NAPOLI – Sara Lupoli, Napoli classe 1987, è una danzatrice, performer, coreografa e autrice multimediale. Finalista dell’edizione 2022, la decima, di Residanza – La casa della nuova coreografia, bando di residenza coreografica portato avanti da Movimento Danza. Il lavoro presentato è Wood, installazione performativa elaborata insieme a Marianna Moccia e interpretata in solo da Maria Anzivino.

Tra Rosarosaerosae e Wood

Non riusciamo a incontrarci di persona così organizziamo una chiacchierata telefonica che si rivelerà piacevole, almeno dal mio punto di vista, e priva di formalismi. Sara è a poche ore dal suo debutto al Teatro Bellini di Napoli con Rosarosaerosae ed è da lì che inizia la conversazione.

Ci sono dei punti di contatto tra Rosarosaerosae e Wood? In qualche modo possono essere considerate due tappe dello stesso percorso oppure no?

Secondo me c’entrano nella misura in cui un’intenzione è quella di far capire che c’è una mano, una visione. Ma c’è una sostanziale differenza nella ricerca. Rosarosae è una ricerca personale, sulla femminilità. Forse non ha nemmeno una dimensione narrativa, piuttosto indaga il mio rapporto con l’identità e il genere. Mentre Wood è un lavoro più concettuale. Entrambi sono fortemente visivi, contemplano l’utilizzo di oggetti, ma il rapporto con il corpo è diverso. In Wood il corpo si nasconde, si trasforma, mentre il Rosarosae è evidentemente un corpo umano e, nello specifico, femminile.

FUNA e l’idea con Marianna Moccia

Come nasce Wood?

Wood è un progetto che nasce insieme a FUNA, a due mani con Marianna Moccia, che, oltre ad essere una mia carissima amica, è una coreografa e artista con la quale collaboro da tempo. È arrivato prima l’oggetto, tavole concave che vengono utilizzate generalmente nel pilates o con i bambini per farli giocare. Ci sembravano oggetti pieni di possibilità. Abbiamo iniziato con una ricerca a tre corpi, poi pian piano ci siamo rese conto che sarebbe stato interessante anche concentrarsi su un corpo solo e più oggetti.

Quello che forse più mi ha colpito di Wood è il suo carattere fortemente attuale. Questa precarietà, ricerca di equilibrio e adattamento, in una società contemporanea in cui si tende, al contrario, alla produzione sempre maggiore, all’espansione, all’invasione di spazi altrui e naturali.

Nella metafora c’è assolutamente un disagio evidente attuale e anche questo è una cifra sulla quale vogliamo ragionare al fine di migliorare e perfezionare il lavoro. Da un lato c’è sicuramente questo. Nel momento in cui ci sembra aver raggiunto una forma, che più o meno soddisfi, una sensazione di equilibrio, poi avviene qualcosa o si fa qualcosa che fa ritornare in quello stato di precarietà e incertezza. Anche noi artisti è un qualcosa che viviamo quotidianamente. Anche poi nello sviluppo coreografico ci farebbe piacere tornare all’idea che ci possano essere più corpi e più oggetti (o forse nemmeno così tanti per tutti) così da potere espandere questa metafora dell’adattamento.

Da un lato restare flessibili, dall’altro tenere gli occhi aperti

Lei è stata finalista anche nell’edizione precedente, ormai è un mondo che conosce bene. Quanto sono importanti, secondo lei, realtà come quella di Residanza? Ce ne sono abbastanza in Italia?

Io ho avuto un rapporto anche con la Francia, dove sono stata dal 2008 al 2016. Personalmente, quando sono tornata ho avuto la fortuna di ricevere parecchio spazio e sostegno dalle realtà del territorio, tra cui Movimento Danza, ma anche ArtGarage ed Emma Cianchi o Gennaro Cimmino. Poi per quanto riguarda il discorso di creazione da un punto di vista più ampio la situazione non è facile soprattutto per la danza che non riceve dei fondi ministeriali tali da sostenere produzioni che possano coinvolgere più persone, impianti tecnici di un certo tipo, eccetera. Non è una situazione rosea ecco. In più ancora attuale è la cosiddetta “questione meridionale”, in cui c’è una differenza tra nord e sud, forse anche di tradizione, ma soprattutto di attività dei Centri di Produzione.

Un consiglio alle giovani leve che si stanno ora approcciando al mondo produttivo e creativo.

Da un lato restare molto aperti alle possibilità che arrivano. Dall’altro rimanere, fin da subito, con gli occhi aperti rispetto proprio al concetto di professione. Non svendere le proprie conoscenze, il proprio sapere. In un settore in cui i confini sono sempre un po’ labili bisogna stare attenti alle condizioni che vi si propongono.

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