Ritratto Fabrizio Grifasi
Ritratto di Fabrizio Grifasi, direttore generale e artistico di Romaeuropa Festival

Fabrizio Grifasi è socio fondatore e membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Romaeuropa, nella quale ricopre la carica di Direttore Generale e Artistico. Ha inoltre prodotto eventi di performing art per diverse organizzazioni e festival, tra cui la stessa Romaeuropa e l’Opera di Parigi. È stato consulente per fondazioni nazionali e internazionali. È stato nominato Chevalier de l’Ordre des Arts e des Lettres nel 1992 e Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana nel 2013.

Per l’inchiesta Covid-19 / Si cambia danza, Fabrizio Grifasi ha risposto alle nostre domande, anche in vista di un’edizione inedita del prossimo Romaeuropa Festival.

Il Coronavirus ha paralizzato ogni settore. Che ripercussioni ha potuto constatare nel mondo dello spettacolo dal vivo e in particolare nella danza? 

Il Coronavirus ha congelato il modo in cui eravamo abituati a vivere, in particolar modo nel nostro settore. Basti pensare al blocco della mobilità internazionale e alla chiusura dei confini delle varie nazioni europee. In qualche modo ha messo alla prova la nostra agilità, il nostro modo di pensare le stesse arti performative, il nostro rapporto con il pubblico. Oltre alle ripercussioni economiche, le disposizioni che riguardando il distanziamento sociale, per come ricevute dall’ultimo DPCM, avranno un forte impatto sul modo in cui fruiamo le arti performative, la musica, i grandi concerti ma anche nel modo in cui gli artisti creano le loro opere. Tra tutte le discipline probabilmente la danza è stata ed è la cartina di tornasole più sensibile di questo momentaneo cambiamento e della necessità (sanitaria) di mettere in standby la vicinanza, il contatto tra i corpi, il movimento.
È banale, ma basti pensare alla composizione delle compagnie internazionali che hanno attraversato il Romaeuropa festival. O anche al numero di danzatori e performer che hanno calpestato i palcoscenici nei suoi trentacinque anni di storia, alle complesse immagini corali che ci hanno regalato.

In questo senso il Romaeuropa Festival ha trovato un suo modo di andare avanti.

“Con-tatto” è non a caso il titolo che abbiamo scelto per presentare il programma del REf20 per come pensato prima della crisi legata al Covid 19. Lo abbiamo fatto il 21 aprile, nel periodo nel quale si svolge usualmente la nostra conferenza stampa. Volevamo sottolineare la necessità di stabilire un dialogo con gli artisti e il nostro pubblico e sostenere i lavoratori dello spettacolo. Era ed è ancora il momento della solidarietà, ed è ovviamente prioritaria la salute.  

Quali scenari possiamo immaginare per il prossimo periodo?

Ci troviamo ancora oggi di fronte ad una situazione mutevole. Sappiamo, però, che possiamo considerare questo presente con i limiti che ci impone come una sfida. È il nostro ruolo, come più in generale quello della cultura, capire i cambiamenti della società. Dobbiamo rintracciare come il senso dell’esperienza artistica si modifica e come l’esperienza culturale debba rispondere a una serie di nuove emergenze. Gli artisti reagiscono sempre alle prove del presente, alle sue condizioni, riflettendo sulla realtà che li circonda, determinando risposte e soluzioni sorprendenti. A un festival come Romaeuropa spetta il compito di agevolare, veicolare, abbracciare, raccogliere, riporre in dialogo e in “contatto” queste differenti esigenze.

Che tipo di strategia sta mettendo in atto per le attività di Romaeuropa Festival?

Romaeuropa è un festival dalla durata di oltre due mesi di natura multidisciplinare, aperto a tutte le arti performative e a un costante dialogo con una fitta rete internazionale. Ospitiamo ogni anno artisti da tutto il mondo. Dai giganti della scena internazionale, ponendo allo stesso tempo una grande attenzione agli artisti italiani e ai tanti formati che animano i linguaggi contemporanei. Il tutto è articolato in spazi differenti della capitale. Dal Teatro Argentina al Mattatoio, il Teatro Olimpico e l’Auditorium Parco della Musica, spazi con architetture differenti e spesso con capienze importanti. Basti pensare che l’edizione 2019 del festival è stata partecipata da oltre 73.000 presenze. È chiaro che si tratta di una macchina complessa, in cui ogni singolo elemento richiede una particolare attenzione. Ben prima delle attuali disposizioni abbiamo considerato la possibilità di attuare i criteri di distanziamento alle sale teatrali.

In che modo?

Abbiamo costruito un modello di riduzione delle capienze delle sale per rispettare il metro quadrato per spettatore. È stato doveroso immaginare come necessario l’uso delle mascherine e dei guanti per il pubblico e il personale, il controllo della temperatura all’entrata. Inoltre abbiamo considerato l’operatività dell’app Immuni, il distanziamento durante l’accesso, l’uso esclusivo della biglietteria online e un’organizzazione delle entrare e delle uscite strutturata per gruppi.

Romaeuropa oltre ad essere un festival di assoluto prestigio è anche in prima linea dal punto di vista produttivo. Come e cosa è cambiato rispetto alle attività di produzione?

È stata nostra responsabilità mantenere gli impegni co-produttivi con tutti gli artisti e ci siamo impegnati a programmare nel 2021 tutti quegli spettacoli che, eventualmente, non si potranno adattare o gli artisti che non potranno viaggiare; abbiamo ascoltato le loro necessità, le loro proposte, la loro immaginazione in reazione alle disposizioni che chiaramente hanno e avranno un impatto anche sulle loro necessità e sulla loro creatività. Allo stesso tempo un’altra linea di lavoro seguita dal nostro staff in questi mesi è stata proprio interrogarsi su come mantenere degli standard di accoglienza (di tutto il pubblico e degli artisti) che nonostante le disposizioni di distanziamento potessero tenere salde queste caratteristiche.

Romaeuropa è da sempre attenda al digitale, come dimostra l’apposita sezione ad esso dedicata di Digitalive. Sono state valutate altre possibilità di fruizione degli spettacoli?

Abbiamo ragionato su un abbassamento dei prezzi, ad esempio, oppure sulla possibilità dello streaming come possibile allargamento della platea sempre pensando di mantenere viva un’agorà per quanto minima. Stiamo ragionando su una serie di proposte pensate specificamente per l’online, consapevoli del fatto che un confronto con il web e le tecnologie digitali sia oggi più che mai inevitabile e forti del nostro passato e della sezione Digitalive del festival.

Lei, nello specifico, come ha vissuto il lockdown? Ha stabilito delle priorità professionali attuali e/o future?

Personalmente ho cercato innanzitutto di dedicarmi alla mia famiglia e alla cura necessaria per nutrire quotidianamente lo stare assieme con un bimbo di quattro anni in uno spazio piccolo e chiuso, poi ovviamente la cura dei nonni e degli altri legami familiari. Una parte rilevante delle energie di quel periodo l’ho dedicata al nostro team con il quale abbiamo deciso di usare al meglio le opportunità tecnologiche per valorizzare i nostri scambi quasi quotidiani e l’esigenza di coesione e sostegno reciproco all’interno della nostra comunità. Ho naturalmente dedicato molte energie al dialogo con gli artisti che si sono trovati ad essere travolti e fragilizzati dalla crisi e poi agli scambi con i colleghi, soprattutto internazionali, per l’esigenza di poter condividere analisi, riflessioni, progettualità da paesi e continenti diversi.

La fase 2 (appena terminata) ci ha consentito di poter progettare e andare avanti con maggiore positività. Non trova?

Ho vissuto la riapertura post lockdown come immagino abbiamo fatto in tanti, associando la gioia di poter riconquistare lo spazio esterno con i timori e le fragilità dell’ignoto, la consapevolezza dei cambiamenti necessari, l’obbligo delle attenzioni e delle precauzioni per proteggere i più fragili, l’incertezza rispetto al lavoro e nello specifico alla forma e contenuto da dare al nostro progetto di Romaeuropa festival 2020 al seguito delle prescrizioni e limitazioni in atto.

Cosa pensa delle misure governative prese per il settore dello spettacolo in questo periodo? Dal Cura Italia all’ultimo dpcm che ha previsto la riapertura dei teatri il 15 giugno?

Penso che abbiamo un Ministro della Cultura che insieme ai suoi collaboratori ha saputo difendere con forza e determinazione le ragioni del mondo della cultura, ottenendo risorse e tutele anche per i più deboli e per chi normalmente è escluso dai sistemi di finanziamento statali. Lo ha fatto occupandosi di tutti i settori delle attività culturali (spettacolo, cinema, editoria etc.) oltre che del patrimonio e lanciando alcuni progetti innovativi come la “Netflix della cultura” che naturalmente dovranno essere concretizzati con delle linee guida più precise. Anche a Roma e nel Lazio c’è stata una analoga attenzione e sensibilità con importanti provvedimenti presi a livello regionale e locale per tutelare l’occupazione e le attività artistiche, le iniziative private e le grandi strutture pubbliche. Naturalmente tutto è perfettibile ma ho sentito con forza la vicinanza delle Istituzioni al mondo culturale.

Dunque intravede uno spiraglio anche derivante dalla coesione delle istituzioni e dal rinnovato interesse nei confronti del settore?

La speranza è che con il miglioramento della situazione epidemiologica possano essere superati alcuni limiti particolarmente restrittivi come le capienze dei teatri e affrontata con un protocollo la gestione della distanziamento tra gli artisti sui palcoscenici. Infine, credo sia necessario ragionare in maniera almeno biennale – perché l’onda lunga di questa emergenza arriverà ad investire sicuramente tutto il 2021 – ed avere da subito la certezza della riconferma degli strumenti messi in campo in questi mesi anche per il futuro, fino al ristabilimento delle condizioni normali e all’uscita dall’emergenza prima e poi dalla crisi.

Oltre quanto appreso dal comunicato stampa diffuso può anticiparci qualcosa in più rispetto alla prossima edizione di Romaeuropa?

Sul sito romaeuropa.net potete vedere attualmente il programma della trentacinquesima edizione del Romaeuropa per come è stato pensato prima della crisi legata al Covid. In questi mesi, in costante dialogo con gli artisti abbiamo lavorato ad una riformulazione della programmazione. Sia in linea con le nuove direttive orientandoci ad una maggiore agilità, sia verso una differente accoglienza del pubblico e degli artisti in linea con i nostri standard. Il nuovo programma sarà annunciato a luglio ma possiamo dirvi sin da subito che manterrà le linee guida che hanno ispirato la sua precedente formulazione. Vogliamo dare il più possibile centralità alle nuove proposte della scena italiana e alle progettualità Under35. Non tralasciano lo sforzo significativo per mantenere una consistente presenza internazionale, nella musica, nel teatro come nella danza.

Guardando oltre i nostri confini, sul piano internazionale ci saranno più differenze di prima rispetto al settore produttivo e organizzativo della danza? 

Sicuramente fino alla totale riapertura dei confini ci saranno delle differenze in termini di possibilità di spostamento. Vale da paese in paese, soprattutto per le compagnie di danza più numerose. Molti confini in Italia iniziano a riaprire ma la fluidità di movimento internazionale è ancora messa alla prova. Poi, al fianco delle grandi compagnie, esiste una costellazione di formazioni più piccole, sia italiane che internazionali. Esse operano differentemente e sono spesso meno supportate. Rappresentano una grossa parte delle nuove proposte del REf che crediamo fortemente in questo periodo di ripartenza debbano essere supportate. Per quanto riguarda le nostre relazioni in Europa e nel mondo abbiamo continuato ad alimentarle. Sia nella prima fase del lockdown che ora manteniamo il contatto attraverso riunioni e confronti via internet e progettualità condivise.

Come con il nuovo progetto co-realizzato con Aerowaves.

Aerowaves è il network europeo dedicato alla nuova danza. Romaeuropa, in qualità di partner, ha contribuito alla costruzione del progetto Frameworks, dedicato a coreografie e pièce pensate appositamente per il web.

Qual è una personale speranza di Fabrizio Grifasi? 

In questo periodo abbiamo rivoluzionato per la prima volta nella nostra vita il rapporto con il tempo, con i pensieri e le emozioni. Ci siamo ritrovati a vivere intensamente con i nostri cari qualcosa di inaudito. È chiaro che tutto questo ci ha marcato e continuerà a marchiarci nel profondo e in maniera indelebile. Ma al netto dell’ansia, dei timori sanitari e delle ricadute economiche possiamo trarre almeno un aspetto positivo da questo tempo: la percezione che il ritmo frenetico impresso alle nostre vite non sia l’unico modello possibile. Non il più sano né per noi né per la natura e, mi permetto, forse nemmeno per il sistema produttivo dell’arte e dello spettacolo. La mia personale speranza è quindi che la ripartenza porti con sé queste riflessioni, che ne faccia tesoro, che se ne nutra.

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