di archivi. Sono due cose, secondo me, molto diverse ed è importante che si riconosca che sono state concepite per due forme di fruizione molto diverse. Per cui vedere la ripresa di uno spettacolo di Pina Bausch, per esempio, è meraviglioso, ma bisogna essere consapevoli di star guardando la registrazione di uno spettacolo che era concepito per essere dal vivo e che non darà mai lo stesso impatto emotivo. Il guardare la documentazione di spettacoli dal vivo è sicuramente un’importante risorsa di conoscenza, di studio ma non equivale a vedere uno spettacolo dal vivo.

Tuttavia, c’è la danza creata apposta per il video, come Trisha Brown e Vandekeybus, legata all’idea di interagire con la videocamera. Creare effetti che non sarebbero realizzabili su di un palcoscenico. È completamente diverso.

Il Coronavirus ha causato anche questo: da un lato è bellissimo che la gente provi nuovi modi di reinventarsi, per un artista è fondamentale. Però si deve saper distinguere il prodotto che ha un valore artistico reale da quello che non lo ha. Penso che ognuno debba rifletterci un po’ su.

In Italia si parla di Fase 3, mentre il mondo dello spettacolo è rimasto alla Fase 2. Che cosa ne pensa?

Ovviamente, il problema di tutti gli spazi pubblici è il pericolo di diffondere il virus. Io non ho competenza in materia, ma secondo me è assurdo pensare che pub e caffè abbiano meno possibilità di diffondere il virus rispetto ai teatri. Trovo assurdo che lo spettacolo venga percepito come l’ultima ruota del carro, come se il virus fosse più potente dentro il teatro che non dentro il pub dove si va il sabato sera.

Inoltre, lo Stato dovrebbe finanziare tutti i piccoli teatri che stanno morendo e che invece erano i propulsori dell’arte. È difficile che il grande teatro promuova la crescita dell’arte sperimentale, di solito è il piccolo teatro di periferia a scoprire e supportare nuove forme d’arte. Lasciar morire tutte queste piccole realtà è veramente una tragedia. Per me ciò che propone il piccolo teatro di periferia è generalmente più interessante di quello che trovi nel cartellone dei grandi teatri.

Quanto tempo ci vorrà, secondo lei, per la danza in Italia per passare alla Fase 3?

La scelta saggia sarebbe quella di approfittare dell’estate. Quindi sfruttare il mese di agosto per promuovere le attività tersicoree. Anche se temo che difficilmente i teatri possano ripartire prima di settembre. Per le scuole è già così: tutte le attività sono state posticipate a settembre, potrebbe essere così anche per i teatri.

Magari qualche festival all’aperto potrebbe ricominciare già ad agosto, portando ricchezza nel territorio.

In ogni caso spero che a settembre ripartano tutti.

Danzatori freelance in Italia hanno avuto e stanno avendo ancora molte difficoltà. A causa del Covid-19 è emersa l’assenza di tutele specifiche per questa figura professionale. Che differenzi trovi rispetto le tutele del governo inglese?

In verità, in tutto il mondo dello spettacolo molti i lavoratori sono stati licenziati e si son ritrovati senza lavoro. Qua in Inghilterra, per chi è rimasto senza lavoro il Governo paga l’ottanta percento dello stipendio che percepiva. Ciò vale non solo per i dipendenti aziendali ma anche per i lavoratori freelance, nella quale categoria rientriamo tutti noi dello spettacolo. Non conta che tipo di lavoro svolgevi prima, nè se ti trovavi in una grande compagnia o se lavoravi come freelance, in ogni caso lo Stato provvede a pagarti una sorta di cassa integrazione. Per cui non si parla molto di danzatore in quanto tale perché rientra nella tutela di tutti i freelancer.

In questi giorni il primo ministro Johnson ha annunciato che sarà devoluto più di un miliardo di sterline in favore del settore spettacolo tutto. Ciononostante si teme che piccoli teatri possano non riaprire più.

Secondo lei, che si è formata ed ha mosso i primi passi qui in Italia, a quali difficoltà immagini andranno in contro i danzatori italiani nei prossimi mesi?

Le difficoltà maggiori riguarderanno soprattutto gli emergenti e questo vale anche qui in Inghilterra. Prima gli emergenti potevano accedere a piccoli fondi o comunque erano sostenuti da realtà di promozione. Questa anche, come dicevo prima, l’importanza dei teatri di periferia. Se per prime queste piccole realtà non riceveranno finanziamenti sarà difficile che possano continuare a promuovere gli emergenti, i quali si ritroveranno abbandonati a se stessi.

Se perderemo anche le più piccole occasioni lavorative, fondamentali per coloro che da allievi fanno il salto a professionisti, sarà una grave perdita.

Cosa consiglia ai giovani danzatori italiani?

Di avere fiducia e lanciarsi in quello in cui credono. Non smettere di essere creativi solo perché al momento sembra che tutte le porte siano sbarrate. È un periodo difficile sicuramente, ma pian piano tutte le porte si apriranno.

Continuare a creare, sperimentare e crede che ci saranno nuove opportunità per tutti di mettersi in gioco. Continuare a danzare anche nel salotto di casa propria poiché le migliori idee nascono nei luoghi più impensabili.

L’arte avrà un ruolo decisivo nel superare tutto questo.
Magari, chissà, nuove forme d’arte potrebbero nascere proprio da tutto ciò che stiamo vivendo.

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