Roberto D'Urso

NAPOLI – Roberto D’Urso è ballerino, coreografo e insegnante di danza di origini salernitane. Ha danzato come ballerino per la Rai sotto la guida di Franco Miseria, diventando poi suo assistente e collaboratore. Sempre per la Rai si esibito sul palco dell’Ariston per Sanremo sotto la direzione di Gianni Morandi, assumendo in seguito lui stesso il ruolo di coreografo durante le prime due edizioni dirette da Amadeus. A teatro ha lavorato con Massimo Ranieri e Christian De Sica, tra gli altri.

La sua attività di insegnate di danza e coreografo lo porta a spostarsi spesso tra Roma, Napoli, Salerno e non solo. Lunedì 13 e martedì 14 marzo, infatti, sarà a Napoli per lo spettacolo Palcoscenico di cui firma le coreografie. Un viaggio nella musica dagli anni ’60 agli anni ’90 scritto e diretto da Gianni Conte, da un’idea di Francesco Scarano.

Dopo essere stato in scena al Teatro Lendi di Sant’Arpino, che lo ha prodotto, e al Nuovo di Salerno, Palcoscenico approda all’Augusteo. Sotto i riflettori del teatro partenopeo oltre al “cantattore” Massimo Masiello anche Ilaria Leone, che assiste D’Urso nella realizzazione coreografica, e i ballerini Alessandra D’Alessandro, Marco Pafundi, Manuel Teggi, Eugenio Turturiello, Valeria Zeno.

Un viaggio nella musica e nella TV del passato

Lo spettacolo Palcoscenico è già andato in scena al Teatro Lendi di Sant’Arpino e al Nuovo di Salerno. Come è stato accolto in quelle occasioni dal pubblico?

Palcoscenico è una nuova produzione del Teatro Lendi, un progetto del direttore Scarano. Per realizzarlo ha contattato persone dello spettacolo quali: Conte che lo ha scritto e diretto, Lino Pariota per gli arrangiamenti, Masiello nei panni del protagonista e me per le coreografie.

È un viaggio nella musica italiana degli anni ’60, ’70, ’80 e ’90. È ambientato su un aereo, un volo immaginario in cui ogni canzone è uno scalo. Canzoni come Gloria, Viva la mamma, Fotoromanza che sono diventate la colonna sonora della vita di generazioni. Palcoscenico è un tuffo nei ricordi, nel passato, un esperienza molto suggestiva che colpisce nell’animo degli spettatori.

Nello spettacolo, inoltre, sono rievocate anche le sigle delle trasmissioni da Canzonissima a Fantastico, passando per la Parisi e la Cuccarini, e quelle dei cartoni animati che hanno caratterizzato l’infanzia di generazioni. Infine è anche un omaggio a Raffaella Carrà.

Palcoscenico è un viaggio nella musica dagli anni ‘60 ai ‘90. Dunque a teatro vedremo coreografie ispirate ai balli di quegli anni?

Per le coreografie mi sono ispirato ai balli dell’epoca: il bump, il twist, lo swing ma cercando di adattarli ai giorni nostri. Ho riprodotto i passi degli anni ’70 alla Tony Manero (John Travolta nella Febbre del sabato sera) o alla Raffaella Carrà e citato l’old school dell’hip hop anni ’80.

Ho 44 anni, quindi per gli anni ’80 e ’90 mi sono basato sui miei ricordi. Invece per gli altri due decenni ho studiato e ricostruito, basandomi anche sull’esperienza maturata negli anni di collaborazione con Franco Miseria, con cui ho avuto la fortuna di lavorare. Nella mia carriera ho avuto il privilegio di apprendere direttamente dai grandi coreografi della televisione, cercando di prendere spunto dalle loro opere. È così difficile ritoccarle, rischi di fare danni, devi avere rispetto di quello che è stato.

Palcoscenico è uno spettacolo in cui le canzoni sono il filo conduttore. Che valore aggiunto portano le coreografie di Roberto D’Urso?

Quando Gianni Conte – che ha lavorato nell’orchestra di Arbore – ha selezionato i brani musicali per Palcoscenico, mi ha chiesto di creare coreografie per aumentarne la forza attraverso la danza. Alcuni brani sono già abbastanza forti e non necessitano di coreografia. Per altri invece ho creato delle coreografie che fungono da accompagnamento alla performance di Massimo Masiello.

Lui è il nostro traghettatore: è un bravissimo cantante e attore, molto stimato nel panorama del teatro napoletano. Questa volta però si è messo in gioco portando in scena solo la canzone italiana. In Palcoscenico infatti non c’è neanche una canzone napoletana, è stato voluto proprio così.

Quindi quando in scena c’è Masiello che canta, ho ideato coreografie che non sovrastino la sua presenza sul palco ma che creino colore intorno all’azione del performer. Quando invece sul palco ci sono solo i 6 danzatori, l’equipaggio di questo volo immaginario, allora la danza è spinta al massimo e occupa tutta la scena.

Roberto D’Urso vanta una carriera come ballerino e coreografo a teatro e in televisione. Quali differenze trova ci siano tra il creare coreografie per la TV e crearle per il teatro?

Ho avuto la fortuna di lavorare sia in televisione che a teatro. In TV, ho citato prima Franco Miseria: ho avuto il privilegio di essere suo collaboratore stretto. Ho partecipato alle grandi produzioni Rai, si può dire che sono stato nell’ultima coda delle grandi produzioni, adesso le cose sono cambiate. E di recente ho preso parte a 4 Sanremo: due come ballerino sotto la direzione di Gianni Morandi e due di Amadeus come assistente coreografo.

Quindi per Palcoscenico sono riuscito a portare a teatro sia le coreografie teatrali che quelle televisive. Avendo lavorato in entrambe le dimensioni spettacolari, ho riproposto entrambe. È difficile da spiegare a parole, bisogna vederlo. I miei colleghi che hanno visto Palcoscenico hanno detto che sono riconoscibili entrambi i linguaggi, quello della danza teatrale e quello della danza televisiva, e di questo sono molto contento e soddisfatto. Inoltre, riproponendo le sigle televisive è naturale riportare anche lo stile di danza televisivo.

L’importanza della formazione

Roberto D’Urso, cosa chiede ai suoi danzatori? Quali sono i requisiti che un artista deve avere per danzare sotto la sua guida?

Per prima cosa: tecnica, avere un bagaglio di tecnica di danza classica, oltre a quella modern. Poi una grande musicalità e contaminazione col mondo hip hop, o ancor meglio con l’urban dance. In generale: essere versatili. A volte capita che chi viene dal mondo classico è molto bravo tecnicamente ma è un po’ freddo nell’espressività. Quindi l’urban ti aiuta ad essere più espressivo e interessante come movimento.

La base classica è fondamentale: i balletti televisivi degli anni ’60 ne facevano tesoro. Infatti prima le audizioni in TV funzionavano così: ogni anno si svolgeva una prova di tecnica classica, se la superavi potevi accedere alle audizioni delle trasmissioni televisive. Avevi tre tentativi, se non li passavi era meglio che cambiavi mestiere. C’era una grande selezione e questo portava un’elevata qualità nei balletti in TV.

Oggi, non dico che si dovrebbe ripristinare la prova di tecnica classica, ma di sicuro bisogna studiare bene. Se un ballerino moderno ha una solida base classica lo si legge nel suo corpo, ha una pulizia e una qualità di movimento diversi da un ballerino che fa solo modern.

Infine, per Palcoscenico ho voluto tutti ragazzi giovani, anche alle prime esperienze. Sono 5 ballerini e un breaker, tutti ragazzi splendidi. Sì può dire che abbiamo realizzato le coreografie insieme: io portavo le mie idee in sala prove e poi le integravo con quello che le loro abilità mi suggerivano. Sul palco, anche se in pochi, scatenano un’energia pazzesca che arriva fino al pubblico. In scena c’è anche Ilaria Leone, mia futura moglie e assistente alle coreografie. Lei ha un movimento naturalmente sensuale, mi ha aiutato molto per Palcoscenico, ispirandomi per le coreografie. E mi affianca sempre anche nel lavoro di formazione.

A quali progetti sta lavorando Roberto D’Urso per il futuro?

Progetti ce ne sono tanti. Subito dopo Palcoscenico, a fine marzo, andrò a Foligno per lavorare con una fantastica compagnia locale. Abbiamo già collaborato in passato, ma adesso allestiremo Jesus Christ Superstar nella versione cinematografica. Un omaggio nell’anno del 50° anniversario del film. Lo spettacolo andrà in scena il 1 e il 2 aprile all’Auditorium di Foligno ed è già sold out, penso che fisseremo anche una terza data.

Nel frattempo, continuo nel mio lavoro di formazione: mi dedico molto ai giovani d’oggi per cercare di trasmettere loro la mia esperienza e farli entrare in questo mondo. Non è facile, bisogna lavorare tanto e studiare bene. Per questo motivo, dallo scorso ottobre, mi sto occupando del progetto AFD – Alta Formazione Danza a Napoli, in collaborazione con l’OPES. Non ritengo giusto che gli aspiranti danzatori siano costretti ad andare fuori per studiare, così ho pensato: perché non offrire loro la possibilità di formarsi con maestri di qualità restando, per così dire, a casa?
Questo è il primo anno di AFD e direi che è andato piuttosto bene, siamo già pronti per iniziare il secondo.

Infine, se gli spettacoli a Napoli il 13 e il 14 marzo riscuotono un buon successo, si potrebbe pensare a una tournée di Palcoscenico per l’anno prossimo.

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