Romeo_O.Novikova_L.Sarafanov photo N.Razina

Romeo e Giulietta andato in scena in questi giorni al Teatro di San Carlo di Napoli con i solisti e la compagnia di ballo del Massimo napoletano e due notevoli coppie di primi ballerini, Leonid Sarafanov e Olesja Novikova in alternanza con Alessandro Macario e Anbeta Toromani, è un’interessante operazione di documentazione e recupero storico.   Il  direttore artistico del Teatro Paolo Pinamonti  ha infatti spesso ribadito l’intenzione di proporre stagioni di opera e balletto in cui oltre l’attualità andasse in scena il repertorio, sia quello del San Carlo che quello di importanti teatri internazionali.  Questa versione di   Romeo e Giulietta è  la ripresa della prima realizzazione  di Leonid Lavrovsky andata in scena per il teatro Mariinsky, allora Kirov di San Pietroburgo, sotto la supervisione dello stesso compositore Sergey Prokofiev.  Se si considera che la storia di Shakespeare degli amanti di Verona è il balletto più rappresentato del Novecento e che ha ricevuto la maggior parte di riscritture coreografiche, si può dire che siamo di fronte ad un’importante operazione di recupero storico. Questa versione, infatti, segna un fondamentale momento di passaggio nella storia del balletto occidentale: è il primo balletto narrativo lungo a più atti dopo la rivoluzione coreografica iniziata da Mikhail Fokine in Russia e proseguita poi dallo stesso Fokine e dai suoi colleghi con la  compagnia dei Ballets Russes di Diaghilev nel resto d’Europa. Negli oltre quaranta anni che separano il debutto dell’ultimo balletto di Petipa, Raymonda (1898),  al debutto di questo Romeo e Giulietta  (1940), la Russia è completamente cambiata dalla rivoluzione, ma non abbandona l’amore per il balletto che però diventa più agile, in genere in un solo atto, senza mai raggiungere i successi del secolo precedente. Dopo Romeo e Giulietta ricominciano i grandi balletti narrativi, il patriottico Gayanè di Aram Khachaturian è del 1942,  Cenerentola  dello stesso Prokofiev è del 1945, Spartakus, vero grande successo dell’apologia sovietica, è stato  rappresentato nel 1956. Anche in Europa, dopo le numerose versioni di Romeo e Giulietta realizzate dai principali coreografi del secolo, il balletto narrativo suddiviso in più atti ha ripreso vita con opere quali Manon, Oneghin e tanti altri titoli, tutti successivi al balletto di Lavrovsky.          E’ dunque naturale che  possa risultare un po’ più lento e statico in certi passaggi rispetto alle più amate versioni di John Cranko, Kenneth MacMillan o Rudolf Nureyev, ma ci sono aspetti coreografici interessanti e che denotano la vicinanza del coreografo con l’autore delle musiche e che invece vanno valorizzati da chi la danza la vive professionalmente ogni giorno. Nella coreografia di Lavrovsky c’è  una grande attenzione per le scene d’insieme. E’ di effetto  la catena e il passa parola che si crea quando il Duca di Verona emana l’editto contro chiunque disturbi la pace imposta tra le fazioni dei Montecchi e Capuleti. Molto bella, ritmicamente ineccepibile, la danza italiana (definita nella partitura danza del popolo) che è molto fedele all’orchestrazione con strumenti barocchi e folklorici che interpretano  i colori musicali italiani e rendono l’idea un po’ convenzionale che gli autori avevano dell’Italia rinascimentale. Grande attenzione  ai particolari è stata data alla famosa danza dei Cavalieri in cui i cuscini per inginocchiarsi accanto alla dama, i fazzoletti  utilizzati dal gruppo femminile e il bacio della gonna, riproducono con fedeltà  la ritualizzazione delle danze di corte, studiate  e conservate nelle Accademie in Russia, che vanno in contrapposizione con la maggiore spontaneità dell’ assolo  di Giulietta. Risultano invece più semplici ed  elementari i pas de deux  dei due protagonisti, ancora condizionati da una pantomima classica, nonostante allora  fossero addirittura  considerati arditi. C’è invece poca attenzione drammaturgica  per il personaggio di Romeo:  non è segnata dalla coreografia o dalla regia  l’evoluzione da ragazzo un po’tracotante e sfrontato a giovane uomo innamorato e quindi per questo più maturo e responsabile,  come invece lo ha concepito ed interpretato in maniera impareggiabile Rudolf  Nureyev. Per Lavrovsky è l’erede del principe ottocentesco, elegante, virtuoso, partner gentile, ma molto evanescente anche nell’interpretazione di Sarafanov. Avendo assistito all’esibizione dei due cast si può però raccontare di due serate, quasi due spettacoli diversi. La coppia russa Sarafanov – Novikova, è perfetta nelle linee e nella tecnica ma fredda e poco comunicativa, troppo composta  nell’espressività che la danza, il gesto devono  dare della musica e della coreografia. Addirittura in certi momenti sembrano avulsi dalla stessa musica e si può pensare ad un difetto della scrittura coreografica. Nello spettacolo di sabato 25 con Macario e Anbeta in scena tutto è parso diverso, sembrava addirittura un’altra coreografia.  Sospensioni, pause, impulsi, hanno dato emozione ad una danza che è classica e pura,  nella sua essenzialità, così come molti capolavori del balletto ottocentesco. Se ancora oggi ci emozioniamo ad assistere ad un’ennesima Giselle è per la forza espressiva degli interpreti, non certo e solo per i passi in sé.  Alessandro Macario è un Romeo presente, non evanescente come Sarafanov, lontano dall’azione scenica. Macario è credibile come giovane un po’ insoddisfatto e sognatore, delle prime scene e lo è ancora di  più nei panni di un Romeo maturo e responsabile che il destino trascina nella disperazione. Che dire di Anbeta Toromani e della sua Giulietta?  la più bella interpretazione che la ballerina albanese ha danzato sulle scene napoletane. Vera, palpitante, commuove e ipnotizza il pubblico anche con un semplice port de bras, a confermare che la danza la fanno gli interpreti e non solo i passi.   La compagnia del San Carlo ribadisce  ancora una volta la notevole crescita che l’ha vista protagonista negli ultimi anni valorizzando i giovani della scuola di ballo del Teatro e di realtà locali. Efficace Edmondo Tucci nel ruolo di un sanguigno Tebaldo, elegante e contenuto Stanislao Capissi nelle vesti di Paride.  Bravi Carlo de Martino e Salvatore Manzo nei ruoli di Mercuzio e Benvolio, belle e precise le quattro amiche di Giulietta e la Rosalina di Anna Chiara Amirante, molto intensi Alessandra Veronetti e Fabio Gison nei rispettivi ruoli dei genitori Capuleti e Valentina Allevi, la nutrice di Giulietta.

Roberta Albano

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Docente di Storia della danza all’Accademia Nazionale di Danza di Roma è laureata al DAMS dell’Università di Bologna in “Semiologia dello Spettacolo”. Docente di danza classica abilitata all'AND, è critico di danza, studiosa e autrice di saggi e monografie sulla danza. Dal 1990 al 2014 è vicedirettrice dell’associazione Movimento Danza di Gabriella Stazio. E’ inoltre socio fondatore di AIRDanza - Associazione Italiana per la Ricerca sulla Danza.