AOSTA – Si è concluso il T*Danse, Festival internazionale della nuova danza di Aosta, e Campadidanza ha avuto occasione di farne esperienza diretta nella giornata del 5 maggio.

L’atmosfera che si respira entrando nella Cittadella dei Giovani è quella di una grande famiglia, appassionata ma anche concentrata. Un gruppo di giovani, ognuno con la propria esperienza, qualcuno del luogo e qualcuno no, determinato ad aprire la piccola città valdostana alla sperimentazione e allo scambio.

Biografia di un corpo

Una serata tra corporeità e ritualità

In prima serata tocca a Davide Valrosso con la sua coreografia nata nel 2018 Biografia di un corpo. Il danzatore si presenta al pubblico, guardandolo direttamente e ispezionandolo, nella sua essenziale nudità. Entra poi in scena il secondo protagonista: la luce, che si fa lente del corpo e strumento di comunicazione di esso. La figura viene frastagliata in ombre, parti e proiezioni. Il tutto mediante un preciso lavoro sul dettaglio e su micro movimenti: si tratta di un’energia centellinata, rivolta verso l’interno, ma non per questo meno “piena” e espressiva. Valrosso mette a disposizione il proprio corpo per far vivere a ciascuno spettatore ogni biografia possibile.

A seguire la prima assoluta di Dov’è più profondo di Irene Russolillo. La creazione parte da una ricerca su canti popolari locali. Ciò che ne viene fuori è un risultato sorprendente e inaspettato. Gesto, suono e immagini comunicano in un crescendo di dinamicità e espressività. Il movimento viene generato dal contatto con le parole dei canti dei lavoratori, dal dialogo con il passato e da un’indagine su una ritualità perduta. Così un lavoro che nasce dalla scoperta di piccole realtà alpine si fa discorso universale. La performer rende nuovamente vive le origini e la storia.

Dov’è più profondo

Il ritorno all’esperienza condivisa

A fine giornata la buonanotte viene data da Innesti – Un (altro) discorso tra memorie, performance audiovisiva creata in tempo reale da Andrea Carlotto, Enrico Montrosset e Alberto Ricca. Una riflessione sullo statuto e la natura delle forme di arte dal vivo realizzata con la partecipazione del pubblico attraverso una camera Zoom. L’idea è nata nel contesto di isolamento causato dalla pandemia e ha tra i suoi obiettivi lo sviluppo di momenti di senso, attività e condivisione traslati nel privato.

Si può dire che sia un intento perfettamente in linea con la politica del Festival diretto da Marco Chenevier e Francesca Fini. Il T*Danse, infatti, pare girare attorno a quell’idea di comunità che il teatro è stato costretto a mettere da parte a lungo. Un concetto che non va dimenticato, ma ricostruito e rafforzato. Più di 20 eventi multidisciplinari in due settimane di programmazione tra spettacoli, performance e masterclass; tanti gli artisti, i coreografi, i danzatori, i tutor e gli studenti coinvolti; 15 gli Host che hanno messo a disposizione le proprie case per ospitare gli artisti; 259 i biglietti venduti durante le quattro serate di spettacolo.

Ma il Festival aostano lascia spazio anche alla chiacchiera, al bicchiere di vino bevuto insieme. Permette di dialogare, di porsi delle domande, di influenzarsi a vicenda e crescere congiuntamente. E ancora si parla di ritorno alle origini: la danza, il teatro e l’arte vissuti quali esperienza condivisa.

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