Velia Papa - direttrice Marche Teatro
Ritratto di Velia Papa - direttrice di Marche Teatro

ANCONA – L’inchiesta Covid-19 / si cambia danza prosegue con Velia Papa, direttrice di Marche Teatro, circuito nevralgico del centro Italia, sede di numerose iniziative dove la danza è creata, programmata e promossa. Dalla programmazione del Teatro delle Muse di Ancona, passando per le residenze creative (con oltre 300 giornate nell’ultima stagione 2018/2019) e il Festival Internazionale Inteatro a Polverigi. Un lavoro capillare sul campo, alla ricerca di talenti e pensieri innovativi, quello condotto da Velia Papa in quasi 30 anni di lavoro. Ha partecipato, inoltre, alla fondazione di diversi network europei, del circuito regionale AMAT e del Teatro Stabile delle Marche divenuto poi – sotto la sua direzione – Marche Teatro promosso dunque a Teatro di rilevante interesse culturale.
Ha collaborato con festival e eventi internazionale e ha tenuto attività di docenza nelle università italiane, oltre ad aver prodotto e distribuito decine di spettacoli.

Innanzitutto come sta?

Sto riscoprendo un tempo supplementare molto utile per approfondire questioni su cui non si ha mai tempo di riflettere abbastanza. Come tanti che fanno il mio lavoro, sono travolta da problemi gestionali, non posso certo dire di annoiarmi, lavoro più di prima e la cosa in parte mi preoccupa. Vorrei avere più tempo per leggere, per puro piacere, lo ammetto.

Sta riscoprendo un nuovo modo di lavorare in questo periodo?

In parte sì. Trovo molto interessante il fatto che in questo periodo sto riprendendo delle relazioni che si erano interrotte, ho modo di parlare con persone con cui avevo collaborato e che non ho più sentito per un po’ di tempo. In questo momento è importante tenere viva creatività e capacità di progettazione, pensando al futuro non in modo preoccupante. Per natura sono abbastanza ottimista e credo nel futuro. Per cui è fondamentale per me mantenere dei contatti, dialogare e nutrire una capacità di pensare e progettare in modo attivo e positivo.

Questa emergenza finirà, viviamo in uno stato temporaneo e dopo ci saranno altre problematiche da affrontare. Quali possibili scenari immagina per il mondo dello spettacolo dal vivo e per la danza?

Sul settore dello spettacolo dal vivo pesano delle grosse incognite, dovremmo sapere quando riusciremo a riaprire i teatri in una configurazione normale e non ridotta o provvisoria. Al momento il Governo ha promesso misure di supporto per evitare il crollo del sistema dello spettacolo dal vivo. Presumibilmente le strutture più forti avranno la capacità di rimanere salde ma occorre ricordare che ce ne sono tante più piccole che potrebbero avere ripercussioni insanabili.

Cosa ne pensa delle misure attuative del decreto Cura Italia del 17 marzo?

Sarà fondamentale capire la divisione del fondo tra settori e le misure attuative relative agli ammortizzatori sociali per i lavoratori. Il discorso è molto più generale e complesso perché gli ammortizzatori non sono sufficienti neanche per altre categorie. Per quanto riguarda lo spettacolo dal vivo sarà fondamentale tutelare l’intera infrastruttura poiché senza di essa non ci sarà neanche il lavoro per gli artisti. Non credo si possa dare un giudizio definitivo su queste misure poiché la loro attuazione è ancora in divenire, come  del resto l’emergenza sanitaria che, ovviamente, ha la priorità.
L’incertezza finanziaria però va comunque limitata perché navigare a vista risulta difficile. Non sappiamo come il fondo per lo spettacolo – quello del decreto Cura Italia – sarà gestito e secondo quali criteri verrà diviso tra  spettacolo dal vivo e cinema. A mio avviso il settore dello spettacolo dal vivo dovrebbe essere più sostenuto in quanto maggiormente colpito.

Lo spettacolo dal vivo senza il “live” non esiste, ma diventa appunto “riprodotto” mediante la tecnologia video e quindi diffuso. Ma non è la sua condizione naturale di partenza.

Certo, può essere ed è già una fruibilità alternativa ma che non sostituisce quella primaria e più preziosa dell’esperienza dal vivo, semmai la affianca. Lo spettacolo dal vivo si fonda sulla condivisione, in uno stesso spazio e in uno stesso  tempo, di un’esperienza artistica  con carattere di unicità. Questa  particolarità lo rende prezioso per la nostra società ma anche più fragile.

Molte decisioni sulla nostra vita sociale sono in divenire per tutelare la salute pubblica. Ad oggi non sappiamo cosa può verificarsi nei prossimi mesi. Come operatore culturale che tipo di strategia pensa sia il caso di mettere in atto per far ripartire la tua attività?

Riprenderemo in autunno? Non lo so. Siamo in chiusura di stagione, abbiamo subito grandi danni, a causa dello stop delle tournée e delle attività di programmazione. Se riuscissimo a ripartire con la nuova stagione – scossi ma più o meno indenni – potremmo rilanciare sulla comunicazione per rinnovare il desiderio di condivisione. Sono fiduciosa e credo che il pubblico abbia ancora voglia di frequentare i teatri. Naturalmente bisognerà farlo in condizioni di massima sicurezza possibile. Se fossimo costretti a mantenere la distanza sociale sarebbe devastante. Dovremmo dimezzare la capienza delle sale e ciò significherebbe non solo una perdita economica ma creerebbe anche un clima di sfiducia e di paura. Il fatto della distanza è una questione che non permette di stare a proprio agio e godere della  relazione tra artista e spettatore.

Occorre valutare soluzioni alternative per la ripresa?

Se i teatri non potranno riprendere nella loro configurazione normale, converrà lavorare in una dimensione spaziale differente; modificando il rapporto tra scena e platea. Parliamo di soluzioni possibili, ma attuabili solo con investimenti maggiori dati i presumibili minori incassi.

E condiziona il versante creativo, artistico. No?

Per quanto ci riguarda lavoriamo già da tempo con modalità site specific. Ma si tratta pur sempre di esperienze occasionali che non possono sostituire un’ intera stagione teatrale. Il teatro inteso come edificio dotato di un palcoscenico e una platea può essere difficilmente usato praticando forme di distanziamento sociale

Le priorità da delineare da qui in avanti dipendono dai vari sblocchi che – si spera – arriveranno nei prossimi tempi. Prima parlava di lavorare all’aperto e lei si occupa anche di un festival che si svolge abitualmente d’estate, il Festival internazionale InTeatro a Polverigi. Cosa può dirci di questa iniziativa?

Il festival si occupa di innovazione artistica e sono fiera di dire che per giugno 2020 abbiamo previsto un bellissimo programma. Non abbiamo ancora deciso cosa fare poiché giugno è un mese a rischio, incredibilmente vicino. Inoltre il festival è un’iniziativa orientata, come tradizione vuole, all’ospitalità internazionale. Visto quello che sta succedendo è molto problematico poter confermare inviti dall’estero. La nostra idea, in caso di cancellazione, è riprendere gli spettacoli successivamente e sicuramente lavorare nel corso dell’anno a progetti site specific. Le collaborazioni in essere con gli artisti ci permettono di pensare anche ad  un teatro a km 0 ma pur sempre, idealmente, proiettato fuori dai nostri confini territoriali.

Si può quindi ipotizzare una rimodulazione dei programmi artistici anche in virtù di queste particolari esigenze geografiche?

La nostra attività è molto orientata ai progetti internazionali e ovviamente questi stanno soffrendo più di altri. Tutta l’ossatura di un lavoro importante condotto in questi anni per promuovere gli artisti italiani all’estero ovviamente sta subendo una grande crisi con una forte ripercussione sulla capacità di relazionarsi con un mercato internazionale. La danza italiana per esempio suscita un grande interesse da parte dei promotori stranieri. Come Marche Teatro – Inteatro Festival siamo capofila di Crossing the sea, progetto realizzato col supporto del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali all’interno del bando Boarding Pass Plus che promuove e sostiene la mobilità artistica. Per anni abbiamo ragionato su cosa significa la mobilità artistica intesa come attraversamento dello spazio, in senso geografico. Questo concetto ora è completamente in crisi.

Sul piano internazionale quindi la crisi si sente ancora di più e pesa sia su fattori interni che esterni, gestionali e creativi.

Credo che ci dovrà essere una maggiore prudenza nel valutare gli spostamenti. Di contro ci sarà un maggiore sviluppo della scena locale. Cambierà anche la contrattualistica: bisognerà prevedere nuove norme efficaci che possano regolare situazioni impreviste. Ma non possiamo abbandonare l’idea della mobilità perché la possibilità di attraversare i confini non è solo un bisogno insito nella nostra natura ma anche un’esigenza professionale e di crescita. Prima del diffondersi del virus la mobilità aveva pochi condizionamenti, ora occorrerà essere più cauti e meno spensierati…

Tutto ciò ci costringe a ripensare a un mondo nuovo, a metterci in discussione e a ripensare ad abitudini e a concetti come libertà, socialità, confronto. Pensi che la pausa si stia rivelando utile in tal senso?

Non si può far finta di niente e niente sarà come prima. Tanto vale la pena cominciare ad affrontare il cambiamento da subito. Non c’è più niente di scontato e dovremo esercitare tutta la nostra creatività e capacità di resilienza per adattarci a questo nuovo mondo.

Bisognerà trovare un senso a questo nuovo mondo? Il mondo artistico può fare da guida ad esso?

Certo, per questo motivo gli artisti vanno tutelati prima degli altri. Il lavoro artistico è essenziale per lo sviluppo armonico di una società. È un valore inalienabile che dobbiamo con forza difendere.

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