Fabrizio Favale - Klm
Fabrizio Favale - coreografo e direttore artistico Klm. Le Supplici / Kinkaleri

Anche i coreografi e gli artisti stanno rispondendo alle domande dell’inchiesta Covid -19 / Si cambia danza. In questa occasione intervistiamo Fabrizio Favale, direttore artistico dell’Associazione Culturale KLm (nata nel 2015 dall’unione di Kinkaleri, Le Supplici e Mk).

Favale, con una formazione di primo ordine negli Stati Uniti, ha lavorato dal 1991 al 2000 nella compagnia Virgilio Sieni. Nel 1999 fonda Le Supplici e nel 2011 riceve la Medaglia al Talento coreografico italiano dal Presidente della Repubblica. I suoi lavori sono stati presentati e premiati a livello internazionale. Fra il 2005 e il 2007 realizza il progetto Mahabharata e la Piattaforma della Danza Balinese per Santarcangelo Festival (co- ideato assieme a Michele di Stefano e Cristina Rizzo), e Circo Massimo per Teatro Duse Bologna. Con l’opera Ossidiana è invitato alla Biennale de la Danse de Lyon 2016 e Circeo 2018 è coprodotto dal Théâtre National de la Danse Chaillot, Paris. Dal 2017 si occupa di progetti di formazione con Emilia Romagna Teatro e l’Accademia di Belle Arti di Bologna.

Il propagarsi della diffusione del Covid-19 ha paralizzato ogni attività e ogni settore in un totale lockdown. Lo spettacolo dal vivo è stato tra i primi settori a fermarsi ma non sarà tra i primi a riprendere. Che ripercussioni dobbiamo aspettarci?

La danza, per come è concepita attualmente, deve prevedere insieme al suo apparire anche qualcuno che la guardi, che vi assista, che sia testimone. L’attuale impossibilità di aggregazione di persone è dunque l’enigma più scottante che ci sta ponendo il virus, assieme a quello del tempo. Se i tempi di adattamento, o cura, o strategia di convivenza con il virus dovessero richiedere tempi lunghissimi o “per sempre”, come ipotizza qualcuno, a quel punto sarà necessario l’arrivo di nuove idee, di invenzioni, ripensare completamente il come stare insieme, come assistere a un evento.

Sarà necessario inventare nuove modalità di presenza agli eventi?

Sì, in quel caso il tentativo sarebbe di re-immaginare e riconfigurare l’antichissimo problema della presenza e dell’assenza. Non da ultimo bisognerà ipotizzare forme di economia alternative che possano sostenere nuovi orizzonti e nuove pratiche.

Tanti organismi, enti e associazioni italiane hanno diverse tipologie di attività che percorrono binari diversi nello stesso momento. Per le sue attività che tipo di strategia pensa di attuare?

Penso sia inutile essere nostalgici, perché in fondo la situazione dell’arte coreutica italiana già non funzionava prima dell’evento Covid-19. Pur restando necessariamente sul piano dell’ipotesi e del mistero, provo a immaginare adesso due tipi di strategia in risposta agli eventi. Il primo è pragmatico, e costruisce o ricostruisce quello che c’era, in accordo con il tempo, con gli altri, con l’incognita giorno dopo giorno. Il secondo è immaginale, fa parte del mondo del sogno e dell’invenzione. Questo non è in accordo con il tempo. Spesso non concretizza nulla, eppure è come se desse la caratura ad ogni singolo gesto pratico, anche quando resta inosservato.

Bisogna mettere in atto azioni di sistema congiunte…

Noi del mondo della danza non abbiamo nulla da ricostruire com’era, quindi approfitterei collettivamente di questa zona-limbo, dello stato di incertezza, o perfino di paura, per creare qualcosa di nuovo e andare incontro a ciò che ci è sconosciuto. Così come sta avvenendo uno sforzo collettivo e individuale adesso, così immagino occorrerà uno sforzo per l’invenzione di orizzonti mai apparsi prima. Mi riferisco anche a nuove possibili forme di spettacolo.

La fruizione virtuale non rappresenta una novità, ma si sta assestando come una possibilità in questi tempi così particolari. In generale, cosa ne pensa?

Al momento non credo molto nell’alternativa virtuale. Ha il sapore già logoro, della prima cosa a portata di mano.

Lei come sta vivendo questo momento? Sta valutando priorità e necessità presenti e future?

Da oltre due anni assieme ai miei danzatori e al mio staff, con il progetto Le Stagioni Invisibili – Ciclo Coreografico Infinito, abbiamo frequentato una dimensione spettacolare che prima, per quanto ne sappiamo, probabilmente non esisteva. Si tratta di performance realizzate interamente in contesti agricoli, industriali o selvatici all’aperto nel territorio della bassa bolognese, in un ciclo di episodi potenzialmente infinito. In tempi non sospetti – per così dire – avevamo iniziato a scandagliare le distanze ordinarie fra spettatori e danzatori, fra i danzatori fra loro e gli spettatori, assumendo come misura la vastità di queste pianure.

Le difficoltà di creazione, realizzazione e talvolta le avversità, non hanno nulla a che vedere con il comfort di una sala teatrale. Ecco, in questa pratica, per esempio, sento con l’oggi un’assonanza da dover indagare, seppur drammaticamente.

Riesce quindi a immaginare di esplorare modalità di lavoro che erano in una fase embrionale in una modalità più solida proprio a causa del distanziamento sociale?

In parte potrebbe essere così. A tal proposito mi viene anche in mente la Piattaforma della Danza Balinese, inventata assieme a Cristina Rizzo e Michele di Stefano per due edizioni di Santarcangelo resta una dimensione ancora tutta da esplorare. Certo, quel tipo di azione era stata concepita come un grande affollamento tropicale eppure qualcosa di sconosciuto continua a vibrare ancora oggi verso un senso della distanza, immateriale, che connette chi è lontano.

Cosa si può prendere di buono – se c’è – da questa pausa?

Quando il mondo là fuori si allontana, è il mondo del sogno che sembra sopraggiungere. Così come quando la natura ci fa avvertire la sua presenza più intensa, sopraggiunge un’antichissima problematica di rapporto con essa. Provo brevemente a tratteggiare questi orizzonti. La distanza sociale, la distanza dal mondo, non è una condizione a cui si può essere preparati, perché il corpo non può stare senza mondo. Eppure proviamo a immaginare che questa distanza non sia assoluta, che l’assenza come anche la presenza, non siano assolute.

Chi può dire quanto di me sia assente quando tuttavia mi trovo al tuo cospetto? E quanto di te sia presente in me quando sei lontano? D’altronde talvolta basta uno sguardo o un gesto dell’altro per sentirci proiettati verso inimmaginabili distanze. Magari assumendo forme fisiche che non avevamo mai incarnato prima. E là io sono un sentiero accidentato di brughiera dove cammini tu.

Quindi intende riformulare completamente queste condizioni in nuove visioni che per lei – dato il suo mestiere – si trasformano in coreografie?

Senz’altro posso dire che la questione del dialogo con la natura e con le presenze animali è per me centrale. La natura… Talvolta penso che se l’Islanda non fosse così aspra, imprevedibile e a tratti inospitale, Bjork e i Sigur Rós non avrebbero mai prodotto le meraviglie che hanno prodotto. Intendo dire che per qualche strana ragione frequentare la meraviglia non basta. Occorre che quella meraviglia sia anche compromessa, celata, estinta, velenosa, impossibile. E questa situazione che stiamo vivendo acuisce i sensi e ci mette in allerta nei confronti del paesaggio stesso, della natura. È un mettersi alla ricerca, come esploratori male equipaggiati. E poi ci sono gli animali. Abbiamo appena allentato la nostra presa sul mondo, per un tempo in realtà brevissimo, che gli animali se ne sono già accorti… C’è qualcosa di irresistibile in questa specie di passaparola tanto alieno quanto universale.

In questo periodo si sta pensando anche alle misure di sostegno economiche per l’intero paese e per il settore dello spettacolo dal vivo. Cosa pensa di quanto ipotizzato finora e cosa si augura?

Penso che in questo momento il governo stia affrontando l’immagine globale della condizione in cui ci troviamo, e quest’immagine è immensa. Non posso che essere totalmente ammirato e solidale. Eppure… – mi permetto una virata – dentro di noi, che in fondo siamo lo Stato (giusto?), non posso non avvertire, nascosta dentro una specie di coscienza collettiva (ammesso che esista e sia sondabile), un’incongruenza, una falla, una coscienza sporca, che forse sta nel gesto stesso di giudicare e pretendere dallo Stato senza chiedersi finora noi cosa abbiamo dato allo Stato (quindi a noi stessi), in termini di tasse ad esempio, di solidarietà, di senso civico. Cosa abbiamo dato al nutrimento di un sistema culturale? E allora è come se improvvisamente, nel fatto stesso di chiedere, si disvelasse per un istante, per poi subito svanire, il fantasma-fanciullo-mai-cresciuto, il cucciolo di leone che chiede alla madre leonessa. Che, in fondo, non ama la democrazia.

Quanto tempo ci vorrà per ripartire?

Il tempo di ripresa può essere davvero lungo. Ho parlato con piacere qui con lei in maniera diffusa del sogno… Ebbene – senza mettere troppo da parte l’arrivo degli animali o le brughiere senzienti… – questo potrebbe essere il tempo, nutrito dal sogno, che ci si offre per progettare un futuro coraggioso, che come comunità della danza desideriamo ardentemente. Mi viene in mente la creazione di spazi dedicati alla danza. Di inedite Maisons de la Danse, per intenderci. O teatri riconvertiti in teatri per la danza in senso permanente, gestiti direttamente dagli artisti in piena autonomia di inventare tempi e modi dell’apparire. Luoghi facili da intercettare anche per i turisti. È ancora sogno? Certo che lo è. Approfittiamone per parlarne con i nostri referenti istituzionali. A Bologna, dove vivo, questa ipotesi non è così lontana. Abbiamo negli staff istituzionali persone preparate e aperte a nuove forme di dialogo. Sono certo che anche altrove è così.

Secondo lei, sul piano internazionale, ci saranno più differenze di prima rispetto al settore della danza?

Senz’altro. Questo evento sta coinvolgendo uno alla volta tutti paesi. Il rischio che si ripropaghi ancora è molto elevato e uno dei veicoli principali è proprio il viaggio. Eppure anche questo crea una condizione di ambivalenza: da un lato risulta disastroso, specialmente nell’immediato, per quanti di noi hanno rapporti e sostegni internazionali, dall’altro ci pone tutti assieme davanti alla necessità dell’invenzione. Nell’attesa che anche gli spostamenti internazionali siano di nuovo possibili, una soluzione potrebbe essere quella di andare a scandagliare il fondale del panorama artistico italiano e capire come sostenerlo, valorizzarlo, dialogarci. Una pratica che, per una ragione o per l’altra, non abbiamo mai attuato veramente.

Inchiesta Covid-19-si cambia danza

Toscana/Emilia Romagna

Kinkaleri (spazioK, Prato)/Associazione Culturale KLm (Bologna)

Compagnie/Produzione/Residenze

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