Vito Alfarano
Vito Alfarano in una foto di Dario Discanno

BRINDISI – La AlphaZTL Compagnia d’Arte Dinamica, costituita a Brindisi il 15 ottobre 2015 e diretta da Vito Alfarano, si occupa di danza contemporanea, video arte-danza/documentari, editoria, laboratori artistici nel sociale e contro la dispersione scolastica. Organizza anche il Brindisi Performing Arts: il festival delle arti performative.

La AlphaZTL, come indica il significato rinchiuso nel suo nome, vuole abbattere quelle barriere che non permettono l’integrità sociale. Lo scopo infatti è quello di dare voce a minoranze, a volte oggetto di pregiudizi, facendo arrivare l’eco quanto più lontana possibile. “Alpha” è un prefisso di origine greca che indica rispetto al termine cui viene apposto valore di negazione, mancanza e privazione. Z.T.L. è la sigla per “zona a traffico limitata”.

Vito Alfarano è presidente e direttore artistico della AlphaZTL Compagnia d’Arte Dinamica. Danzatore, coreografo, regista di video danza, nasce a Brindisi il 15 gennaio 1978. Dal 2000 inizia la sua attività professionale come danzatore freelance e lavora con vari coreografi. Con le sue coreografie e video danza ha ottenuto importanti riconoscimenti e ha vinto primi premi coreografici nazionali e internazionali.

Trasformare in video una coreografia nata per lo spettacolo dal vivo

Durante il lockdown, ha utilizzato lo streaming per le sue coreografie? Se sì, ha trasportato in digitale attività in corso oppure ha dato vita a nuovi contenuti?

Abbiamo nel repertorio della nostra compagnia uno spettacolo inerente la violenza sulle donne, dal titolo Viola(ta). Si tratta di un solo femminile, della durata di circa trenta minuti, e durante il lockdown lo abbiamo trasformato in videodanza. Ciò non significa riprendere con la telecamera lo stesso spettacolo che si realizza dal vivo, ma trasformare la coreografia. Il risultato di questa trasformazione, UnLoveMe, è stato inaspettato e, paradossalmente, è venuto fuori proprio grazie al lockdown.

Abbiamo lavorato con tredici danzatrici, analizzando gli aspetti psicologici e le conseguenze traumatiche delle donne che subiscono violenza. Ogni ragazza nella propria stanza, guidata a distanza da me, ha creato una propria parte coreografica. Sono nate così tredici storie: le abbiamo riunite a teatro nello scorso dicembre, dove abbiamo avuto la possibilità di riprendere, confezionandolo in una scatola nera. Quindi non abbiamo una collocazione definita dello spazio, per simboleggiare in maniera astratta l’abitazione della donna vittima di violenza. Uno spazio che dovrebbe essere sicuro, un luogo di protezione, è invece uno spazio che diventa nero.

Secondo Vito Alfarano, l’assenza del pubblico dal vivo cambia la danza?

L’ha cambiata in video. Per registrare UnLoveMe, avevamo sei telecamere sul palco, un po’ come in uno studio televisivo. Eravamo in diretta ma non avevamo pubblico dal vivo ed eravamo consapevoli che dall’altra parte ci guardavano molte più persone che dal vivo.

Ma creare una coreografia per il video è diverso da crearla per il pubblico dal vivo. L’assenza del pubblico dal vivo ha dato nuove dinamiche alla costruzione: uno spettacolo costruito per il video funziona poco per il teatro e viceversa. La telecamera, ad esempio, può girare attorno al performer; a teatro invece abbiamo solo una visione frontale, di solito. Lo streaming ti dà la possibilità di lavorare sui particolari e di cogliere tante situazioni che magari a teatro, data la distanza palco platea, non si coglie facilmente.

L’assenza del pubblico dal vivo ha quindi trasformato la danza, ma non la sua concezione. Non cos’è la danza e come deve essere. Si tratta sempre di danza ma il modo di rappresentarla cambia.

Danza, piattaforme streaming e TV

Che tipo di ritorno economico possono dare le piattaforme in streaming?

Le piattaforme in streaming, dove è possibile acquistare uno spettacolo e vederlo, sono un modo nuovo di fruire la danza. Certo, noi lavoratori dello spettacolo non abbiamo guadagnato molto dalle piattaforme in quest’anno, perché le compagnie si sono esibite anche gratuitamente pur di dire “Noi ci siamo, non siamo scomparse”. E anche quando siamo stati pagati, abbiamo guadagnato poco.

Ma se ben sviluppato, questo sistema di ritorno economico potrebbe portare ad avere un mondo parallelo. Da un lato lo spettacolo dal vivo e in parallelo lo streaming. Al contempo, però, sono certo che lo streaming non sostituirà mai la performance dal vivo perché c’è sempre bisogno di contatto.
Penso che questa nuova forma di fruizione sia un po’ come quando i danzatori sono approdati in TV. Potrebbero nascere delle rassegne virtuali che dovranno però essere una fonte di guadagno per il danzatore.

Se vogliamo, è un po’ come il lavoro degli influencer: prima dei social era impensabile, eppure oggi è diffuso.
Tutto si trasforma, cambia, ma la tradizione del teatro non morirà mai, come il balletto classico. Il teatro potrebbe essere madre di tante altre forme di fruizione.

Lei ha accennato, prima, alla televisione. Secondo Vito Alfarano, i canali tematici possono supportare lo spettacolo dal vivo?

Al momento ciò che manca sono proprio dei canali TV che supportino gli spettacoli dal vivo. Ci sarebbe bisogno di programmi televisivi che, oltre a far conoscere lo spettacolo, raccontino anche dell’autore e degli interpreti. La televisione ha un enorme potere: arrivare nelle case delle persone. Lo streaming si rivolge soprattutto ai giovani, la TV arriva a tutti.

La televisione potrebbe aiutare sostenendo autori e performer, e parlando degli spettacoli. Supportando le compagni di nicchia, non solo i grandi nomi. Bolle, per esempio, è spesso in TV e tutti ne parlano, ma esistono infiniti danzatori di talento. La televisione dovrebbe ricercare talenti, dare spazio ai nuovi e non sempre solo a chi è già famoso.

Non fare pubblicità a pagamento – non va bene pagare per apparire in TV – ma parlare di danza, raccontarla. Perché la danza è cultura, arricchisce, e se fossimo tutti più acculturati renderemmo il nostro paese un posto migliore.
Bisogna puntare sulla cultura e non esserne mai stanchi, ne beneficerebbe tutta la società.

I giovani e la formazione

Cosa pensa delle politiche di sostegno alle imprese giovanili?

Se fatte bene, vanno benissimo. Certo chi ha superato i trentacinque anni, e non è riuscito a emergere, è in disagio. Io farei anche cose per under25: persone che non sono ancora pronte ma che hanno grosso potenziale. Aiutarle a crescere, infatti, non vuol dire mettere i giovani sul palco e fargli fare uno spettacolo, e basta. Ci vuole formazione: fare crescere vuol dire formarle.

Quello che manca in Italia è la formazione: non abbiamo scuole di formazione coreografica riconosciute dallo Stato. Si deve dare la possibilità ai giovani non solo di lavorare alla realizzazione di uno spettacolo, ma metterli in condizione di creare autonomamente tanti bei spettacoli.

Vito Alfarano ritiene che il sistema di formazione abbia un ruolo nella difficoltà dei giovani a emergere?

Certo, la formazione è tutto, c’è bisogno della formazione adeguata.
In Italia l’unico diploma riconosciuto è quello dell’Accademia Nazionale di Roma. Nei licei coreutici, infatti, possono insegnare solo coloro che sono diplomati all’Accademia. Io questo non lo condivido. Ritengo che possano esserci realtà più piccole, private, che possono darti molto e molto di più rispetto al diploma dell’Accademia di Roma.
L’Accademia e i licei coreutici forniscono una base importante ma non bastano, c’è un mondo oltre. Sarebbe bello dare a questi ragazzi la possibilità di lavorare per un lungo periodo, e tante ore al giorno, e con quanti più docenti è possibile, perché una persona sola non può dare tutto.

Sarebbe bene, inoltre, selezionare i giovani al di là del titolo: non è detto che chi si forma all’Accademia sia bravo a insegnare.

Se avesse il potere di risolvere i problemi del mondo della danza, Vito Alfarano cosa farebbe per prima cosa?

Darei un corpo di ballo ad ogni teatro. Un corpo di ballo che avesse la possibilità di produrre più spettacoli di danza durante l’anno. Sarebbe bello, poi, se tali corpi di ballo potessero spostarsi, essere ospitati in altri teatri quasi come uno scambio, facendo così circolare tali spettacoli. Si porterebbe, in tal modo, la propria esperienza anche ad altri pubblici. In Germania accade già: ogni teatro ha il proprio corpo di ballo che non si esibisce solo in quel teatro. Il pubblico di quel luogo, in questo modo, può vedere spettacoli differenti, si crea una comunità attorno a quel teatro – utilizzando un termine di prima.

È bello arrivare da altre parti, farsi conoscere – non intendo far conoscere il proprio nome – far conoscere la propria identità, la propria arte. Adottare una compagnia che è nella propria città.

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