Andrea Veneri

ROMA – Andrea Veneri è danzatore, insegnante e coreografo di hip hop di origini salernitane. Lo scorso 3 febbraio, attraverso il bando Resid’AND 2023- 2024, ha portato sul palco del Teatro Ruskaja il suo nuovo spettacolo dal titolo Baccanti. È la prima volta che l’Accademia Nazionale di Danza di Roma apre le porte all’hip hop. Un viaggio nell’eterno scontro tra apollineo e dionisiaco, realizzato con l’assistenza indispensabile di Nilde Serpa, compagna di danza e di vita da 15 anni.

Dopo anni di pallavolo a livello agonstico – arrivando a gareggiare anche in serie C – Andrea Veneri si avvicina alla breakdance intorno ai 18 anni. Nella danza, attraverso la musica, scopre quello che nello sport non riusciva a trovare: l’espressione artistica. Una passione così forte da spingerlo presto a cercare la migliore formazione possibile: dopo solo un anno è a Los Angeles. E per i successivi dieci anni trascorre due-tre mesi oltreoceano ogni estate, studiando in prestigiose scuole come: la Debbie Reynolds, la Movement Lifestyle e la Millennium Dance Complex.

A Los Angeles tenta le sue prime audizioni ed entra quindi a far parte della RichFam di Rob Rich, un vero mentore per Andrea Veneri. Il collettivo porta spettacoli in tutto il mondo: Veneri si esibisce infatti in Spagna, a Londra, a Stoccolma, in Italia a Palermo, oltre che a Los Angeles. È così che viene notato anche dal pubblico in patria e inizia dunque la sua attività di insegnante. Nel frattempo, a Napoli, studia Urbanistica e Pianificazione Territoriale all’Università “Federico II”, corso di laurea che intercetta e alimenta la sua passione per l’hip hop.

Per la prima volta l’hip hop entra all’Accademia Nazionale di Danza

Andrea Veneri, come è iniziata la sua attività di insegnante di hip hop?
È capitato che, durante gli spettacoli qui in Italia, sono stato notato da qualcuno nel pubblico che mi ha proposto di tenere lezioni e stage. Il passaparola mi ha aiutato tanto all’inizio – parlo di 10-15 anni fa, non si usavano ancora molto i social per fare rete e pubblicità. Pian piano l’insegnamento dell’hip hop in Italia è diventata la mia prima attività: a Los Angeles lavoravo soprattutto come danzatore, a casa più come maestro.

In Italia ci sono molte più opportunità di lavoro come insegnante che come danzatore. Ma oggi sono davvero contento di insegnare.

È stata dunque la sua passione per l’insegnamento a spingerla a partecipare al bando Resid’AND dell’Accademia Nazionale di Danza?
In realtà a spingermi a partecipare al bando dell’Accademia di Danza non è stata tanto la mia passione per l’insegnamento quanto quella per la realizzazione di video. Trovo molto interessante lavorare ai videoclip: ho iniziato con alcuni concept auto-prodotti e sono arrivato a fare il regista di videoclip per cantanti famosi. Ho lavorato a un video come coreografo e regista per KamAak, un duo napoletano che realizza musica elettronica. Il video è stato candidato anche al Festival del Cinema di Cefalù.

Questi interessi trasversali mi hanno spinto a partecipare a Resid’AND, il bando di residenza dell’Accademia Nazionale di Danza di Roma rivolto a coreografi. Con meravigliosa sorpresa – non immaginavo potesse interessare il mio progetto di hip hop – sono stato selezionato. È stata una soddisfazione immensa, soprattutto se penso che prima l’hip hop non era ancora mai entrato in Accademia, in nessuna forma. Di fatto, la commissione che ha selezionato il mio progetto ha mantenuto la mente aperta e lo sguardo lungimirante.

Andrea Veneri, le andrebbe di raccontare come si è svolta la residenza?
Sì, il progetto consiste in 4 settimane di lavoro: un totale di circa 50 ore per realizzare lo spettacolo finale. Già nella prima stesura del mio progetto c’erano degli elementi forti di hip hop e di altri stili di danza urbane, come l’house. Ho quindi svolto alcune lezioni tecniche introduttive, poiché quasi nessuno studente dell’Accademia si era mai approcciato all’hip hop.

L’approccio non è stato molto semplice: poco tempo a disposizione, la necessità di realizzare uno spettacolo corposo… non nascondo che è stato faticoso. Non è semplice, in 50 ore, insegnare e trasmettere una tecnica mai studiata prima ma abbiamo trovato un punto di incontro, un compromesso, nella contaminazione di stili differenti. Ho avuto comunque la grande opportunità di introdurre alcuni elementi base dell’hip hop, che sono confluiti nello spettacolo finale.

Come è stata accolta questa nuova disciplina dagli studenti dell’Accademia?
Per gli studenti dell’Accademia apprendere da zero e in così poco tempo uno stile nuovo – e portarlo in uno spettacolo, poi – è stata di sicuro una sfida. Una prova colta con entusiasmo e superata in maniera eccellente. Attraverso l’apprendimento dell’hip hop hanno ritrovato il senso del divertimento nel danzare, e questo li ha molto colpiti. Hanno avuto una risposta molto positiva alle mie lezioni.

E invece, il pubblico come ha reagito allo spettacolo finale Baccanti?
Lo spettacolo ha avuto tre repliche: la prima è stata trasmessa in diretta streaming per tutti i licei coreutici d’Italia, le altre due sempre al Teatro Ruskaja col pubblico dal vivo. Al termine di ogni replica c’è stato un dibattito, un confronto col pubblico presente e a distanza, e anche di questo sono molto soddisfatto.

Il pubblico in sala era vario: c’erano i docenti e la preside dell’Accademia, i genitori degli studenti, ex studenti, persone esterne all’Accademia. In particolare ricordo due attori di prosa che, mi hanno rivelato, hanno assistito allo spettacolo perché incuriositi dal titolo Baccanti.
Di conseguenza anche i feedback sono stati molto vari: gli attori sono stati sorpresi dalla mia regia, dalla mia rivisitazione della tragedia di Euripide. I genitori degli studenti, emozionati, hanno scoperto il duro lavoro che c’è dietro a uno spettacolo di hip hop.

Ma i commenti che più di tutti mi hanno emozionato sono stati da parte dei professori, tutti molto positivi. In particolare, mi ha colpito l’intervento di Patrizia Cerroni: ricevere complimenti dalla fondatrice dei Danzatori scalzi – in pratica un pezzo di storia della danza italiana – mi ha davvero commosso.

Allievi dell’Accademia Nazionale di Roma nelle “Baccanti” di Andrea Veneri. Foto di Zeno Assoni

L’hip hop: protesta artistica, contaminazione di culture

Baccanti è quindi ispirato alla tragedia di Euripide: qual è il punto di incontro tra l’hip hop e la cultura dell’antica Grecia?
La cultura hip hop ha da poco compiuto 50 anni: nasce infatti nel 1973, nel quartiere newyorkese del Bronx. Ho studiato a fondo le origini dell’hip hop, un fenomeno che ha preso vita anche da ragioni urbanistiche – altra mia grande passione, tanto che sono laureato in Urbanistica e Pianificazione Territoriale. La scelta, dell’allora sindaco Robert Moses di costruire una superstrada in un quartiere residenziale, ha fatto sì che le abitazioni perdessero valore. Dunque il Bronx si è popolato di persone meno abbienti, più esposte alla criminalità. Come Scampia a Napoli, il Corviale a Roma. Sono questioni politiche, economiche.

L’hip hop è quindi la risposta rabbiosa al disagio sociale, un modo artistico di protestare attraverso la musica, la danza, i graffiti. L’incontro e la contaminazione delle culture jamaicane, afro-americane e sud-americane. Proprio perché ho studiato le origini dell’hip hop, so che non ne faccio parte: la cultura non si può copiare, si può studiare, indagare, ci si può ispirare. Per il mio spettacolo quindi non ho voluto ricreare il contesto povero e disadattato del Bronx, per non correre nel rischio di un’imitazione.

In che senso Andrea Veneri non fa parte della cultura hip hop? Sembra quasi un paradosso
Nel senso che non sono nato nella New York degli anni Settanta. Non ho vissuto il disagio sociale degli afro-americani. So che determinate arti nascono da determinate condizioni di vita e proprio perché ho studiato la cultura hip hop, la rispetto tantissimo, posso dire che non ne faccio parte.

Oggi sono in molti a sostenere di essere espressione dell’hip hop, ma ritengo che non hanno studiato abbastanza e non comprendono di non provenire da quella stessa cultura. Ne parlano, quindi, in maniera superficiale.

Qual è dunque l’aspetto dell’hip hop in cui Andrea Veneri si identifica?
L’energia della musica e della danza è la prima cosa che mi ha colpito a 18 anni. Poi la cultura di protesta e la voglia di cambiare le cose. Infine, uno degli aspetti che più mi interessa oggi è la contaminazione di tante culture.

Per questo ho scelto di ispirarmi alle Baccanti di Euripide per lo spettacolo all’Accademia. In quanto italiano, mi sento molto più vicino alla cultura antica greca e latina che non a quella americana. Nel leggere la tragedia greca, ho ritrovato tanti disagi e tematiche della società attuale: la contrapposizione tra l’apollineo e il dionisiaco; il rifiuto della realtà; l’omicidio; l’identità di genere. Temi così trasversali che ciascuno di noi non può far a meno di identificarsi in un personaggio. Temi terribilmente attuali, sembra di leggere una grande biografia dell’umanità.

Il punto di incontro – per rispondere alla domanda di prima – tra l’hip hop e la tragedia di Euripide è quindi la voglia di rivalsa, di protesta, di cambiare le cose. Se l’hip hop nasce dal disagio della New York anni Settanta, io con le Baccanti ho cercato di impiegarlo per esprimere il disagio universale.

Che futuro vede, Andrea Veneri, per l’hip hop in Italia?
Il futuro dell’hip hop in Italia dipende da chi lo pratica e lo insegna.
È vero che prima di adesso l’hip hop non era mai entrato in Accademia, ma è altrettanto vero che sono pochissime le persone che cercano di trasmettere l’hip hop in maniera seria e rispettosa. Se si insegna danza – qualsiasi disciplina – in maniera inconsapevole e irrispettosa, è difficile realizzare qualcosa di valore tale da essere riconosciuta dall’ambiente accademico.

E secondo me è lo stesso motivo per cui in Italia la danza ha meno valore: avendo girato un po’ lo posso dire, in altri paesi ci sono più diritti. In Francia, in Spagna, i danzatori hanno la disoccupazione e altre tutele. In Germania ci sono molti più fondi per le compagnie. All’estero ci sono più diritti, sì, ma non soni piovuti dal cielo. Dipende anche da noi italiani che non ci siamo mai organizzati in maniera serie e rispettosa per farceli riconoscere. La colpa sta nel mezzo.

In conclusione, per il mio futuro, spero di portare lo spettacolo delle Baccanti in giro. Di sicuro faremo una replica il 18 maggio al Teatro Brancaccino, sempre tramite l’Accademia. Mi piacerebbe inoltre riallestirlo con un cast diverso, di professionisti dell’hip hop, per portarlo a un livello superiore. Magari sarà una cosa auto-prodotta, perché in Italia funziona così purtroppo, ma è un mio grande desiderio.

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