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Lo spazio della scena / 1: verso un teatro moderno

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Lo spazio della scena è il luogo dove prende vita il meraviglioso miracolo dell’evento spettacolare. Che si tratti di una pièce, di un’opera lirica, di un concerto o di un balletto, la rappresentazione appare all’ interno di uno spazio teatrale che magicamente prende vita di fronte agli occhi dello spettatore, elemento imprescindibile affinché avvenga il miracolo. Mi sovviene allora un’asserzione di Peter Brook che nel suo libro Lo spazio vuoto. Brook scrive: _Posso scegliere uno spazio vuoto qualsiasi e decidere che è un palcoscenico spoglio. Un uomo lo attraversa e un altro lo osserva: è sufficiente a dare inizio a un’azione teatrale”.

Premesse per una definizione di spazio scenico

Nel corso del tempo lo spazio della scena ha subito continue evoluzioni e mutamenti dovute alla progettazione degli edifici teatrali, all’opera degli scenografi e all’arte stessa che, attraverso registi e coreografi, ha ridefinito sempre nuovi luoghi performativi. Come potremmo definire oggi lo spazio della scena?  Fino alla metà del Novecento circa, per noi occidentali l’immagine del teatro moderno ci era data dal consueto modello a boccascena: con il pubblico disposto nella platea, nelle balconate e nei palchi. A partire dagli anni sessanta, pur rimanendo un modello di teatro dominante, il teatro cosiddetto all’ “italiana”, non può più considerarsi moderno.

Nella seconda metà del Novecento

Negli anni settanta, Allardyce Nicoll richiama l’attenzione all’ aggettivo “moderno” per il teatro, attribuendolo alle diverse forme di teatro sperimentale, nascenti soprattutto negli Stati Uniti e in nord Europa, come ad esempio i teatri circolari. Edifici con architetture dalle svariate forme o anche edifici creati per usi diversi e utilizzati per performance teatrali. Molti coreografi e registi, in questo periodo, sceglieranno per le loro performance spazi museali, stadi, luoghi aperti come i casi di Merce Cunningham, del Living Theatre, di Peter Brook e molti altri. Si assiste ad una forte tendenza alla “rivoluzione” dello spazio scenico, principalmente atta ad abolire la distanza, tra il pubblico e il performer, dato dall’ arco scenico.

Performance della Merce Cunningham Dance Company_ Fonte nel web: Il padiglione d’oro

Debiti e influenze

Paradossalmente tutte queste nuove forme di luoghi teatrali, hanno un’ evidente derivazione dall’antico teatro di Dionisio dell’Atene classica. Nonostante questo diretto legame tra i teatri moderni e l’antico teatro greco, dobbiamo tener presente di alcune forme di teatro elaborate in molti paesi orientali in periodi diversi. Queste, pur essendo delle forme autoctone, hanno esercitato, in tempi moderni, notevoli influenze sulle progettazioni e sulle forme sceniche del teatro e della danza occidentale. Ecco allora che può risultare sicuramente interessante e curiosa l’attività teatrale cinese, indiana e giapponese. Tre teatri sviluppatisi sulla base di un comune denominatore: la semplicità e il formalismo delle varie strutture sceniche atte a incoraggiare i movimenti convenzionali degli attori.

L’antico teatro cinese

Esso era costituito da una semplice sala rettangolare in legno, da una balconata ai tre lati e da una piattaforma per l’azione che si estendeva sul davanti, nello spazio riservato al pubblico. In fondo al palco vi era una tenda da cui gli attori potevano entrare e uscire. Sotto gli influssi occidentali, nel Novecento, l’antico teatro cinese ha introdotto anche una scenografia. Nell’ antichità esso non aveva elementi statici che potessero lasciare spazio all’immaginazione di un luogo o solo simbolicamente suggerirlo, in quanto il pubblico veniva già fortemente sollecitato dalla scenografia dinamica dei costumi indossati dagli attori. Quest’ultimi si esprimevano ed interpretavano secondo un sistema di segni, gesti e movimenti tradizionali.

Spettacolo di opera cinese

Intriso di formalità

Nel teatro antico cinese, tutto era comunicato in termini prettamente formali. Per gli spettatori il piacere di andare a teatro era dato essenzialmente dal presupposto della conoscenza di tali segni, per tal motivo potevano arrivare e andare via quando volevano durante la rappresentazione. Le storie dei drammi inscenati, simili alla nostra Turandot o Traviata, erano parte della tradizione, quindi già a conoscenza della gran parte del pubblico. Un teatro dunque, quello cinese, largamente “popolare”.

L’antico teatro indiano

A differenzadi quello cinese, pur somigliandogli molto, l‘antico teatro indiano era prevalentemente dedicato agli aristocratici. Il teatro hindù aveva una tipologia strutturale molto simile a quella del teatro cinese; l’unica particolarità che lo differenziava era la precisa misurazione che gli architetti erano dovuti a rispettare. Il più comune misurava 29,26 metri per 14,63 metri. Questo rettangolo a sua volta veniva diviso in due metà: una per gli attori, l’altra per gli spettatori. Dietro l’area degli attori c’era un lungo e stretto corridoio adibito agli spogliatoi. La piattaforma degli attori aveva due quinte ai lati tra le quali si poteva aprire o chiudere una tenda. Anche qui mancava l’elemento realistico della scenografia e la mimica degli attori.

Una scena da Abhijñānaśakuntala di Kālidāsa, V sec. (da H.S. Shiva Prakash, “Traditional Theatre”)

Kālidāsa

Sebbene meno simbolica della mimica attoriale cinese, quella utilizzata nel teatro indiano era comunque vivamente seguita. Uno dei più noti drammaturghi indiani fu Kālidāsa, poeta e drammaturgo indiano, che scrisse in sanscrito numerosi drammi tragicomici romantici, non molto dissimili al modello dei drammi inglesi e spagnoli che caratterizzarono il sedicesimo e diciassettesimo secolo. Né l’antico teatro cinese e né l’antico teatro indiano hanno avuto così tanta influenza sul teatro occidentale quanta quella esercitata dal teatro giapponese. Lo illustro brevemente limitandomi a trattarne le peculiarità dello spazio scenico.

Il teatro tradizionale giapponese

In Giappone ritroviamo tre tipologie di rappresentazioni con differenti spazi scenici. Il teatro aristocratico Nô, il teatro popolare Kabuki e il teatro delle marionette chiamato Ningyō jōruri o bunraku. Quest’ultimo, destinato a un pubblico adulto, è considerato tra i più avanzati al mondo per la manipolazione delle marionette o pupazzi. E’ famoso soprattutto per la raffinatezza con cui unisce la manipolazione delle marionette alla musica e alla poesia. Accantonando per un attimo le marionette andiamo a conoscere lo spazio della scena degli altri due.

Il teatro Nô

L’aristocratico Nô, come il teatro cinese, era costruito rispettando misure precise. Il palco degli attori aveva una forma quadrata di circa 6 metri per lato e la sua altezza dal piano della sala era di circa 0,7874 metri. Sotto il palco, in punti prestabiliti, erano collocati dei vasi risonanti al fine di migliorare l’acustica. Tre lati del palco erano circondati da spettatori; il quarto lato dava su un’ulteriore piattaforma, destinata ai musici o ai sorveglianti della scena. Di fronte al palco, un lungo “ponte”, molto caratteristico, conduceva alla zona spogliatoio. Scenograficamente nulla era offerto agli occhi degli spettatori ma, tutt’ intorno, le convenzioni formali esigevano un’esatta collocazione degli oggetti. Intorno ai tre lati del palco era costruita una barriera di ghiaia a cui si scendeva attraverso una scaletta. Quattro pilastri sostenevano il tetto del palco per salvaguardare i costumi e gli attori, ovviamente, dalle intemperie del tempo.

Teatro nō. Fonte web.

Due personaggi

Due dei pilastri erano rigidamente assegnati ai due personaggi principali dei drammi: lo shite e il waki. Alle spalle della piattaforma era disposto un pannello su cui era dipinto un albero di pino contornato, altri tre pini erano piantati al lato del ponte a livello della sala. Un teatro, quello giapponese, dalle convenzioni formali estremamente dominanti! Ideato per rappresentare drammi in modo raffinatissimo! Sebbene potesse essere apprezzato solo da un pubblico conoscente delle convenzioni, un pubblico esperto quindi, questo tipo di teatro non è sfuggito all’interesse di noi occidentali. La sua influenza sul teatro occidentale, in alcuni momenti storici, ha rivalutato e a volte soppiantato i tragediografi ateniesi. Il suo famoso “ponte”, l’hana-michi che significava via del fiore, era un elemento comune anche al teatro Kabuki.

Il più popolare Kabuki

Il teatro popolare Kabuki, non controllato rigidamente dalla tradizione, differiva principalmente dal teatro soprattutto per la presenza di effetti scenici. Il sistema di cambiamento delle scene era affidato ad una piattaforma girevole che è stata d’ispirazione a tutti i palchi girevoli dei teatri occidentali. Intorno agli anni settanta l’influenza di queste forme di teatro orientale è andata gradualmente a calare, ciò è stato dovuto probabilmente all’ imporsi del realismo della scena occidentale. Tuttavia sia che continuino ad esserci delle ascendenze che meno, è importante tener queste ben presenti, procedendo all’indietro verso il teatro della Grecia antica nel tentativo di ricostruire una storia del teatro occidentale, ma di questo parleremo nei prossimi appuntamenti.

            Scena da una rappresentazione dell’antico teatro giapponese. De Agostini Picture Library/ M. Leigheb                                                           

Foto di copertina: Un quadro dell’opera “Peach Blossom Fan”, ambientata a Nanjing, nella provincia orientale cinese del Jiangsu (scene e light design: Zhou Zhengping) (courtesy photo: www.news.cn)

Bibliografia

  • Allardyce Nicoll. Lo spazio scenico. Storia dell’arte teatrale, Bulzoni Editore.
  • Franco Mancini. L’evoluzione dello spazio scenico, dal naturalismo al teatro epico, Edizioni Dedalo.
  • Lo spazio del teatro, Fabrizio Cruciani, Editori Laterza.
  • Marco de Marinis. Capire il teatro. Lineamenti di una nuova teatrologia, Bulzoni Editore.
  • Raimondo Guarino. Il teatro nella storia, Editori Laterza.

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Giornalista e critica di danza, danzatrice, coreografa, docente di materie pratiche e teoriche della danza, docente di Lettere e Discipline Audiovisive. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo e specializzata in Saperi e Tecniche dello Spettacolo all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Dal 1990 è direttore artistico e insegnante del Centro Studi Danza Ceccano e curatrice del ”Premio Ceccano Danza". E’ inoltre direttrice e coreografa della CREATIVE Contemporary Dance Company.