Francesca La Cava
Francesca La Cava e il Gruppo E-motion in "Giru Giru". Foto di Paolo Porto

L’AQUILA – Francesca La Cava è danzatrice, coreografa e docente. In qualità di danzatrice contemporanea ha lavorato in numerose compagnie in Italia e all’estero. È inoltre vincitrice di prestigiosi premi e vanta collaborazioni con illustri nomi della danza. Originaria di Cagliari, la sua attività si divide tra Roma, dove insegna presso l’Accademia Nazionale di Danza, e L’Aquila. Qui infatti dirige il Gruppo E-motion, unica realtà di produzione della danza in Abruzzo finanziata dal MiC.

Lo scorso 7 ottobre, Francesca La Cava e il Gruppo E-motion hanno calcato il palco di Palazzo Ducale Orsini di Solofra in occasione del Ra.I.D. Festivals. Giru Giru è il titolo dello spettacolo presentato in anteprima: un primo interessante studio sul tema della migrazione, e non solo, realizzato in collaborazione con Anouscka Brodacz.

Francesca La Cava è la prima volta che una sua creazione va in scena a Ra.I.D. Festivals?
Sì, è la prima volta che partecipo a Ra.I.D. Festivals col Gruppo E-motion. Sono stata molto contenta dell’invito perché so benissimo che hanno un’ottima programmazione, diversificata. E mi interessavano anche i luoghi in cui si svolge il Festival.

Mi sono trovata benissimo, un’accoglienza fantastica. È stata un’esperienza molto positiva.

Il suo spettacolo, infatti, è andato in scena a Palazzo Ducale Orsini. Quale energia trasmette quel luogo?
Secondo me tutti i luoghi non convenzionali, i palazzi storici, regalano nuova energia. Nel caso di Ra.I.D., la vicinanza col pubblico costituisce un valore aggiunto.

Molto bello anche il dialogo con gli spettatori a fine serata: ognuno di loro ha potuto dare un feedback all’istante, ed è davvero importante.

Il sottotitolo di Ra.I.D. è Dance Space Subjectivity: in che modo secondo Francesca La Cava questo Festival fa danzare lo spazio?
Scegliendo gli spettacoli giusti per i luoghi giusti.
Penso che la direttrice Maria Teresa Scarpa svolga un’accurato lavoro di ricerca e selezione degli spettacoli per il cartellone di Ra.I.D. Festivals. E soprattutto, abbina con maestria ogni performance al suo spazio ottimale.

Ra.I.D. fa danzare lo spazio poiché questo diventa la base nella quale inserire le creazioni che la direzione artistica sceglie. In questo modo lo spazio diventa il soggetto, il vero protagonista del Festival.

Per questa edizione Ra.I.D. Festivals ospita il progetto speciale Come as you are: l’arte nuda da ogni pregiudizio. Cosa ne pensa dell’abbinamento della danza con le altre arti? Nella sua serata, per esempio, c’era la presentazione del libro M’illumino di Viola e la performance Ina Ina.
È un’ottima idea.
Purtroppo, oggi, la danza ha poco pubblico e questa dunque può essere un’operazione importante per accedere a nuovi spettatori. In questo caso coinvolgendo anche lettori, cultori dell’arti visive.

Unire più arti nella stessa serata è una scelta vincente per avvicinare la danza contemporanea a un pubblico sempre maggiore. È un lavoro che deve tener conto anche del territorio in cui ci si muove. Infatti sono rimasta stupita della quantità di persone che sono venute ad assistere a Giru Giru. Essendo Solofra un piccolo centro, non è così facile portare nuovo pubblico.

Giru Giru è frutto della collaborazione con Anouscka Brodacz: è la prima volta che lavorate insieme?
Conosco Anouscka Brodacz da tanti anni avendo danzato nella sua compagnia, il Gruppo Alhena di Pescara. Da qui è nata una lunga collaborazione: dal 2017 Brodacz interviene nella drammaturgia delle mie creazioni. E non solo, abbiamo anche altre collaborazioni in atto come il bando Boarding Pass.

Per Giru Giru la mia intenzione era quella di lavorare sulle tradizioni sarde, da qui anche il titolo, e sulle danze in circolo. Quindi ho coinvolto Brodacz per aiutarmi nella drammaturgia, come in tutte le produzioni del Gruppo E-motion dal 2017. Così il viaggio ha preso una strada un po’ diversa: abbiamo approfondito il rito della processione in diverse situazioni, religiose o profane, esplorando cosa accade in un gruppo che si muove verso una stessa direzione. Lo studio del rito, della processione e delle danze in circolo ci ha portato in seguito, quindi, a superare i confini dell’isola sarda e trovare tanti punti di contatto con altre tradizioni regionali italiane.

Si potrebbe definire Giru Giru uno spettacolo autobiografico? Il titolo è sardo e lo spettacolo parla anche di migrazioni, esattamente come Francesca La Cava: nata a Cagliari, ma attiva a Roma e all’Aquila.
E sono attiva anche in Sardegna: negli ultimi anni ho sentito il richiamo della mia isola. Quindi in questo momento non ho un luogo fisso, ma di certo mi sento sarda.

Sì, di autobiografico c’è la necessità e l’urgenza di studiare la mia terra ma anche di confrontarla con le tradizioni di altri luoghi. Per esempio: per la prima parte della performance – grazie a una residenza presso Brodacz – abbiamo avuto occasione di studiare le varie danze in circolo che caratterizzano l’Italia. Danze storiche, danze popolari come il saltarello. Quindi in Giru Giru non c’è solo l’influenza della mia terra.

In effetti è un po’ quello che insegno anche ai miei studenti all’Accademia: non c’è nulla di stabile, tutto si trasforma. Anche le tecniche che erano stabili in un determinato momento, vengono riviste per estrapolare ciò che serve alla narrazione dell’oggi. Quindi sono partita dalla Sardegna ma poi la mia ricerca ha attraversato le tradizioni di altri luoghi.

In Giru Giru, Francesca La Cava è coreografa e interprete. Durante la performance, appare come un miraggio, in uno scintillante completo di paillettes argento, e ogni volta il suo passaggio sembra segnare un cambiamento nella coreografia. Le andrebbe di raccontarci qualcosa in più riguardo il suo personaggio?
In realtà il mio personaggio è arrivato dopo. All’inzio della creazione di Giru Giru non volevo stare in scena: avevo il desiderio di lavorare con i danzatori e di portare Brodacz in scena. Tanto è vero che le parti di Brodacz sono state le prime scene che abbiamo fissato.

La mia figura è nata dopo: a volermi sul palco hanno insistito Brodacz e Antonio Taurino, danzatore e collaboratore artistico. Non è stato semplice, in principio, trovare la direzione verso la quale muoverci. Poi un giorno, parlando d’altro, è arrivata l’intuizione: sono una sorta di Virgilio che conduce i danzatori in un viaggio verso la liberazione, il libero manifestarsi. In questo lavoro di trama e ordito, quindi Virgilio è l’ordito che conduce i danzatori verso la retta via che, come afferma Dante, non libera l’uomo dal peccato ma aiuta l’essere umano a non cedere, a continuare il proprio cammino senza la paura di fallire. E da qui l’idea che i danzatori potessero rappresentare il loro corpo come realmente lo avvertono. In realtà questa parte della performance necessita di ulteriore lavoro per essere ampliata e sviluppata, infatti torneremo in prova a gennaio.

Comunque, stabilito il mio ruolo ci siamo concentrati sul costume e anche qui c’è voluto un po’ per trovare la quadra. Desideravo rendere la mia figura astratta, quindi un abito lungo e i capelli sciolti non mi sembravano la soluzione migliore. La scelta delle paillettes è stata della costumista e alla fine ho optato per un tailleur senza sapere che è di tendenza quest’anno!
Anche i costumi di Brodacz sono molto belli: il gomitolo all’inizio è stato un mio desiderio. E il vestito alla fine rende bene il concetto di trasformazione, a qualsiasi età, in qualsiasi momento della propria vita.

In Giru Giru sembra esserci un qualcosa del Mago di Oz: le scarpe rosse di un danzatore (come Dorothy), le calze a righe bianche e nere di Anouscka Brodacz (come la strega) e il suo costume potrebbe ricordare l’uomo di latta. Cosa ne pensa?
Non è stato voluto ma ce lo hanno detto in molti. È una suggestione venuta fuori per caso, come spesso succede: metti dei segni in scena a cui se ne sovrappongo altri imprevisti e sorprendenti. Ed è questa la cosa bella della danza contemporanea e della ricerca.

Non è la prima volta che ce lo chiedono e sarà dunque uno spunto su cui lavorare nelle prossime residenze. Visto che dobbiamo tornare in sala prova per approfondire questo feedback e non solo.

Con Giru Giru intende riscoprire il senso di “comunità” attraverso l’esempio virtuoso del mondo animale. Cosa possiamo apprendere da questo mondo?
Tutto.
Fonte di ispirazione nel movimento dei danzatori è anche il mio barboncino, ma a parte questo io sono alla ricerca di un movimento animale nel senso di un movimento organico. Spesso la ricerca di un movimento organico ci porta allo studio del movimento animale, che non ha un’accezione negativa come molti pensano.

Gli animali ci insegnano a uscire dallo stereotipo oltre che la spontaneità, l’organicità e la consapevolezza del proprio corpo. Questo è uno studio che porto avanti anche con i miei studenti dell’Accademia: ogni settimana scegliamo un animale sul quale lavorare per toglierci tutti gli strati che la società ci mette addosso. Poi, in fin dei conti, vuol dire ritrovare il movimento di quanto si è bambini ed è forse per questo che in alcuni popoli la danza attraversa maggiormente il corpo, come in Africa. Quei popoli in cui la danza è ancora rito e fa parte della quotidianità: i corpi, in queste situazioni, riescono a essere più organici, più liberi.

Guardare al mondo animale è utile per liberare i nostri i corpi. È per questo che i danzatori in Giru Giru scelgono degli oggetti per rappresentarsi al meglio: i tacchi rossi, il velo da sposa, le piume. Certo, lo spettacolo è ancora in forma di studio, stiamo cercando residenze appunto, ed esperienze di vicinanza alla comunità come quella di Ra.I.D. Festivals sono per noi fondamentali per scoprirci e individuare nuove possibilità.

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