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Berlino è definita oggi capitale europea dell’arte e folle e folle di stranieri (soprattutto italiani) fanno le valigie ed approdano in questa città tentando di mettercela tutta per lavorare e trovare la propria strada.

Trovandomi di passaggio, ho intervistato una scultrice, Ilona Ottenbreit, che da diciassette anni vive e lavora a Berlino. Sono andata a trovarla nella zona di Treptow, dove ha un atelier insieme ad altri cinque artisti ed una galleria condivisa dedicata a spazi performativi.

Arrivate nel suo atelier, Ilona mi ha mostrato parte dei suoi disegni e delle sue sculture, mentre, intanto, nella galleria si svolgevano le prove per una performance, dal titolo Homo Utopiens, nata proprio da alcune sue sculture realizzate con rami di alberi e carta che andrà in scena il 3 e 4 maggio. Nella performance, insieme alle sculture, videoproiezioni, musica classica ed elettronica e due danzatori (un uomo ed una donna) interverranno nello spazio.

La domanda è: cosa succede dopo l’avvenuta fine del mondo, quando si ha a che fare con la presenza dei resti?

Così ho cominciato ad intervistare Ilona.

 

Ciao Ilona, piacere di conoscerti. Che bello questo spazio!

Si, questa è la mia galleria, che condivido con altri cinque artisti e che non è facile tenere, in quanto sono anni che i proprietari dicono che vogliono buttarci fuori, nonostante noi paghiamo regolarmente l’affitto. Qui, contrariamente a quanto si dice, non è proprio un paradiso per gli artisti, sai?!

Lo spazio è installato con delle mie sculture, realizzate con rami di alberi, che sono l’immagine della staticità e della morte impressa sui corpi, quindi freddi, immobili, posizionati, però, in uno spazio dinamico, in cui giochi di luci ed ombre si riflettono e danzatori si muovono nello spazio interagendo con loro. E’ un raccogliere i resti, dopo la distruzione e la domanda che ci siamo posti è: Come li raccogliamo questi resti? Lo facciamo con rabbia e rimorso? Con cura e delicatezza? Stiamo ancora investigando. Non è tutto già svelato, ovviamente.

 

Raccontami un po’ di te come artista? 

Ho studiato all’Accademia dell’Arte di Berlino e sono nata in una città vicino Stoccarda. Ho studiato per sei mesi anche all’Accademia di Brera, dove ero molto giovane e non conoscevo ancora bene il mondo artistico. Fu un’esperienza forte nel bene e nel male, ma pur sempre un’esperienza che mi ha segnata. Come hai visto, la mia specificità artistica è quella di fare disegni a matita e ad olio su tela in un’unica linea in cui si crea un corpo che attraversa varie dinamiche, per cui diventa un plurale di corpi con arti che si confondono. Vedi qui c’è una gamba che sembra il braccio di un altro, qui, invece, questa figura non è finita. Il tutto come vedi molto stilizzato. Di alcuni di questi disegni, ho realizzato anche delle sculture in bronzo. Ne ho tanti così, ma, a volte, penso che mi sarebbe piaciuto essere più astratta o magari iniziare a cambiare un po’ stile per diversificare anche il lavoro. Ho lavorato con delle modelle, seguendo la classe di nudo. Dal 2010, ho iniziato a lavorare con i corpi dei danzatori per realizzare delle performances in modo tale da unire alla scultura anche il linguaggio della danza. E’ nata così, infatti, l’esperienza di Dimensionen nel 2012, titolo che poi è diventato il nome del gruppo. Alla danza si unisce anche il linguaggio della musica. In Homo utopiens ci sono una violoncellista ed un musicista che compone musica elettronica, insieme, poi, al linguaggio delle videoproiezioni che ben si sposano con la scultura e con lo spazio performativo. I giochi di ombre e di luce riesplorano lo spazio, le sculture ed i movimenti dei danzatori in modo tale da influenzarli.

 

Come hai unito, allora, in questo lavoro performativo danza-musica-scultura e video proiezioni? Bello complesso come lavoro! 

Diciamo che tutto è nato dalle sculture e dall’esigenza di infondere un messaggio artistico. Il lavoro che stiamo facendo è molto impegnativo ed è in ricerca ed in sperimentazione continua, soprattutto nella fase in cui ci troviamo adesso. I danzatori (Abel Navarro e Giovanna Rovedo) sono esseri attivi che parlano con il movimento del corpo all’interno di un ambiente in cui c’è fissità, anti-dinamica e morte. A questo si lega il lavoro delle videoproiezioni (a cura di Anika Kuntze) che creano giochi di luce e buio, la musica del violoncello (Tina Dünkelmann)  e quella elettronica (Sean Barrett) che si fronteggiano. Ogni personaggio -anche io stessa sono nella performance-ha un carattere specifico con il quale si presenta nel suo processo creativo e con il suo proprio linguaggio, ora quello della musica, ora quello della danza e poi del video. Io stessa vorrei sperimentare, ora, il fatto di disegnare simboli sulla parete, rimandando così a qualcosa di primitivo, ovvero agli uomini che disegnavano graffiti nelle caverne. Il bello della performance è che puoi sperimentare sempre tanto anche se poi, ad un certo punto, devi dare un “taglio” ed una direzione precisa al lavoro, se no rischia di disperdersi.

 

Bene Ilona. Grazie davvero. E’ stato molto bello.

Si, anche per me. Invito tutti allora a vedere lo spettacolo, Homo utopiens,  il  3 e 4 maggio alle ore 21 ad M3, Atelierhaus (Mengerzeile 1-3  12435 Berlino).

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