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Lo riusciamo a contattare al telefono, tra una prova di Amici e un’altra. Ugo Ranieri, per anni sulle scene come  primo ballerino del “Teatro San Carlo”, ci   racconta le esperienze fatte nel corso della sua lunga carriera di danzatore  e gli ultimi anni, trascorsi in giro per l’Europa, come maitre de ballet delle grandi compagnie di balletto internazionali. Oggi, da qualche settimana, prova una nuova esperienza: è entrato a far parte del cast, in qualità di maestro, nella Scuola televisiva di “Amici” di Maria De Filippi… ma ci confessa senza remore che il suo amore resta il Teatro.

 

 

Cosa determinò la sua scelta di iscriversi ad una scuola di danza e per la precisione presso la scuola del Lirico della città?

Avevo 10 anni quando mia madre mi portò a vedere al San Carlo la Coppelia di Roland Petit, che poi, per uno strano scherzo del destino,  ho ballato come interprete dopo tanti anni. Mi incuriosii subito: quello che destava il mio stupore oltre ai cambi di scena, alle luci, al visibile era tutto quello che c’era dietro lo spettacolo. Le chiedevo quali erano gli esercizi che i ballerini dovevano fare per prepararsi, i passi, quante ore dovevano allenarsi…Mia madre, che amava il balletto, qualche tempo dopo mi iscrisse alla scuola di danza del  Teatro. In realtà io non avevo espresso questo desiderio, infatti  all’inizio mi annoiavo molto a fare il riscaldamento alla sbarra. Ero incuriosito ai quei tempi, non ancora innamorato della danza.

Cosa ricorda di quei primi anni di studi?

Allora per entrare a Teatro si passava sotto il palcoscenico. Ogni volta che arrivavo, ascoltavo la prova d’orchestra, mi inebriavo del  profumo  del teatro, mi lasciavo catturare dalla sua imponenza. Al primo corso ho cominciato a fare le prime comparse nelle opere, facevo parte del coro delle voci bianche e mi sentivo importante a partecipare agli spettacoli. Poi, col tempo, mi sono letteralmente innamorato della danza.

Quasi tutti i grandi ballerini agli inizi delle loro carriera  hanno avuto una “buona stella”: qualche coreografo o ballerino già maturo e importante che li ha notati e li ha scelti per un ruolo. La sua “buona stella” fu Vladimir Vasiliev che, all’età di 16 anni, lo scelse per una sua coreografia come primo ballerino. Cosa ricorda di quel momento, e di questa grande personalità del mondo della danza?

Ero al settimo corso quando lui venne a Teatro per rappresentare le sue coreografie: “Frammenti di una biografia” e  “Voglio danzare”. In quell’occasione mi osservò durante una lezione  e  dopo poco mi propose di partecipare  al suo balletto come primo ballerino! Lo ricordo come un uomo di un’umiltà pazzesca, amichevole, gentile, rigoroso nelle prove. Nulla a che vedere con alcuni personaggi di oggi che vivono della loro gloria. Lui, che ha rappresentato la danza nel mondo, è ancora oggi una persona semplice, come tutti i grandi.

Nel corso di tutti questi anni trascorsi dentro la vita pulsante del San Carlo,  avrà avuto modo di conoscere migliaia di artisti, maestri,  coreografi che hanno fatto la storia del balletto del ‘900. Chi le è rimasto più impresso?

Ricordo con particolare affezione e trasporto emotivo Roland Petit.  Ho ballato molto per lui.  Sono stato uno dei pochi italiani ad interpretare insieme a Bolle Le jeune homme e la mort: un grande capolavoro con le musiche di Bach e il libretto di Cocteau. Quando Petit era in sala c’era la netta sensazione di  avere davanti un grande;  lavorarci a tu per tu è stata un’esperienza unica. Ma negli anni la nostra compagnia ha avuto l’onore di lavorare con coreografi ineguagliabili:  Nureyev, Cranko, MacMillan, Balanchine. Provare con loro è stato un onore, ma ci sono stati anche coreografi minori con cui ho lavorato bene.

Ci racconta qualche aneddoto che riguarda un incontro particolare?

Quando provavamo con Nureyev c’era tra di noi del corpo di ballo una tensione massima. Lui cominciava le prove con il gruppo e poi decideva chi doveva danzare il ruolo. Era una specie di audizione, e tra noi ragazzi c’era un antagonismo pulito. Ora non è più così…

Negli ultimi tempi il San Carlo ha avuto non poche difficoltà ed è stato al centro del dibattito politico cittadino. Cosa risolverebbe, secondo lei, i disagi permanenti del Massimo partenopeo?

Si deve portare il San Carlo a livelli europei. Siamo in una città fantastica e questo Teatro non è abbastanza sfruttato.  Sicuramente oggi la cultura è in perdita, un grande spettacolo costa e non si può andare in attivo con  la vendita dei  biglietti. All”estero funziona così: se fanno ad esempio una produzione di Lago dei Cigni, la ripetono poi ogni anno, se non ogni due anni, per cui ammortizzano le spese di scene costumi, coreografie e ballerini. In Italia, invece,  ogni volta si rifà una nuova programmazione con pochi spettacoli. E non si può addurre come scusa che  il balletto non è seguito. A Napoli, quando c’è un balletto,  il teatro è sempre pieno fino all’ultima balconata.

Prima di entrare come stabile al San Carlo nel 1987, lei ha ballato in giro, in molti teatri italiani: Arena di Verona, Teatro dell’Opera di Roma, Teatro Comunale di Firenze. Poi ad un certo punto ha deciso di rientrare…

 Io sono rientrato a Napoli perché vedevo che la situazione negli altri teatri italiani era la stessa. Facevo le stesse produzioni che si mettevano  in scena al San Carlo. Perché stare lontano dalla mia città? Il San Carlo come atmosfera, come pubblico è il più bello d’Italia.

poi è arrivata la nomina a primo ballerino…Che ricorda di quel giorno?

Mi hanno dato la carica ufficiale nel ‘94 ma in realtà ballavo i primi ruoli dall’ ‘87. Il direttore di allora Roberto Fascilla  propose al Soprintendente  me e la Spalice come primi ballerini. Ho provato subito un forte senso di responsabilità: quando diventi primo ballerino, poi lo rimani fino alla pensione. Ci tenevo a dare il buon esempio agli altri ballerini…

Lei ha ballato con partner di levatura mondiale: da Ambra Vallo a Viviana  Durante… Esiste per un primo ballerino “l’anima gemella” del palcoscenico?

Direi di no… Con ogni partner si instaura un feeling differente a seconda dei ruoli. In Coppelia ho ballato bene con Viviana Durante. Le coreografie di Luciano Cannito, sembravano create quasi apposta per me ed Ambra Vallo. Con Giovanna Spalice ho ballato molti altri ruoli…C’è  sempre un feeling però:  come due amici che si ritrovano.

La vita di un danzatore è fatta di tanta fatica: di una stanchezza che talvolta diventa cronica e di sacrifici costanti e continui… Cosa dà la forza a proseguire nei momenti difficili?

Sacrifici? Non li chiamerei proprio così. Se hai la passione, quella forte, incontenibile, che ti scorre nelle vene, ogni stanchezza la superi. L’amore per il Teatro mi ha  aiutato sempre  a recuperare. Crolli, e dopo due giorni resusciti. Certo, capitano volte che a fine spettacolo, per la stanchezza, non mangiavo neanche. Un bicchiere di latte e a letto. Altre volte  mi concedevo cene luculliane con gli altri  ballerini e  il coreografo. Mia moglie, che insegna danza al San Carlo, mi ha sempre capito e  sostenuto nei momenti più duri. Un ballerino ha tante insicurezze. E’ una sfida continua con se stessi. Ma se lavori bene, ti viene ripagato tutto.

Nel 2005 lei diventa maitre de ballet e assistente alla direzione della compagnia di balletto del teatro San Carlo. Dalle luci della ribalta come ballerino, al dietro le quinte come maestro…  Cosa le ha dato di positivo questo nuovo ruolo?

Il merito è molto di Elisabetta Terabust che mi ha aiutato a diventare maitre de ballet del San Carlo. Ho iniziato a dare lezioni alla compagnia e successivamente a rimontare spettacoli per altri coreografi: Lo Schiaccianoci per Deane, Don Quixote di Carbone, le danze nella Traviata di Massimo Ranieri. Poi mi hanno chiamato a Zagabria per rimontare Schiaccianoci, a Roma al Teatro dell’Opera, ad Atene e al Massimo di Palermo. Oggi viaggio di continuo per allestire in giro balletti e rimontare coreografie.

Appena qualche settimana fa, è arrivata la nomina di Maestro ad “Amici”, il talent show di Maria De Filippi. Come è stato passare dal mondo magico e ovattato del teatro all’arena mediatica, e sovraesposta della televisione?

 Questa di Amici è una parentesi. Ho un bellissimo rapporto con i miei allievi della scuola. Seguo in particolare Oscar, un ragazzo cubano. Ma il mio amore resta  il teatro.

Come è la vita da Maestro negli studi di Amici?

Do lezione agli allievi e poi seguo Oscar nelle prove. Il successo, quando sei maestro,  è vedere che il tuo allievo migliora. Quando arriva il giorno della prima di un mio spettacolo, o quando i miei ragazzi si esibiscono in onda, sono emozionato nello stesso modo di quando ero io ad entrare in scena.

Che cosa nota di diverso tra gli studenti di una classe di danza del Teatro e gli allievi che studiano danza ad Amici?

Il mondo televisivo non è paragonabile a quello del Teatro. La televisione ricerca il personaggio. I ragazzi che si avvicinano alla televisione hanno delle ambizioni diverse.

In che direzione va oggi la danza?

In una direzione che vedo piena di ostacoli. Nei teatri italiani stanno diminuendo  le compagnie di ballo e le produzioni, per cui i ballerini di talento decidono di andare all’estero. L’Italia è piena di giovani talentuosi e nel mondo i grandi teatri vengono valorizzati. In giro ci sono molti più titoli in cartellone e le produzioni  di danza sono frequentissime. Un ballerino ha bisogno di andare in scena sempre. Danzare è la sua linfa vitale. Inseguirà sempre la danza, come si insegue un grande amore. E se qui ce n’è poca, sceglierà di andare dove c’è, a costo di spingersi molto lontano…

Gea Finelli

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