Pulsanda Tellus
Da sinistra: Maria Venuso, Alessandra Broccolini e Giuseppe Michele Gala. Foto di Antonietta Tarantino

NAPOLI – Giovedì 18 e venerdì 19 maggio, presso la suggestiva sala Filangieri dell’Archivio di Stato, si è tenuto il convegno Pulsanda Tellus. Percorsi di storiografia ed etnografia del patrimonio etnocoreutico italiano. Organizzate da AIRDanza – Associazione Italiana per la Ricerca sulla Danza, le giornate di studio si sono svolte in modalità mista in presenza e online. È infatti possibile rivedere la diretta del convegno sulla pagina Facebook ufficiale dell’Associazione.

“Nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus”, ovvero dal latino: “Ora bisogna bere, ora bisogna far risuonare la terra con il piede libero”. Da un’ode di Orazio deriva infatti il titolo scelto per l’incontro, Pulsanda Tellus. Le parole del poeta latino racchiudono dunque l’atmosfera di festa tipica delle occasioni che danno vita alle danze popolari. Un’interessante analisi del testo di Orazio è stata presentata dal professore ordinario di Estetica all’Università di Salerno, Mario Costa, nella giornata di venerdì 19 maggio.

In ricordo di Diego Carpitella

La prima giornata, giovedì 18 maggio, si è aperta con i rituali saluti istituzionali. La professoressa Maria Venuso, Accademia Nazionale di Danza di Roma e “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, ha parlato nelle veci della Presidente AIRDanza Paola De Simone, impegnata in un altro convegno. Venuso ha quindi ringraziato Candida Carrino, dirigente dell’Archivio di Stato di Napoli con cui AIRDanza collabora dal 2017. È intervenuta poi da remoto Roberta Albano, Prof. Accademia Nazionale di Danza di Roma e Università degli Studi di Napoli “Federico II”, la quale ha spiegato che il convegno Pulsanda Tellus è dedicato alla memoria di Diego Carpitella. Infine Maria Enrica Palmieri, Direttore dell’Accademia Nazionale di Danza di Roma, da remoto ha invitato gli studiosi a non tentare di fissare le danze popolari che, nate dall’improvvisazione, per loro natura sfuggono a qualsivoglia forma fissa.

Giuseppe Michele Gala, Antropologo della Danza, Ass. AIRDanza, Ass. Taranta, ha poi approfondito le ragioni dell’incontro. Il convegno era previsto infatti per il 2020 in occasione dei 30 anni della morte di Diego Carpitella, antropologo e fondatore dell’etnomusicologia in Italia. Però, a causa della pandemia da Covid-19, purtroppo non è stato possibile organizzare le giornate di studio per quella ricorrenza.
Il lavoro di ricerca di Carpitella, ha raccontato Gala, ha attraversato l’Italia: l’antropologo possedeva la preziosa capacità di entrare in sintonia con i rappresentanti più anziani di una comunità, abilità che gli consentiva di svolgere al meglio le proprie ricerche. Carpitella, inoltre, si dedicò allo studio della postura dei musicisti e dall’interesse per il corpo sviluppò anche l’attenzione verso le danze popolari.
Gala ha infine concluso sottolineando che l’Etnocoreologia in Italia è oggi portata avanti dal lavoro di ricercatori volontari: l’assenza di interesse da parte delle istituzioni e dell’opinione pubblica conduce sempre più spesso gli studiosi ad autofinanziare le proprie ricerche.

Sessione I – Etnografia e patrimonio

Alessandra Broccolini, docente di Antropologia Culturale alla “Sapienza” di Roma, ha moderato la prima sessione.

Con un intervento dal titolo Sicilia danze di tradizione, una ricerca sul campo, il ricercatore e docente di Scienze Motorie Giuseppe Biondo ha illustrato il frutto del proprio studio effettuato negli anni “90. Uno lavoro autofinanziato, appunto, svolto con mezzi che oggi ci appaiono rudimentali se confrontati con le attuali strumentazioni di video ripresa. Biondo ha rivelato che i materiali fin ora pubblicati sono solo una parte della vasta documentazione raccolta. Il ricercatore auspica quindi di trovare presto i fondi necessari per pubblicare tutti i video in suo possesso.

È stata la volta poi dei ricercatori Michela Bortolato e Dario Fiorin con il contributo: 1993-2023 Un’esperienza di ricerca etnocoreutica in Veneto: dai criteri metodologici a una nuova modalità di pubblicazione degli esiti. I due studiosi, la cui ricerca inizia negli anni “80, hanno raccontato la complessità di ricostruire il repertorio dei balli in Veneto. Già nel primo dopoguerra, hanno constatato, il repertorio era quasi del tutto scomparso. Il loro lavoro è confluito in una pubblicazione multimediale e interattiva che ha precorso i tempi. Ma la tecnologia è in costante evoluzione e per stare al passo c’è bisogno di risorse economiche.

Il documento visivo come strumento d’indagine

I ricercatori Romana Barbui e Michele Francesco Cavenago si sono interrogati invece sull’importanza e l’oggettività della ripresa video di una danza popolare. Uno stimolante intervento dal titolo Il documento visivo: riflessioni in cui i ricercatori sono partiti proprio dalle parole della Palmieri: le danze popolari pongono il difficile problema di conservare qualcosa che è sfuggente. La ripresa video sembra dunque lo strumento di studio più valido, che presenta però un punto di vista soggettivo. Per aiutare i fruitori a comprendere il punto di vista è bene fornire quanti più meta dati possibile a supporto del video. I due ricercatori hanno concluso il ragionamento ponendo agli uditori il problema degli archivi: come renderli accessibili e allo stesso tempo sostenibili?

La prima giornata di Pulsanda Tellus si è conclusa con l’intervento del ricercatore Marco Pietrzela. Diplomato in flauto traverso al Conservatorio “D’Annunzio” di Pescara, Pietrzela ha esposto la sua ricerca dal titolo Il saltarello nel Piceno: riflessioni su un’esperienza di ricerca documentaria. Il ricercatore studia infatti un particolare saltarello diffuso in un’area a cavallo tra le Marche e l’Abruzzo, territorio un tempo parte dello Stato Pontificio. Caratteristica tipica di questo saltarello è, ad esempio, il battere le mani al di sotto della gamba alzata nel salto. La ricerca di Petrzela colma quindi un vuoto negli studi delle danze popolari marchigiane e non solo.

Sessione II – L’Etnocoreologia fra volontariato e assenze istituzionali

Gli interventi della seconda sessione di Pulsanda Tellus, nella mattina di venerdì 19 maggio, sono stati moderati da Giuseppe Michele Gala. Prima di passare la parola agli studiosi, Gala ha sottolineato che gli etnocoreologi che operano in Italia son ben più numerosi di quelli presenti al convegno; ha quindi invitato gli assenti a partecipare alla pubblicazione degli atti curata da AIRDanza.

Ha aperto la seconda giornata di studi Alessandra Broccolini con il suo Mascherate, quadriglie e ballintreccio: scenari di senso, relazioni e trasformazioni antropologiche in alcune danze carnevalesche irpine. Ribadendo che il documento audio-visivo è lo strumento principale della ricerca antropologica ed entocoreologica, la docente ha illustrato due danze popolari irpine: la Mascherata e la Zeza. Corteo processionale la prima, rappresentazione comico-farsesca con quadriglia la seconda; entrambi i balli stanno subendo recenti trasformazioni. Nella Mascherata, per esempio, la moderna partecipazione delle donne al corteo – per quanto sia un fenomeno inclusivo – va comunque a discapito della sovversione e dell’inversione dei generi che hanno sempre caratterizzato questa danza.

Danze popolari fra trascrizione…

L’etnomusicologo Salvatorangelo Pisanu ha poi presentato la delicata questione dell’istituzionalizzazione degli studi coreutici in un intervento dal titolo Per un percorso di istituzionalizzazione accademica degli studi di danza: metodi, contenuti, prospettive. Secondo lo studioso, che si occupa di ballo sardo e ha conseguito un dottorato in Corsica, la scarsa attenzione del mondo accademico verso la danza è dovuta proprio alla natura evanescente di questa arte. Pisanu ha infatti affermato che se la danza si avvalesse di metodi di trascrizione, come già è per la musica, gli studi coreutici godrebbero di maggiore attenzione e la ricerca acquisirebbe un metodo scientifico.

Si è detta d’accordo l’etnoantropologa della danza Noretta Nori, che ha suggerito l’uso della trascrizione Laban. Nori ha esposto il proprio lavoro di ricerca, svolto circa 10 anni fa: “Gli Amici di Palmoli”. Racconto sulle dinamiche di ricostruzione di un repertorio antico di canti e danze tra dimensione cognitiva e giochi di memoria. L’etnoantropologa, analizzando le danze popolari del Molise, ha costruito una mappa della diffusione della spallata e delle sue differenti versioni: circolare, a 1 botta, a 3 botte. Eseguita in coppia, appunto spalla a spalla, la spallata è un sapere antico che dagli anziani è stato trasmesso ai più giovani attraverso una serie di laboratori.

… e improvvisazione

Altro sostenitore del documento video, invece, si è dimostrato l’etnocoreologo napoletano Gabriele D’Ajello Caracciolo. In Ballare antico: una documentazione in Campania Caracciolo ha affermato che la danza popolare non consiste in una sequenza di passi fissa e prestabilita. Bensì essa è frutto di una vasta cultura retrostante. Dunque per poter creare un documento video scientificamente valido bisogna conoscere e comprendere questa cultura, interagire con chi mantiene in vita i balli, entrare a far parte della comunità di riferimento. La danza popolare, sostiene infatti Caracciolo, è una forma di comunicazione che varia in base a chi “parla”. Lo studioso ha concluso constatando il recente processo di spettacolarizzazione delle danze popolari, che le rende più “pulite” ma meno improvvisate; un fenomeno che deve essere comunque documentato e studiato.

Le occasioni di festa alle origini delle danze popolari

Sabina Gala, dottoranda in Antropologia Culturale presso l’Università di Perugia, ha affrontato poi un altro aspetto delle danze popolari ovvero quello devozionale. In un affascinante intervento dal titolo Danza e devozione: significati e trasformazioni attraverso alcuni esempi lucani, la dottoranda ha illustrato il lavoro di ricerca svolto in 10 anni. In Basilicata, durante le feste religiose i devoti sfilano e danzano in processione portando sul capo oggetti quali cinte o gregne. Si tratta di strutture composte da telai riutilizzabili, rivestiti da cera e candele nel caso delle cinte, oppure spighe di grano, fiori e nastri nel caso delle gregne. I fedeli avanzano danzando tarantelle lungo la processione e tarantelle in cerchio nei momenti di pausa. Danzare con questi oggetti votivi sul capo è piuttosto complicato, da ciò si intuisce l’abilità del danzatore. Costruire le cinte è una competenza che si sta perdendo ha constatato infine Gala.

Dalla Basilicata alla Sicilia con Le tipologie di contraddanza in Sicilia, discorso illustrato da Simona D’Agostino dottoranda in Etnomusicologia dell’Università Tor Vergata di Roma. Tra le più antiche danza popolari, documentata sin dal 1500, la contraddanza è apparsa in occasioni quali matrimoni e oggi anche feste e carnevali. Eseguita da uomini e donne che danzano in coppia seguendo i comandi franco-siculo di un corifeo, la contraddanza è un ballo di figure – due file, cerchio, quadrato. La dottoranda, nel corso del suo intrigante intervento, ha evidenziato similitudini e differenze delle numerose versioni di contraddanza dell’isola. Suggestiva la ripresa effettuata nel 2017 a Petralia Sottana dove 12 coppie danzano intorno a un palo intrecciando e sciogliendo 24 nastri colorati.

I ricercatori e musici Rinaldo Doro e Beatrice Pignolo hanno chiuso la seconda sessione del convegno con l’intervento: Le danze di Cogne e le danze di Rueglio. Monferrine e Corenta, tradizioni viventi tra Valle d’Aosta e Canavese.

Hanno quindi spiegato che la Corenta di Rueglio è differente dalle altre Corente del Piemonte perché più simile alla contraddanza. La Corenta di Rueglio era il ballo che accompagnava la festa del 1° maggio quando i lavoratori tornavano a casa dal Belgio e dalla Germania. L’influsso di queste culture è infatti visibile nei costumi adoperati. Mentre le danze che caratterizzano Cogne sono tre: la Monferrina a due tense, a tre tense e il valzer di Cogne, un ballo piuttosto moderno le cui origini sono solo ipotizzabili. In entrambi i luoghi i ricercatori hanno assistito a un recente fenomeno di spettacolarizzazione delle danze.

Sessione III – Storiografia e patrimonializzazione

L’ultima sessione di Pulsanda Tellus è stata aperta dal professore di Estetica Mario Costa che, con un affascinante discorso, ha analizzato il titolo del convegno. Il professore ha preso in esempio tre odi e una epistola in cui Orazio tratta del ballo dei Salii. Un mito divenuto prima rito e poi danza: il dio Marte dona a Roma uno scudo a cui sono legate le sorti della città. Per proteggere lo scudo, Numa Pompilio ne fa costruire altri 11 identici.
La cerimonia dei Salii, i portatori degli scudi, era una delle più importanti per i Romani e apriva infatti la stagione delle guerre, che andava da marzo a ottobre. Le parole del poeta latino testimoniano dunque il processo di trasformazione del ballo dei Salii: venuto meno il mito, il rito si trasforma in danza di gioventù. Se alla danza dei Salii si associava di solito un ritmo preciso, la danza giovanile che ne deriva abbandona la forma fissa al fine di “far risuonare la terra con il piede libero“.
Una trasformazione similare, ha constatato infine Costa, a quella avvenuta per il rito di possessione divenuta poi la Tarantella.

Noretta Nori ha quindi moderato gli interventi della sessione pomeridiana di venerdì 19 maggio.

Il ricercatore Gaudenzio Ragazzi, collaboratore del Centro Camuno di Studi Preistorici, ha portato gli uditori indietro nel tempo con il suo La danza delle Origini. Corpo, gesto e suoni dalla Preistoria. Un approccio iconografico. Le testimonianze più antiche al mondo, ha affermato Ragazzi, sono le immagini e ciò costituisce un problema per lo studioso di danza poiché non è in grado di ricostruire ritmo e musica dei balli preistorici. Inoltre, ha sottolineato il ricercatore, comprendere queste immagini comporta una certa difficoltà poiché la cultura preistorica è profondamente diversa dalla nostra. Allo stesso tempo, però, le danze popolari conservano ancora tracce – seppur labili – delle danze preistoriche. Per cui Ragazzi ha proposto di partire dalle fotografie di danze popolari scattate nel secolo scorso procedere a ritroso nel tempo rintracciando nelle immagini danze similari.

La testimonianza delle fonti musicali scritte

È stata poi la volta di Maurizio Padovan, storico della musica e musicista, che ha esposto l’importanza per le danze popolari delle fonti musicali scritte in un intervento intitolato appunto: Le fonti musicali, strumento per lo studio dell’origine e della diffusione dei balli tradizionali. Tenendo presente che la musica scritta è di solito colta mentre di quella popolare raramente se ne conserva traccia cartacea, le fonti musicali scritte possono essere utili per stabilire la data di nascita delle danze. Padovan ha quindi preso in esame alcuni manoscritti francesi di epoca napoleonica in cui appaiono danze italiane. Termini e linee melodiche che permangono nel tempo anche a distanza di secoli.

E sulla stessa scia prosegue il discorso La Monferrina, storie e peregrinazioni fra salotti, teatri e feste popolari delle regioni europee del ricercatore ed etnomusicologo Giuliano Grasso. L’origine della Monferrina, ballo di genere caratteristico del Nord Italia, è ancora oggi avvolta nel mistero: non è chiaro infatti se questa danza sia nata in Italia o in Francia. Certo è che a partire dalla fine del Settecento la Monferrina inizia a diffondersi in tutta Europa, divenendo il ballo immancabile in ogni salotto del continente. La prima fonte musicale è stata rinvenuta, rivela Grasso, a Londra poiché ogni anno veniva pubblicata una raccolta dei nuovi balli. Col passare del tempo, però, la musica degenera dando origine alle Manfrine.

Giampiero Boschero ricercatore e studioso della cultura occitana in Italia, ha poi presentato la propria esperienza nell’intervento La danza a figure della Val Varaita e la loro rivitalizzazione.

Situata in provincia di Cuneo, in Val Varaita si parla un attuale occitano, la lingua dei trovatori ha spiegato Boschero. Le danze e i balli di questo territorio sono stati tramandati infatti solo oralmente, non si conservano tracce scritte neanche delle musiche. Prima della Grande Guerra, in Val Varaita si danzava ogni domenica oltre che nelle numerose occasioni di festa. Ma dopo la Guerra nulla è stato più come prima: le danze popolari hanno attraversato un momento di forte crisi e il repertorio che contava 24 balli della tradizione si è poi ridotto a solo 2. Grazie all’attività di numerose associazioni locali, di recente è stato possibile recuperare alcune danze e soprattutto coinvolgere i più giovani a cui è ora affidata la memoria e il futuro di questi balli.

L’etnocoreologia tra passato, presente e futuro

Gualtiero Gori, ricercatore e operatore culturale, ha poi raccontato la ricerca ventennale condotta in Emilia-Romagna insieme a Giuseppe Michele Gala: La Romagna dei balli. La raccolta di un importante patrimonio etnocoreutico. E adesso, come “ricominciare”? Gori ha esposto la difficoltà di ricostruire danze cadute in disuso da 40 anni. Verso la fine degli anni ”50 infatti balli gioco, contraddanze, balli figurati, il ballo dei gobbi e quello del cappello subirono un lento declino. Ma grazie ai laboratori didattici, condotti dai due studiosi negli anni “90, questi balli sono stati recuperati e praticati fino agli anni 2010. Poi son diventati un fenomeno turistico. Dunque per mantenere viva la tradizione Gori invita tutti i ricercatori a unire le forze per ottenere attenzione da parte delle istituzioni.

Dopo 45 anni di ricerche, Giuseppe Michele Gala ha restituito agli uditori un analisi accurata dell’etnocoroelogia in Italia tra passato e futuro nel suo intervento Etnodanza oggi: mutamenti investigativi, presidi di competenze e reinnesti del patrimonio. Durante il secondo dopoguerra, la vergogna nei confronti del mondo contadino e l’americanizzazione dei gusti hanno decretato la crisi delle danze popolari. In questi ultimi 45 anni abbiamo perso il 50-60% del patrimonio, ha affermato Gala. È mancata una generazione: dai nonni la tradizione passa direttamente ai giovani, cui spetta il compito oggi di recuperarla e mantenerla in vita.
Inoltre, ha evidenziato lo studioso, prima degli anni “70 non vi era interesse verso gli studi coreologici, lo Stato non ha finanziato le ricerche e così non si è riusciti a istituire una cattedra universitaria di etnocoreologia. Ciò ha portato i ricercatori ad essere degli autodidatti.
Oggi più che mai è necessario far capire alle istituzioni e all’opinione pubblica l’importanza dei questo patrimonio. A tal fine, Gala ha proposto di stilare una bibliografia partendo proprio dai lavori dei ricercatori presenti e non. E anche di aprire un canale Youtube dove caricare video di danze popolari filologicamente corrette. Organizzare pi spesso convegni, magari su temi mirati. E costituire una rete di ricercatori che dialoghino tra loro.

Ballo popolare madre di tutte le danze

Al termine di queste due intense giornate di studi, la professoressa Albano ha concordato con Gala. “Gli studi di danza soffrono di mancanza di attenzioni e spazi adeguati”, ha dichiarato, “anche perché non hanno un loro ambito specifico e rientrano in quello del teatro”.

“C’è ancora tanto da fare”, ha aggiunto Gala, ” e bisogna fare in fretta. La danza popolare è madre di tutte le danze ma sta purtroppo scomparendo. Siamo ormai all’etnoarcheologia, è essenziale raccogliere qualsiasi testimonianza e frammento di queste danze. Se non si interviene subito, rischiamo di perdere un inestimabile patrimonio oltre che una preziosa fonte creativa. Si tornerà a ballare quando si riscoprirà l’utilità delle danze popolari per la comunità, la loro funzione catartica”.

Comitato scientifico Roberta Albano, Alessandra Broccolini, Paola De Simone, Giuseppe Michele Gala, Paologiovanni Maione, Noretta Nori, Maurizio Padovan, Maria Venuso.
Si ringraziano l’Archivio di Stato di Napoli; il team tecnico che ha supportato la diretta social e i collegamenti con i ricercatori da remoto.

Iscriviti alla Newsletter