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Bellezza abbagliante, eleganza innata, Paul Chalmer – canadese – è stato protagonista della scena internazionale al fianco delle più grandi ballerine da Carla Fracci a Natalia Makarova, da Marcia Haydée a Eva Evdokimova e poi Ekaterina Maximova, Luciana Savignano, Elisabeth Platel, Lynn Seymour, Elisabetta Terabust.

Tra pochi giorni (venerdi 23 maggio) andrà in scena la sua versione coreografica de La bella addormentata, al teatro dell’Opera di Roma, che conserva la bellezza intramontabile dello stile classico-accademico di Marius Petipa.

Dove ha cominciato il suo percorso artistico?

Alla National Ballet School of Canada, dove ho avuto ottimi maestri tra cui Daniel Seillier ed Erik Bruhn che mi ha insegnato tutto il repertorio Bournonville. Erano gli anni in cui Nureyev dirigeva la compagnia. Lavorare con i due più grandi ballerini del mondo è stata un’esperienza unica. Erano due mostri sacri in scena. Nel 1979 ho visto ballare Marcia Haydée, la musa ispiratrice di John Cranko, con il Balletto di Stoccarda. Sono rimasto letteralmente sconvolto e ho deciso di andare a studiare in quella scuola, una realtà che ha sempre dato risalto all’aspetto teatrale della danza. Quasi tutti i coreografi da John Neumeier a William Forsythe, Uwe Scholz, Jiri Kylian, hanno cominciato a fare le loro prime creazioni a Stoccarda, dove si sono formati. Sono stato cinque anni in quella compagnia in qualità di primo ballerino, da lì è partita la mia carriera.

Quanto conta la bellezza nella danza, nell’arte?

Per il balletto classico, che è estetica pura, l’ottanta per cento. Ci sono casi di ballerini meno belli, penso a Peter Schaufuss ad esempio, che però sfoggiano una tecnica straordinaria, strepitosa!.

Oggi si dà più importanza all’aspetto tecnico o a quello espressivo?

Purtroppo a quello tecnico, ed è uno sbaglio. Guardare solo belle gambe, bei piedi o un lavoro tecnico eccellente può essere molto noioso se manca l’anima. Mi piace vedere un corpo che balla, ogni passo ha un significato, vuol dire qualcosa. Il pas de deux del secondo atto de Il lago dei cigni è una conversazione tra i due protagonisti della storia, oggigiorno si vedono arabesques sublimi, pirouettes perfette ma manca il dialogo. Non c’è l’entusiasmo del pubblico di un tempo davanti a miti come Rudolf Nureyev, Marcia Haydée…artisti che parlavano con il corpo invece di eseguire passi.

Dopo una lunga carriera di danzatore ha deciso di insegnare, perché?

Ho smesso di ballare abbastanza presto, a trentasette anni. Un giorno Beppe Menegatti, quando Carla Fracci era direttrice all’Arena di Verona, mi ha chiesto di coreografare La figlia del Danubio che avevo ballato con Susan Jaffe. Così ho cominciato a lavorare dietro le quinte, dando anche le lezioni alla compagnia. Era impossibile avere anche il tempo e l’energia per ballare…

Un tempo c’era una netta differenza tra la tecnica russa, francese, inglese, americana, ora sembra tutto un po’ contaminato. Esiste ancora una scuola con un’identità precisa?

Secondo me quella di Bournonville, il cui repertorio è rimasto intatto. La scuola ha conservato una struttura settimanale di lezioni molto metodica, come era ai tempi del coreografo danese. Anche la tecnica di Balanchine – che da ogni sua ballerina tirava fuori tutta la personalità – ha mantenuto il suo stile che risalta comunque, non importa se ad interpretare i suoi balletti siano danzatori russi o francesi. Le altre scuole, quella francese, russa e americana (la cui influenza è un po’ ovunque) si sono un po’ amalgamate. Non c’è più una distinzione netta.

Che cosa l’attrae in un ballerino?

Lo sguardo. L’anima. Il corpo. Il fuoco, che c’è o non c’è. Ballerini si nasce, anche senza una buona formazione di base il vero ballerino si fa notare. E poi l’intelligenza. Un ballerino intelligente, al di là del fisico e delle doti, riesce sempre a trovare il modo per esprimersi nella danza.

E’ importante per un ballerino classico affrontare lo studio del repertorio?

Si dice che un ballerino classico possa fare anche coreografie moderne mentre quello moderno non riuscirà mai a fare il repertorio classico…Il balletto classico di alto livello (non c’è niente di peggio di quello fatto male) per me rappresenta la base di ogni tipo di lavoro. Coreografi come Glenn Tetley, per esempio, hanno cominciato a mischiare la tecnica moderna e contemporanea con quella classica, sulle punte.

Che cos’è il corpo per un danzatore?

Tutto! Uno strumento per parlare con il pubblico. L’unica cosa che abbiamo nella danza per esprimerci.

Che cosa la emoziona?

La bellezza.

Lei ha danzato per dieci anni con Carla Fracci, che ricordo ha?

La Fracci è un’artista straordinaria. In palcoscenico ha una forza incredibile! Abbiamo fatto insieme quindici repliche di Romeo e Giulietta e lei era sempre la stessa, non ha mai ceduto neanche per un secondo eppure io avevo venticinque anni meno di lei! Come Rudolf Nureyev, ha la stessa determinazione nel voler andare in scena ad ogni costo, un fuoco sacro!

Che cos’è la danza per lei?

Tutto. La mia ragione di vita. Senza di lei non avrei nessuna motivazione a cominciare la giornata.

Elisabetta Testa

 

 

 

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