Le 19 lettere di licenziamento dei danzatori del corpo di ballo dell’Arena di Verona invitano ad una riflessione relativa non solo allo stato della cultura di danza nel nostro Paese, ma in relazione alla Cultura in generale e soprattutto alla Politica. Scrivo Politica con l’iniziale maiuscola perché ritengo che la gestione della vita pubblica sia importante e fondamentale per ogni Stato ed una parte dell’educazione essenziale per ogni individuo. Da oltre 20 anni il populismo ha preso il posto delle ideologie e la visione degli interessi comuni è sempre più condizionata da interessi privati: “ voto per chi abbassa le tasse, per chi salvaguardia la mia categoria”. Non c’è più l’educazione a pensare ad una visione globale del sistema di un Paese  e a pensare al bene delle comunità, la società si è frammentata in piccole realtà ed ognuna di queste tira dalla parte dei propri interessi: le Lobbies. Se si guarda alle ultime elezioni in Usa o alla scelta della Brexit è chiaro, ha prevalso una visione di una parte, quella che ha urlato di più.

Questa premessa sembra uno scantonamento rispetto all’assunto iniziale, la chiusura del corpo di ballo dell’Arena di Verona, eppure non lo è. Credo che si debba fare uno sforzo che vada oltre il fatto che molte Fondazioni Liriche, Firenze e Verona, tra le ultime, abbiano rinunciato alle compagnie di danza.  In questi ultimi anni hanno chiuso due compagnie stabili, dove cioè un gruppo fisso di danzatori con contratti a tempo indeterminato lavoravano da anni insieme avendo diritti garantiti, a fianco di precari con contratti e diritti meno garantiti. Nello stesso periodo hanno iniziato ad avere una notevole distribuzione compagnie private che  girano  nei numerosissimi teatri più o meno vuoti delle nostre città, soprattutto nel centro e nord Italia. Le produzioni del bravissimo Daniele Cipriani, Schiaccianoci e Coppelia, la compagnia di Freddy Franzutti, il Balletto di Milano, che lavora anche molto all’estero, (mi scuso per i tanti altri che tralascio) sono tra le principali compagnie private che in questi mesi stanno girando molto per la Penisola con notevole successo. Dunque la scelta della politica italiana (il minuscolo non è una svista!!) è di lasciare sempre più all’iniziativa e al rischio dei privati la produzione di spettacoli di danza. Non voglio neppure entrare nel merito se questa sia una scelta valida o meno, vorrei solo sottolineare alcune caratteristiche strutturali che hanno anche  una valenza culturale ed economica: le compagnie sono quasi tutte a contratti stagionali il che vuol dire che i lavoratori hanno contratti a tempo determinato. In secondo luogo   le creazioni sono spesso estemporanee e non frutto di un coreografo residente che per anni lavora con lo stesso gruppo di danzatori. Non si potrebbe avere in Italia una compagnia come l’Aterballetto che per anni con Amodio prima, e con Bigonzetti, poi ha espresso una cifra stilistica ed artistica ben precisa. Ma sono stati comunque casi sporadici perché anche le cosiddette compagnie stabili delle Fondazioni non hanno mai avuto, in Italia, un coreografo residente che lavorasse per anni con lo stesso gruppo. Non c’è mai stato un Balletto di Francoforte che ha lavorato per 25 anni ininterrottamente con William Forsythe, o un Nedherland Danse Theater che ha avuto con Jiří Kylián un coreografo stabile per quasi trent’anni. Non intendo fare una polemica tra pubblico e privato. Intendo solo sottolineare, in una visione a largo raggio sullo status quo  della danza italiana, cosa è stato  determinato dalle scelte del Ministero  e dalle dissennate politiche  dei responsabili locali delle Fondazioni, che  stanno portando ad una frammentazione nel privato delle già limitate risorse destinate allo spettacolo di danza. Le 4 compagnie rimaste alla Scala di Milano, al teatro dell’Opera di Roma, al San Carlo di Napoli e al Teatro Massimo di Palermo, contengono anch’esse tra le loro fila un sempre maggior numero di ballerini “aggiunti” rispetto agli stabili e quindi perdono sempre più la loro identità di gruppo con il rischio di mettere sempre più i lavoratori gli uni contro gli altri. Meno male che esistono e producono ancora spettacoli di qualità e begli allestimenti, ma potrei elencare decine di recensioni dei decenni precedenti in cui si parlava di fatiscenti carrozzoni con danzatori in condizioni fisiche inadeguate ad apparire in scena perché sovrappeso e fuori forma… Insomma è ovvio che bisogna distinguere livelli produttivi ed esigenze artistiche diverse: se si vuole mantenere il repertorio del balletto classico, con tutta la complessità degli allestimenti scenici, con il necessario gruppo di danzatori in scena e la qualità degli interpreti,  c’è bisogno di un forte investimento economico. Se invece si vuole promuovere un gruppo agile e limitato di balletto neoclassico o gruppi sperimentali di  danza contemporanea, c’è bisogno di un impegno economico quantitativamente meno  esoso ma che sia comunque capace di garantire continuità per creare omogeneità  stilistica e coerenza artistica. Personalmente ritengo che debbano esistere tutti i livelli di produzione coreografici, dai più piccoli, composti da artisti giovani e da ricercatori, fino alle  grandi compagnie di tradizione e innovazione ma che possano lavorare con solidità e stabilità. Per la storia teatrale del nostro paese quattro sono davvero poche! Dove sta andando la danza Italiana? E cosa ne pensano gli operatori del settore?? Lancio questa riflessione, sicuramente limitata e parziale, per animare una discussione.

 

P.S. tremo al pensiero che quello che accade alla danza delle Fondazioni possa un giorno accadere alla scuola e alla sanità pubblica… se non sta già accadendo….

Roberta Albano

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Docente di Storia della danza all’Accademia Nazionale di Danza di Roma è laureata al DAMS dell’Università di Bologna in “Semiologia dello Spettacolo”. Docente di danza classica abilitata all'AND, è critico di danza, studiosa e autrice di saggi e monografie sulla danza. Dal 1990 al 2014 è vicedirettrice dell’associazione Movimento Danza di Gabriella Stazio. E’ inoltre socio fondatore di AIRDanza - Associazione Italiana per la Ricerca sulla Danza.