Alessia Gay nel ruolo di Gmazatti in La Bayadére - Foto Falsini

La puntualità  nel rispondere alle nostre domande fa immediatamente percepire che tipo di persona è Alessia Gay. Di origini piemontesi, la giovane e determinata  tersicorea del Teatro dell’Opera di Roma si racconta in questa lunga e interessante intervista. Dalla formazione ai problemi della vita, fino alla gioia di una carriera luminosa, iniziata davvero “in punta di piedi”, dopo l’inconsueta pausa di riflessione nell’immediato post-diploma. Alessia ci parla del suo rapporto con la danza e dei momenti più importanti della sua vita.

Iniziamo dalla sua formazione. Gli anni della scuola come li ricorda? Quali sono state le difficoltà e le soddisfazioni principali?

La mia formazione artistica è stata costellata di alti e bassi, come succede alla maggior parte di chi decide di studiare danza professionalmente.Conservo un bellissimo ricordo dei dieci anni passati alla Scuola Comunale di Danza di Casale Monferrato, la mia città natale. Era una sede distaccata del Teatro Nuovo di Torino, quindi, oltre alle mie insegnanti Maria Paola Casorelli e Andrea Judith Man, ho avuto presto la possibilità di incontrare e studiare con grandi nomi come Ramona De Saa e Maria Elena Fernandez della Scuola del Balletto Nazionale di Cuba. Ovviamente non ero che una bambina, ma non volevo fare altro che ballare e, appena percepii che, forse, possedevo quella marcia in più per continuare a livelli più alti, decisi di mettermi in discussione e feci l’audizione per la Scuola di Ballo del Teatro alla Scala. Fui ammessa al IV corso. L’impatto fu molto difficile e la situazione non migliorò nel corso dei due anni trascorsi a Milano. Nonostante il grandissimo impegno e la buona tecnica che tutti a scuola mi riconoscevano, c’era sempre qualche problema che riguardava la mia forma fisica. Sono sempre stata muscolarmente molto potente ed ero comunque un’adolescente nel periodo dello sviluppo; secondo la Direzione non possedevo il fisico per poter diventare una danzatrice. Furono anni molto duri, passati aspettando il fine settimana per poter tornare a casa. Fortunatamente la mia famiglia non mi ha mai lasciata sola, anzi, mi ha sostenuto ed è in gran parte merito loro se oggi sono qui a guardarmi indietro serenamente. Dopo questi due anni, nel 2001 passai alla John Cranko-Schule di Stoccarda, dove mi diplomai tre anni dopo. Quella di partire per la Germania è stata una delle migliori decisioni della mia vita. Ho avuto un’insegnante meravigliosa, che porto sempre nel cuore: Galina Solovieva. Diciamo che non sono state solo rose e fiori: tutte noi del corso avevamo un rapporto di amore e odio con lei, ma quando ci diceva “Meglio!”, non potevamo essere più felici. Alla fine dell’ottavo corso, tutte le mie compagne avevano ottenuto contratti in compagnie più o meno prestigiose; io no, ma ero riuscita a conseguire la maturità linguistica in Italia. Alcuni sponsor che assegnavano borse di studio agli allievi di Stoccarda erano venuti a vedere la nostra lezione. La mia Maestra ci presentò, dicendo di ognuna dove avrebbe lavorato l’anno successivo. Arrivata a me, mi prese la mano e disse: “Questa è Alessia. Lei è “professora”. E, nel pronunciare quelle parole, le sono brillati gli occhi. Lì ho veramente capito che mi stimava e che, ai suoi occhi, avevo fatto qualcosa di incredibile. Le ho voluto bene e sono stata corrisposta.

 L’inizio della sua carriera professionale. È andato tutto come si aspettava o il mondo del lavoro si è rivelato diverso dalle sue aspettative di allieva?

Come ho già detto, non ho iniziato a lavorare immediatamente dopo la scuola. Ho passato una sorta di anno sabbatico, in cui ho provato diversi generi di danza, dalAlessia Gay Tchjajkovskj Pas De deux - Foto Falsini contemporaneo al contact, dal jazz all’afro (addirittura!). Quando poi sono tornata alla mia passione originaria, ho avuto alcune esperienze in piccole compagnie private fino al giugno del 2007 quando sono entrata nel Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma. L’impatto non è stato così tragico come mi aspettavo. Mi avevano descritto l’Opera come un posto difficile, dove avrei fatto fatica ad ambientarmi e a farmi accettare. In realtà sono stati tutti molto carini con me, fin da subito. La signora Fracci teneva sotto osservazione tutti i nuovi arrivati e far lezione con lei che guardava e correggeva era come essere sotto esame tutti i giorni. Però mi ha affidato molto presto piccoli ruoli da solista e un posto nel corpo di ballo di tutti i balletti. Mi sono sempre impegnata per non deludere prima lei e adesso il M° Van Hoecke.

 Quanto ha influito la sua scelta professionale sulla sua vita privata?

La nostra non è una professione, ma una scelta di vita. Sembra una frase fatta, ma non lo è. Quello che noi facciamo ruota sempre attorno alla danza. Fin da quando, ragazzini, ci iscriviamo in una scuola professionale. Io sono andata via di casa che non avevo ancora quattordici anni. Come tanti, ho rinunciato ad un’adolescenza “normale” e ho allontanato amicizie o presunte tali , che non capivano la mia scelta. Dato che a scuola ero brava, il commento generale era: “Tanto intelligente e si riduce ad alzare una gambetta”. Io trovo tuttora impossibile condurre una vita come quella di una persona che svolge un lavoro, diciamo, più comune. Mi porto spesso il lavoro a casa e la testa continua a rimuginare sulle prove, le correzioni, le difficoltà tecniche e interpretative che sembrano impossibili da risolvere. Spesso mi ritrovo davanti allo specchio del bagno a provare un port de bras o un atteggiamento della testa, alla ricerca di quello migliore esteticamente. Da quando convivo con la persona che ora è mio marito, però, ho cercato di scindere i due mondi, provo a non caricarlo di tutto il mio stress. A volte è difficile, soprattutto nelle vicinanze del debutto in qualche ruolo, ma lui è molto paziente, mi supporta e mi capisce, essendo un musicista.

 Qual è stato il momento più difficile e come è riuscita a superarlo?

Per un periodo di circa un anno ho sofferto di ansia da palcoscenico. Io sono sempre stata piuttosto sfrontata: la giusta emozione, ma appena mettevo piede in scena passava tutto e mi divertivo. Poi, all’improvviso, forse dopo aver affrontato un ruolo particolarmente difficile, ho cominciato ad aspettare con timore l’arrivo degli spettacoli. Era un conto alla rovescia pieno di angoscia. Piangevo, mi svegliavo di colpo la notte e in scena facevo sempre qualche errore. Non è che ballassi male; alla fine lo spettacolo l’ho sempre portato a casa, come si suol dire, ma non vedevo l’ora che fosse finito. Poi, purtroppo, ho perso prematuramente la mia mamma e, da allora, tutto ha ripreso il giusto valore. Davanti a dolori così grandi la mente può essere terribilmente lucida. Da allora, ogni volta che miesibisco, lo faccio con gioia, come se lei fosse lì a guardarmi.

 Qual è stata la sua soddisfazione più grande?

La più grande soddisfazione è essere stata scelta da Patrice Bart per interpretare il ruolo di Odette/Odile nella sua versione de Il lago dei Cigni andata in scena nel dicembreAlessia Gay ne La Sylphide - Folo di Lelli-Masotti del 2013 e nel gennaio del 2014. Premetto che è un ruolo che mai avrei sognato di dover affrontare e non era neanche tra i miei preferiti, forse perché lo vedevo così lontano da me. Quando ho saputo che il M° Bart voleva farmelo studiare, sono stata sorpresa e incredula. Avevo lavorato con lui in Giselle con il pas de deux dei contadini e in Romeo e Giulietta nel ruolo di Rosalinda e sapevo che era contento di me, ma da lì a ritrovarsi a ballare uno dei ruoli simbolo del balletto classico… Quando il 24 dicembre mattina mi sono vista allo specchio del camerino con le piume e il diadema, stentavo a credere che quel cigno fossi io. Devo ammettere che ho pensato a tutti quelli che in passato mi avevano detto: “Lascia stare, non sarai mai una ballerina.” E’ stato un bel regalo di Natale.Comunque la vera soddisfazione è sapere di aver fatto sempre tutto basandomi sulle mie forze, che niente mi è stato regalato e che, anche se a volte vengo presa dallo sconforto, il lavoro e il sudore pagano sempre.

Le delusione più grande?

Nonostante siano passati quasi quindici anni e la mia vita artistica sia proseguita nel migliore dei modi, non potrò mai dimenticare l’ultimo esame che ho sostenuto alla Scuola della Scala nel 2001. Sono stata bocciata con una valutazione in tutto e per tutto insufficiente. È stato molto doloroso; è stata una vera batosta e per anni l’ho tenuto nascosto, vergognandomi. Dicevo che me ne ero andata di mia volontà. Ho visto il grande sogno della Scala rompersi davanti i miei occhi ed è stato duro da superare.

Il suo più grande rimpianto?

Solo uno. Nel 2008, la prima ballerina di un’importante compagnia europea aveva parlato di me alla sua direttrice e questa era disposta a visionarmi. È una compagnia che non fa audizioni pubbliche, solitamente attinge alla scuola di danza. Io le dissi di voler rimanere a Roma: era il periodo in cui iniziavo a interpretare i primi ruoli. Persi quel treno e treni così passano una sola volta nella vita. A volte mi chiedo quale esito avrebbe potuto avere l’audizione.

Cosa direbbe a una giovane promessa che intende intraprendere la carriera di danzatrice?

Le direi di studiare e osservare.Le direi di non mollare, anche quando la situazione sembra impossibile da superare. Il lavoro ripaga sempre. Le direi di conoscere i propri limiti, ma di non esserne schiavi. In realtà, non si sa mai fin dove si può arrivare e a volte i limiti si possono superare, se si lavora con dedizione. Le direi di usare sempre il cervello. I migliori danzatori sono quelli intelligenti, non quelli con sole doti. Il mix delle due cose è concesso a pochi eletti, ma anche noi “comuni mortali” possiamo arrivare lontano. Le direi di spaziare nello studio di molti generi diversi e di sperimentare: non ti rendi conto di quanto ti arricchisce qualcosa di diverso fino a quando non rimetti il tutù. Infine le direi di ascoltare i Maestri: ognuno ha qualcosa da insegnare.

Il lato più brutto del suo lavoro e quello più bello.

Alessia Gay Coppelia di Roland petie - Foto di Luciano RomanoIl lato più brutto, per quanto mi riguarda, è il fatto di potersi prendere raramente una vacanza al 100%. Non è un dramma, intendiamoci, ma mi piacerebbe staccare la spina, a volte. Noi finiamo la stagione estiva durante la prima settimana di agosto, rientriamo dopo un mese e alla fine di settembre siamo già in scena. Quindi, durante il periodo libero, ovunque mi trovi, cerco sempre di fare almeno una sbarra e indossare le punte, per fare in modo che i piedi non si abituino troppo alla “libertà”. Pare che sia piuttosto divertente vedermi lottare per mantenere l’en dehors sulla ceramica, letteralmente aggrappata allo stipite della porta! In quei giorni in cui invece mi fermo, la coscienza non mi lascia in pace continuo a ripetermi che dovrei allenarmi. Ma, d’altro canto, tutti i sacrifici valgono qualcosa quando metti piede sul palcoscenico. E poi non c’è niente di più bello per me quando, dopo aver ballato due, tre atti, variazioni, pas de deux, si chiude il sipario e non vedi l’ora di ricominciare tutto da capo. La stanchezza si annulla per un attimo e cominci ad aspettare con ansia il prossimo spettacolo.

Le rinunce più grandi?

Una rinuncia per tutte: la vicinanza fisica della famiglia. Quando ero una ragazzina mi mancavano i miei genitori, mio fratello, i nonni, ma adesso mi rendo veramente conto di tutto il tempo che avrei potuto passare con loro se non fossi stata in giro per i miei studi. Per carità, non rimpiango niente, ma, nei momenti di sconforto, quando qualcuno se ne va per sempre, se il tuo fratellino diventa uomo senza che tu te ne sia accorta, se nelle foto dei vari matrimoni, battesimi ecc. tu non ci sei mai, pensi che hai rinunciato a tanti Alessia Gay in Coppelia di Roland petie - Foto di Luciano Romanomomenti grandi e piccoli, ma ugualmente importanti.

Se potesse rinascere, rifarebbe tutto allo stesso modo?

In linea di massima sì. Anche le esperienze più difficili hanno fatto di me quella che sono adesso. Mi piacerebbe moltissimo riaffrontare la scuola ora, con il mio carattere di adulta: sarebbe interessante. In ogni caso, sono stata fortunata a trovare sul mio cammino tante persone che hanno creduto in me e hanno guardato verso di me con lungimiranza. Solo una cosa: andrei a fare quell’audizione che ho rifiutato. Così, per togliermi la curiosità!

 Maria Venuso

 

 

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