Home Blog Curiosità e Storia della danza Nureyev: l’aquila sul tetto del mondo

Nureyev: l’aquila sul tetto del mondo

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La metafora del viaggio è quanto di più straordinario si possa comprendere nella vita: tra un momento di stasi e l’altro posti ai due estremi dell’esistenza è nel mezzo che si ritrova un incessante fluire di meraviglie e sorprese. Sofferenza e dolore, godimento ed euforia si alternano in vortici incontrollabili che rendono l’esperienza di ognuno una poesia intima e irripetibile.

Agli antipodi di una vita fastosa e comoda, lontano da un’adolescenza ingenua e disinvolta Nureyev comprendeva già da ragazzino il valore straordinario dell’esperienza fine a se stessa e scivolava via da mete e traguardi tanto sterili quanto omologanti. In effetti sognare di diventare una stella e desiderare di brillare più di chiunque altro sulla scena del mondo poteva essere considerato lo scopo comune a chiunque si dedicasse all’arte del balletto: il successo, la fama, gli applausi scroscianti, il costume più bello. Andare oltre la superficie luccicosa dell’istante senza limitarsi a tastare il dorso delle cose e pretendere da se stessi di godere di ogni attimo considerandolo l’ultimo privilegio era ciò che invece nutriva l’instancabile devozione del giovane Rudolf che altalenava tra doveri e fatiche di una famiglia segnata dalla più miserabile povertà.

La metafora del viaggio, nella sua rara coincidenza della dimensione mentale con quella corporea, fa sì che la bellezza sia percepita ad ogni istante e mai relegata soltanto alla fine di un percorso che trascorre tra indifferenza e distrazione. La danza è il viaggio più bello, che sia accademica e codificata o spontanea e istintiva è quanto di più primordiale e ancestrale sopravviva oggi. Danzare riconduce ad uno stato quasi ipnotico e talvolta confusionale riportando il corpo ad una libertà perduta in cui è concesso esprimere tutto quanto è quotidianamente costretto dentro: Nureyev danzava e danzando avvertiva il corpo che cambiava tra tremori ed energie sempre nuove che incalzavano e non si assopivano mai. Non una meta, non uno scopo, non un fine ultimo, ma occasioni e musiche e scene aperte di cui godere in maniera incontrollata e pur sempre consapevole.

Il pubblico si accorge di un talento tutto nuovo che divora la scena mondiale in un connubio perfetto di sfarzo e semplicità, di regalità sulla scena e umiltà dietro le quinte, di rettitudine in sala prove e sregolatezza nella vita: il giovane ballerino russo gode appieno della vita che da solo si è costruito con devozione e tenacia senza mai mettere a fuoco un ambito traguardo, ma scrutando intorno a sé ogni dettaglio e piccolo particolare da cui trarre ispirazione e beneficio.

Mai vittima e mai succube di un pubblico sempre più esigente, Nureyev non cede al meccanismo perverso dell’eterno debito verso coloro che consacrano un mito, a questo proposito dichiara in un’intervista del ’78 di essere sempre avanti, in una solitudine creativa che indaga il nuovo e che lascia al pubblico la libertà di scegliere se seguirlo oppure no in innovazioni ed esperienze pionieristiche.

La scoperta e il rischio hanno sempre caratterizzato la sua danza e la sua esperienza sia interpretativa che creativa laddove egli dichiara che è sempre bello provarci e poi magari fallire. Un viaggio meraviglioso in cui la solitudine di chi ha dentro una tradizione culturale nichilistica acuisce in maniera sovrumana una sensibilità rara e irripetibile come un’aquila che vola al di sopra di tutto e di tutti e che percepisce sotto la pelle la bellezza del mondo e la traduce in un linguaggio universalmente condiviso: la danza.

Manuela Barbato

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