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L’ Aurora di Franzutti nella famiglia meridionale

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NAPOLI – Tra le opere di Petipa e Čajkovskij, La Bella addormentata è la meno interessante in relazione alla trama. È un balletto dalla messa in scena sontuosa in cui musica e danza sono protagonisti incontrastati in una sorta di astrattismo, assolutamente incongruente per la cultura dell’epoca: il 1890 alla corte degli Zar. La favola barocca nella trascrizione seicentesca di Charles Perrault, messa in scena da Petipa, era ricca di digressioni, i protagonisti di altre favole, che creavano un ricco divertissement  per ricordare l’epoca di Luigi XIV e, attraverso di essa, esaltare la stessa corte di Alessandro III. Si fondava su una trama semplice che non ha suggerito nessun approfondimento dei personaggi neppure a Nureyev, artefice di grandi riletture a sfondo psicanalitico del Lago dei cigni e dello Schiaccianoci. Decise solo di ampliare il ruolo del principe, ossia il proprio, per cui propose un assolo nel sogno che prefigurava la scoperta del castello incantato. Eppure è la favola del passaggio di Aurora dall’infanzia alla maturità attraverso i pericoli dell’adolescenza.

La versione della Bella addormentata di Fredy Franzutti, risale a circa venti anni fa, ed è stata proposta dal suo giovane e talentuoso Balletto del Sud al teatro Bellini grazie all’infaticabile programmazione di Manuela Barbato e Emma Cianchi che curano con successo e sagacia  il settore Danza. Si tratta di una riproposizione in veste salentina della favola che richiama quella di Giambattista Basile, Sole, Luna e Talia, ma a nostro parere, non solo. L’ambientazione meridionale, in una famiglia sommersa dai tipici rituali dell’attesa, della nascita e del battesimo, viene vista da Franzutti con l’ironia, ma anche con l’affetto, di chi quelle atmosfere le ricorda in prima persona. Il coro femminile della famiglia, che nel prologo presenta e racconta la nascita della tanto desiderata bambina, ricorda in quantità e funzione, gli invitati della festa, il numero delle dodici fate presenti nella versione di fratelli Grimm, Rosaspina. La colpa del Re – per i fratelli Grimm – e del padre – per Franzutti – è quella di non aver volontariamente invitato una parente inquietante, una sorta di transgeder che imbarazza il perbenismo familiare, come ha ricordato lo stesso coreografo in un incontro organizzato al Suor Orsola Benincasa da Maria Venuso, docente di storia della danza al liceo coreutico. Carabosse, fin dalla prima volta nel 1890 interpretato en travesti da Enrico Cecchetti, è magistralmente impersonato da Andrea Sirianni e, immaginiamo la bellezza del primo creatore del ruolo che è stato addirittura Lindsay Kemp! In contrapposizione Franzutti amplifica il ruolo dei genitori, bravissimi e vivaci attori entrambi, oltre che ottimi ballerini, la madre Silvia, Beatrice Bartolomei, e il padre Roberto, Alessandro de Ceglia. La sua è una scelta vincente: secondo quanto scrive Bruno Bettelheim ne Il mondo incantato, il tema centrale della fiaba, in tutte le sue versioni, è quello per cui, «nonostante tutti i tentativi da parte dei genitori d’impedire il risveglio sessuale dei loro figli, esso avverrà comunque». Quale padre, se non quello meridionale, interpreta al meglio il desiderio ossessivo di protezione e di allontanamento dalla vita adulta per una propria figlia? È sulla dialettica genitoriale che si incentra la scelta drammaturgica di Franzutti, non c’è né la gelosia come nella favola di Basile, né la madre orchessa come in quella di Perrault, ma una famiglia iper- protettiva che cerca di isolare la figlia dai potenziali pericoli, come avviene nella versione di fratelli Grimm, la più vicina delle tre alla sensibilità borghese. L’ambientazione della Bella del Balletto del Sud è accurata e stilisticamente omogenea con le scene di Francesco Palma, in un periodo a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, i cui, una bella e brava Carolina Sangalli nel ruolo della Fata dei Lillà, la dodicesima parente buona e protettiva, si presenta con un ammiccante look da figlia dei fiori. Un’allusione alla libertà sessuale del Sessantotto che incombe sull’ignara famiglia salentina? Il balletto è godibile, divertente nel prologo che ripropone il rituale di accoglienza della nuova vita in famiglia. Vivace e solare nella festa dei sedici anni in cui lo stile swing della danza, e della bellissima scena del gioco del fazzoletto, riesce a non entrare in conflitto con le magnifiche note del valzer dei fiori e della danza degli invitati. Qui appare Aurora, interpretata dalla impeccabile Nuria Salado Fustè, forse un po’ fuori ruolo solo per la sua fisicità già adulta.  Colpita da un morso di tarantola, la fanciulla cade al suolo, nonostante il tentativo di amici e parenti di risvegliarla con un accenno di taranta. Franzutti non tralascia nessun elemento costitutivo del balletto romantico ed inizia il secondo atto con una sorta di ballet blanc in cui sei coppie tutte in bianco, tra cui Lilla e Ernesto, il principe della favola, danzano prefigurando il matrimonio. Qui nel bosco, quasi ad indicare il luogo fatato dove riposa Aurora, appaiono gli Uccellini Azzurri danzati con grande precisione e bravura da Alice Leoncini e Valerio Torelli. Non si spiega perché, anche in questo caso, per i costumi, non si sia seguita la stessa scelta stilistica operata per tutto il balletto e i due hanno indossato i classici tutù e corpetto. Nel lavoro intelligente e efficace di Franzutti appare solo qualche indecisione relativa alla sua scelta se variare, in tutti i momenti, il linguaggio coreico della tradizione classica più nota.  L’Adagio della rosa è praticamente invariato e, se possibile, proposto nella sua versione più difficile; il Pas seul   del primo atto  è molto allusivo a quello più convenzionale. Nel quadro finale del matrimonio, invece, si sceglie di cambiare completamente la scrittura coreografica. Si deve riconoscere, tuttavia, che Franzutti ha anche le sue buone ragioni: gli anni sono passati, e se Aurora si risveglia nella contemporaneità – in cui la parente “scomoda” Carabosse è finalmente accolta in famiglia – ha anche diritto di danzare in uno stile neoclassico!

Roberta Albano

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Docente di Storia della danza all’Accademia Nazionale di Danza di Roma è laureata al DAMS dell’Università di Bologna in “Semiologia dello Spettacolo”. Docente di danza classica abilitata all'AND, è critico di danza, studiosa e autrice di saggi e monografie sulla danza. Dal 1990 al 2014 è vicedirettrice dell’associazione Movimento Danza di Gabriella Stazio. E’ inoltre socio fondatore di AIRDanza - Associazione Italiana per la Ricerca sulla Danza.