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“La zattera di Nessuno”: la danza diversa di Piera Principe

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Un viaggio nella scrittura a partire dalle schegge, vere, della propria esistenza. Un itinerario “laboratorio” spinto tra la forza del cuore e la fragilità della forma, normalità e disagio, solitudine e terapia relazionale.  Unico il mezzo: la zattera, luogo di ritrovo, confronto e conforto.

Fitto di spunti dall’antica fonte omerica, La zattera di Nessuno. Diario di una danzatrice tra abilità e disabilità è il testo, interessante ed intenso, scritto dalla danzatrice Piera Principe, 84 pagine edite da Titivillus anno 2013, costo 12 euro e Introduzione dal titolo Lola aspetta (epiteto assegnatole da un partecipante alla zattera) a cura di Marco Baliani, amico dell’autrice a partire dalla partecipazione a un medesimo workshop. Autrice e in primo piano artista, Piera Principe, formatasi in Italia nel 1974, perfezionatasi a Parigi, New York e Boston, dedicatasi ai percorsi di ricerca e improvvisazione jazz danzando per i musicisti  Giorgio Gaslini, Stefano Battaglia, Piero Bassini, Daniele di Gregorio e Guido Mazzon. A seguire, entra a far parte dal 1999 della Compagnia Sosta Palmizi di Raffaella Giordano dedicandosi, in parallelo, a laboratori e master sulla didattica, sul teatro sociale e sulla direzione artistica di rassegne. Una vicenda umana e professionale che il 21 settembre 1985, a pochi giorni dal suo trentesimo compleanno, si arresta di colpo, per un drammatico scontro frontale sulla statale Milano-Cremona. Venti le fratture riportate. Poi, il coraggio di ripartire, come per una seconda vita, dopo quattro interventi alle gambe e ad un braccio, un anno di deambulazione con stampelle e fino alla ripresa, ma nella sfida di una danza “al limite”, tracciata fra la “memoria del corpo” e sperimentali poesie gestuali. Ed è stata la stessa Piera Principe – ospite a Napoli per la rassegna di Mario Crasto de Stefano “Quelli che la danza” – a spiegare l’essenza del suo pensiero. «Per riuscire a “danzare più nel limite che nell’abilità” mi basta ricordare la differenza aristotelica tra i termini agire e fare, dove l’agire è mettere il proprio atto in relazione con il senso, consapevoli della propria diversità. Ed è appunto dal mio corpo spezzato che ho imparato ad apprezzare il valore del limite come il valore dell’errore, uno spiazzamento inaspettato da cui vengono fuori linfa e nuove opportunità per ridisegnare lo spazio».

La narrazione, in sei capitoli dedicati a un doppio tema e a frammenti “manifesto”, ritagliati dunque come quaderni di un viaggio in cui ciascuno è Ulisse e sirene al contempo, guarda alla danza ma attraverso l’ipersensibilità psichica e corporea di Piera. «Un corpo – chiarisce subito Baliani in apertura di libro – che è stato campo di battaglia, spezzato, rotto, frantumato, fratturato dopo un incidente mortale e da cui lei è riemersa costruendosi dapprima una nuova crisalide per poi far sbocciare una nuova fragilità dell’essere».

Fra le pagine si legge l’appello per il rispetto dei diritti per chi in scena è diverso e gli spunti da cui germinano i suoi laboratori, le storie che ne nascono, il superamento dello spazio attraverso un ricordo o, semplicemente, un sorriso, un silenzio, un suono. Ci sono i flashback della sua formazione coreutica o dei giorni in famiglia e il gioco, fra compagni dello stesso viaggio. Ma sempre in filigrana, fra le parole del testo, c’è lei, «libellula – questa l’efficace metafora scolpita da Marco Baliani – che sbatte inutilmente le ali, non sa dove dirigere il volo, si perde». Fino poi a individuare la strada e, grazie a una diversa idea della danza tramandata fra i diversi tasselli del suo volumetto, a ritrovare se stessa.

Paola De Simone  

 

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