(Esclusiva Campadidanza)

ROMA – L’Accademia Nazionale di Danza di Roma ha rieletto Maria Enrica Palmieri per la seconda volta. Già direttore per il triennio 2017/2019 è stata confermata con ampia maggioranza (60% dei votanti). Soddisfatta e felice per questo risultato raggiunto la prof.ssa Palmieri è pronta a continuare il lavoro svolto, portando l’Accademia oltre i confini della sua stessa istituzione. Il suo programma elettorale è denso e rigoroso, fatto di danza e cultura coreutica, ma soprattutto aperto verso l’esterno. Esso è suddiviso in sei punti: ascolto e comunicazione; offerta formativa: dentro e oltre il perimetro di una geografia in divenire; rapporti con il territorio; progetti didattico-artistici e di ricerca per gli studenti; tempi, modi e spazi; internazionalizzazione e progetti europei.

La incontriamo nel suo ufficio che affaccia sull’Aventino.

Il programma elettorale che l’ha portata alla rielezione, apre con “Ascolto e Comunicazione”: quali sono le declinazioni operative di questo primo punto? E come si pone in sinergia con gli altri punti del programma?

Ascolto e comunicazione rappresentano una forte autocritica più che una proposta elettorale perché credo siano ciò che più è mancato nei miei primi tre anni di mandato che, tra le altre cose, si chiudono proprio oggi con questa intervista (il 22 febbraio, ndr). La stanza che ci sta ospitando, il mio ufficio direzionale, è collocato molto perifericamente rispetto ai luoghi dove l’Accademia vive ed è in questa stanza che ho passato la maggior parte del mio tempo a lavorare al nostro sito. Quando sono arrivata, era l’equivalente di un cassetto in disordine: cercavi, ma non trovavi o comunque trovavi dopo troppo. Lavorarci mi ha alienata da tutto il resto, tanto che le mie comunicazioni o circolari, giungevano “distanti” a chi l’Accademia la viveva tutti i giorni tra le sale, le scale e i corridoi. Ascolto e comunicazione, sono elementi che sublimano la relazione: ripartire da qui mi è parso doveroso.

Nel comunicato stampa della sua rielezione, dice che “bisogna recuperare quel dialogo necessario che apra alla fantasia e alla creatività come sostegno delle nostre visioni”. Allora le chiedo: come e dove è andato si è smarrito quel dialogo? E come può realizzarsi concretamente il suo recupero? Quali vantaggi porta alla danza?

Le mie parole si pongono in continuità con il primo punto sul tema dell’autocritica. Nella comunicazione è già insito quell’elemento creativo riscontrabile nella grammatica utilizzata per articolare un discorso. Ma è chiaro: io ho un pensiero e lo organizzo secondo una forma grammaticale chiara, precisa. Ma pensando alla libertà poetica, certe concessioni non vengono permesse alla prosa. La poesia sì, la prosa no. Nella letteratura però, c’è Saramago (José de Sousa Saramago 1922 – 2010, scrittore, giornalista, drammaturgo, poeta, critico letterario e traduttore portoghese, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1998). Un costruttore, de – costruttore che quasi tradisce le regole grammaticali portoghesi, belle ferrate come quelle italiane. Lo fa con fantasia, con creatività. Oggi un progetto di danza deve avere contenuti di rimando alla fantasia. Senza fantasia, non c’è ricerca. Perdiamo quindi un pezzo importante che è la curiosità. Curiosità e ricerca, fantasia e creatività, risiedono in Leonardo ad esempio. Scienza e arte, connubio irrealizzabile senza fantasia, il motore della creatività. E la fantasia va utilizzata, sempre. Magari ci porterà giù e sarà stata un’esperienza. E chissà, magari diverrà anche l’elemento che ci rialzerà.

Lei ha dichiarato anche che bisogna “lasciare la giusta impronta del nostro lavoro di insegnanti, artisti e persone libere”? In che modo i progetti di formazione per gli insegnanti possono essere costruttivi in tal senso?

La pedagogia è la trasmissione dei saperi e deve fornire dei modelli da seguire. Per anni, la nostra società è stata costruita sul modello patriarcale del “Pater Familias”, modello pedagogico della forza. E così è stato anche per i saperi. Poi, ad un certo punto, si ribalta il modello. Di certo non perché siamo stati bravi in qualcosa! Ma perché non funziona economicamente, non presta il fianco alla globalizzazione. Il modello industriale restituisce altre famiglie, altri spazi abitativi. Un tempo, i bambini stavano in casa prima delle elementari e senza tecnologie. Oggi, dopo poco si sta in asilo. Ma è giusto! La società di oggi è basata sull’altro, vanno preparati a quel che troveranno. E troveranno la diversità, tante etnie, tante storie, tanti usi e costumi. Oggi, ciascuno di noi nasconde un’ambiguità identitaria figlia di un modello liquido che, inevitabilmente, richiede un intervento pedagogico. Questa liquefazione sociale è figlia della globalizzazione. Croce e delizia, merci e persone, virus. Tutto si muove e in virtù dell’altro: se è la società che vogliamo, dobbiamo saperci stare. Serve una società inclusiva ma desiderosa e capace di esserlo, altrimenti è involuzione. Io ho l’acqua perché in Africa non ce l’hanno, ricordiamolo! Tornando alla domanda, cito le parole del MIUR: formazione ricorrente e permanente. I sistemi si modificano velocemente, bisogna stare al passo. Prima la laurea certificava il sapere da applicare, oggi è il lasciapassare per entrare nel mondo del lavoro e impari a starci dentro solo standoci dentro. Oggi bisogna essere on top all the things!

Lei cita spesso anche il territorio e l’Europa. Considerando il panorama politico nazionale ed europeo attuale, secondo lei quali sono le prospettive future per la danza?

L’Italia è nel continente Europa e membro dell’Unione Europea che ha topologicamente ed economicamente al centro Bruxelles, città da dove partono i soldi. E l’Italia è il sud, la periferia. L’Europa invece è anche centro del mondo, sempre per sua collocazione topologica ed economica, nonché per il contributo storico – culturale.  Ma non bisogna trascurare i territori, l’Europa a noi più vicina, di cui è importante sapere cosa pensa della danza e come la utilizzerebbe. Questa è la politica dell’Accademia. E poi spingersi oltre: quell’ex Unione Sovietica di cui non conosciamo niente, l’Africa. Le prospettive future per la danza stanno nella terza missione, in quei modelli importabili da paesi come il Mali o la Palestina.  Attenzione però! Nessuno strumento è innocuo, tutti vanno maneggiati con cura. E ciò vale anche per la danza. Va tutto bene, purché ci sia un fine!

La ricerca scientifica è in grande fermento per quanto concerne gli studi sulla danza: nel suo prossimo mandato, quanto spazio sarà concesso alla ricerca?

La ricerca è tema d’interesse dell’Accademia, in tutti i suoi ambiti. In un convegno dai noi organizzato lo scorso anno, ho suggerito a ricercatori e relatori di volgere lo sguardo all’Antropologia. L’antropologo è il modello ideale. Sa stare al centro, e starci gli permette di guardare ogni cosa con la solidità giusta, senza pre – costruzioni di concetto, gustandone le imperfezioni che ne creano la dinamica. E’ tutto sempre in bilico ed è buono che sia così. L’immobilità è un male e i bordi appannano la conoscenza. Dunque la ricerca deve liquefarsi tra teoria e pratica, in un gioco al lasciapassare che orienti nella direzione giusta.

Un’ ultima domanda, un consiglio per tutti i giovani che la leggeranno: quali requisiti, artistici e umani, deve avere un danzatore oggi? E in che modo può contribuire a promuovere “il rispetto e la fiducia” che lei cita nel suo programma?

Sul piano prettamente tecnico deve evitare di collocarsi in un’estetica piuttosto che in un’altra. Ogni estetica vuole il suo corpo, la cosa più importante è come questo viene utilizzato. Questo potrebbe essere un requisito artistico, tecnico. Sul piano umano, un danzatore deve ricordare di essere una persona come un’altra. Deve dunque avere rispetto del tempo, studiare l’attesa, gestire la speranza. Tutto affinché non smarrisca mai la consapevolezza che conta l’oggi, il presente che costruisce il domani, in relazione con l’altro. Come diceva la nostra fondatrice Ruskaja, un danzatore deve avere conoscenza, esperienza, curiosità e capacità di unire piuttosto che separare.

Luigi Aruta

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Danzatore, docente di danza e chinesiologo. Opera come performer e giovane autore in Borderline Danza di Claudio Malangone e collabora come danza-educatore con enti e associazioni. Attivo nel campo della ricerca pedagogico-didattica, porta avanti un'indagine sui vantaggi della danza come dispositivo di adattamento cognitivo e sociale.