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Quando si viaggia da nomadi in una città estera, è naturale diventare acuti osservatori delle situazioni, delle persone e dei luoghi ed ecco che allo Staatsoper im Schiller a Berlino si respira un’aria di interesse e di attenzione per la danza ed il teatro.

Al botteghino è possibile acquistare biglietti a prezzo davvero ridotto per studenti e giovani e fare così ingresso nei tanti foyers del teatro in cui poter fare uso della famosa tecnica di osservazione per nutrire occhi ed anima. Le persone, infatti, sono desiderose a fruire degli spettacoli in maniera attenta e critica.

Venerdì 18 aprile, si è assistito alla seconda replica (11, 18, 19 aprile 2014) dello spettacolo composto da Arcangelo (Nacho Duato), Herman Schmerman (William Forsythe) e And the sky on that cloudy old day (Marco Goecke) con in scena solisti e danzatori del corpo di ballo dello Staatsballett Berlin.

Ogni pezzo è stato intervallato da pausa in modo tale da dare al pubblico respiro e possibilità di orientarsi bene tra stili di coreografie differenti.

Il lavoro del coreografo spagnolo Nacho Duato è un’intensa, onirica ed evocativa successione di assoli e passi a due, incontri ed abbandoni, accompagnati dalle musiche di Arcangelo Corelli ed Alessandro Scarlatti, in cui intrecci e prese rivelano una propensione verso l’alto, il divino, attraverso le estremità del corpo. I momenti di utilizzo del corpo dell’altro per cambi di posizione, prese, scambi di peso, appoggi e carnalità sono dolci e fluidi. Solo, verso la fine, il ritmo si fa più denso ed incalzante in modo tale da preparare un’ascesa verso il cielo. L’ultima danza avviene infatti al centro del palco con il corpo che si muove in un velo generando forme ed immagini svariate e significative.

Non si scade mai nella pura formalità né si ricerca un codice espressivo o simbolico particolare, ma l’importante è sentire scorrere l’energia attraverso il corpo, mezzo di racconto narrativo.

La seconda fase, invece, ha previsto una famosa coreografia di repertorio Forsythe, Herman Schmerman, composta da un pezzo di gruppo ed un passo a due. Il coreografo americano la creò nel 1992 per il NYCB (New York city ballet). Originariamente costruita per cinque danzatori, l’anno successivo egli aggiunse anche il passo a due. Qui, non c’è nessun intento narrativo, quanto, invece, un forte inno alla forza ed al tempo e ritmo della modernità. Le musiche di Thom Willems e le aperture dei corpi dei danzatori fanno pensare all’acciaio, al metallo, anche se, in alcuni momenti, nel pezzo di gruppo soprattutto (composto da assoli e terzetti, in cui non c’è il rapporto di peso reciproco) la parte alta del corpo (schiena, braccia) viene lasciata morbida per creare movimenti fluidi, pur continuando a mantenere quella forza statuaria e metallica.

I danzatori, qui, hanno rivelato una straordinaria bravura e tenuta, soprattutto nel passo a due, in cui la danzatrice solista ha dimostrato una grande elasticità e preparazione atletica.

L’ultima parte è stata pensata, invece, per la coreografia di Marco Goecke, che ha debuttato nello stesso Teatro nel 2012. Goecke è un giovane danzatore e coreografo nato a Wuppertal, che ha studiato e lavorato proprio allo Staatsballett di Berlino ed ora porta le sue coreografie in giro per il mondo. E’ stata ovviamente una bella occasione per lui di poter rientrare in questo meraviglioso trittico con i coreografi più grandi dei nostri tempi.

La coreografia di Goecke, infatti, ha dimostrato una ricerca più marcatamente contemporanea, pur non uscendo dal codice della danza classica, in cui la frenesia del tempo e della sofferenza che crea delle gabbia interiori viene esorcizzata con il movimento. La scelta dei costumi era più quotidiana con dei segni particolari.

 

 

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