Domenica 7 gennaio 2018, alle ore 16, a Roma in Via della Magliana 63E, è stata inaugurata l’Accademia Europea di Danza, fondata e presieduta dal padre spirituale della danza contemporanea in Italia,  Joseph Fontano, che in questa iniziativa ha voluto al suo fianco Luca Di Paolo (vice presidente), e Amedeo Iagulli e Veronica Grasso (direttori associati).  Il progetto è importante: l’Accademia Europea di Danza è una nuova scuola per l’alta formazione nell’arte coreutica che vuole porsi come polo di convergenza per far confluire e circolare nel nostro paese esperienze artistiche internazionali, promuovendo un nuovo approccio all’educazione e alla ricerca coreografica. Il maestro Fontano mi ha raccontato il progetto e la missione della sua Accademia in questa  intervista rilasciata per voi amici di Campadidanza.

Caro Maestro, allora mi racconti, come è nato il progetto di fondare un’Accademia Europea di Danza?

Avrei voluto creare già da molto tempo uno “spazio” dove la danza potesse vivere e respirare un’aria più europea, nonché internazionale, dove i talenti, che hanno voglia di fare “ricerca coreografica”, potessero trovare un ambiente sano e divertente, o meglio: un “polo” che non ponesse limiti creativi o interpretativi.
Sin da quando dirigevo la Compagnia Teatrodanza Contemporanea di Roma non mi limitavo a valorizzare il mio estro, ma cercavo di dare sempre molto spazio ai giovani talenti, tanto che alcuni di loro sono diventati oggi coreografi, docenti e danzatori noti. Dopo tanti anni di esperienza, ho sentito che era  arrivato il momento di fondare una “scuola” e così, con il supporto dell’Associazione World Dance Alliance Europe, di cui sono il presidente e Luca Di Paolo vicepresidente, circondato da una giovanissima e talentuosa equipe – composta da Veronica Grasso e Amedeo Iagulli – abbiamo deciso di fondare l’Accademia Europea di Danza. Sono stato sostenuto dal loro entusiasmo, dalla loro gioventù, dal loro coraggio e dal loro talento, e insieme abbiamo raggiunto il nostro obiettivo.

In molte occasioni sei stato definito il padre spiritale della danza contemporanea in Italia. Sei stato per 30 anni docente di danza contemporanea e composizione coreografica presso l’Accademia Nazionale di Danza, e hai così contribuito a formare diverse generazioni di danzatori, coreografi e docenti di danza. Ritieni che si sia evoluto negli anni l’insegnamento della danza? Se si, in che modo? Se no, perché?

L’insegnamento della danza non è solamente imparare a fare dei passi, saper fare dei bei port de bras, conoscere il fall and ricovery, eseguire una curve o fare una contrazione stile Graham. Per me la danza è un linguaggio, per cui ciò che vale è la ragione che spinge a danzare. La danza è l’arte più complessa tra le arti dello spettacolo dal vivo. L’arte coreutica comprende il teatro, la musica, la pittura, il canto, il movimento: è un mondo del tutto singolare dove, se questi elementi vengono a mancare, la danza a mio avviso diventa noiosa, incompleta e incomunicabile. Dopo aver frequentato per tanti anni varie istituzioni come il Teatro San Carlo di Napoli, l’Accademia del Teatro alla Scala di Milano e l’Accademia Nazionale di Danza a Roma, sono arrivato a una sola conclusione: in questi luoghi non regna la creatività, non ci sono spazi per la vera cultura e la ricerca coreutica. Si continua a lavorare sui nomi dei grandi personaggi senza supportare il singolo talento. Il motivo di ciò mi sfugge, o meglio, non mi sfugge affatto… Capisco che vi sono troppi interessi di una politica culturale sbagliata e per niente meritocratica! L’AND stessa, seppur riformata nel 1999, ha un sistema di insegnamento ormai “invecchiato”. Hanno programmi didattici di gran valore ma imbottigliati in una burocrazia machiavellica che non dà sbocchi o cambiamenti immediati. Basti pensare al percorso “specialistico” dove un giovane a soli 22 anni si ritrova a insegnare in un Liceo Coreutico senza avere alle spalle una carriera di danzatore; non avrà molto da raccontare ai suoi allievi del reale “mondo della danza”, sarà un insegnante senza storia di vita, senza un’esperienza vera di palcoscenico. Egli potrà impartire solo nozioni che avrà accuratamente appreso attraverso gli studi, ma non potrà dare vita al suo mestiere poiché non avrà un bagaglio reale dell’essenza stessa della danza.

In che modo, con quale impegno e con quale atteggiamento oggi i giovani affrontano lo studio e la formazione nell’arte della danza?

Le varie generazioni che sono passate attraverso le mie mani sono tante. Insegno dal 1972, anche io ero un giovane di 22 anni ma avevo già danzato professionalmente a New York da quando avevo 18 anni. L’incontro a Roma con Elsa Piperno è stato fondamentale. Siamo partiti insieme per un lungo viaggio . L’Italia a quei tempi non aveva alcuna nozione di cosa fosse la danza contemporanea. Abbiamo portato una ventata di cultura totalmente diversa e profonda, in un’epoca dove non esisteva nulla. Ci siamo armati di pazienza, sudore, passione e molto studio. Le generazioni degli anni ’70, ’80 e ’90 erano molto diverse fra loro ma allo stesso tempo molto simili: le accomuna la voglia che i giovani avevano di imparare a conquistare la loro arte. Al contrario la nuova generazione degli anni 2000 è molto diversa, le persone sono state deluse dalle aspettative di una cultura ufficiale. L’evento della televisione “spazzatura”o programmi dove si evince che in meno di 4 mesi è possibile  diventare un danzatore o una stella di fama internazionale non hanno fatto altro che non giovare all’Italia e alla danza italiana. Questa è anche una generazione che cerca “titoli” da tutte le parti pensando che con un titolo nel mondo dell’arte si possa emergere. L’AND in tutto questo non ha avuto un ruolo importante, non ha inciso culturalmente nel tessuto del paese. Le riforme hanno dato, con un ritardo mostruoso di oltre 60 anni rispetto gli altri paesi europei, una collocazione al ruolo della docenza attraverso un diploma accademico di secondo livello, ma ciò non ha condotto i giovani a comprendere che il posto in “ballo” è molto più ricco e profondo dei passi e della metodologia.
Io mi considero un “artigiano”, un “maestro” che deve trasmettere da generazione a generazione ciò che è stato il suo percorso e quelle che sono le sue “verità”, senza mai creare una copia in “carta carbone” di se stesso. Ho sempre cercato di insegnare gli strumenti e gli stimoli, senza mai trasferire facili e automatiche soluzioni. Quindi dentro ognuno di noi si trova la verità del movimento, del teatro, della musica, del pittore. Bisogna solo trovarla e individuarla. I giovani di oggi sono preoccupati in quanto non c’è lavoro e pertanto sarebbe necessario creare degli scambi, riaprire i tanti teatri italiani ormai chiusi, fare spazio per delle residenze, creare 5 o 6 compagnie nazionali (basti ricordare che Cuba ha ben 3 compagnie nazionali di danza!). I giovani si impegnano ma non prendono iniziative e tutto ciò è poco rassicurante per il futuro.Vorrei una generazione che avesse il coraggio e la voglia di conquistare il mondo!

Quali aspetti importanti dell’educazione coreutica mancano di insegnare le scuole italiane di alta formazione alla danza? In che modo l’Accademia Europea della Danza si distinguerebbe e che contributo aggiunto darebbe alla nuova generazione di danzatori, coreografi e insegnanti di danza?

L’Italia è il paese dove nasce il balletto e purtroppo tende a non riconoscerne il valore. Per esempio la danza contemporanea in Italia ha avuto una grande spinta grazie al lavoro della compagnia Teatrodanza Contemporanea di Roma e del Centro Professionale di danza contemporanea che io e Elsa Piperno abbiamo diretto insieme per molti anni. Questa esperienza, questa land mark ha creato un percorso che ha dato vita a tutto ciò che esiste adesso nel settore della danza contemporanea e non solo. A volte questo si dimentica, invece potrebbe dare più forza al settore. Tutto ciò è stato qualcosa di straordinario. Le persone si educano attraverso le verità e non attraverso la manipolazione del creatore del momento. Purtroppo nella formazione manca il collegamento con il mondo del lavoro. Manca ai giovani la conoscenza di come il mondo funziona una volta usciti da una scuola di danza. Si tende a insegnare la danza come se gli allievi fossero tutti dei bambini da proteggere o allattare. Di conseguenza tiriamo su una generazione timida, infantile che a 30 anni ancora non sa cosa fare della vita. Io a 30 anni avevo già studiato o lavorato con Paul Sanassardo, Martha Graham, Alvin Nikolais, Jerome Robbins, Trisha Brown e tanti altri. Il mio primo maestro mi insegnava che lo spazio si deve conquistare, che la danza è vita, è dolore ed è amore!
Noi ci auguriamo che presso l’Accademia Europea della danza i nostri programmi intensivi e flessibili possano creare una nuova generazione di pensatori, danzatori, insegnanti e coreografi. I corsi professionali preparano gli allievi al mondo del lavoro attraverso un programma ricco, impegnativo ma creativo.

Il percorso formativo della tua Accademia prevede un triennio di alta formazione come danzatore o coreografo, come si pone questo progetto rispetto l’inserimento professionale dei giovani danzatori/ coreografi?

Il Corso Triennale è nato per sviluppare il talento nell’apprendimento di varie tecniche della danza e materie teoriche in unica sinergia che sposa il lavoro in sala con quello del palcoscenico. Accanto alle classi quotidiane delle tecniche di danza contemporanea e del balletto classico, i vari laboratori creativi aiuteranno a modellare la artisticità dell’allievo, sviluppando anche una loro voce coreografica. Avranno numerose opportunità per creare le loro coreografie ed eseguire loro opere insieme ad altri. Riflettendo su una serie di processi creativi e studiando il movimento e la danza nei suoi contesti storici, sociali e culturali permetteremo loro di individuare una strada indipendente e di poter esplorare le aree che a loro interessano. La musica, la recitazione, la scenografia, il canto e i tanti altri stili di danza prepareranno i giovani talenti per il mondo del lavoro. Dopo il secondo anno, gli allievi potranno cominciare ad approfondire aree diverse: per esempio, la metodologia delle tecniche, la composizione coreografica o potranno continuare a rafforzare il loro linguaggio non verbale attraverso il movimento. Il nostro spazio performativo World Dance Alliance Europe Theatre, si propone di dare uno sbocco al talento coreografico dei nostri allievi e di tutti gli ospiti che vorranno esibirsi “performando” nella nostra sala teatro. La danza è lavoro che crea lavoro; non posso pensare che la formazione non abbia come sbocco l’andare in scena.

Invece per ciò che riguarda il corso di alta formazione per l’insegnamento della danza, come si riflette questo percorso formativo rispetto l’insegnamento della danza nei licei coreutici?

L’AND deve trovare il modo di dare più esperienza nelle ore di “tirocinio frontale” e accettare, al momento dell’ammissione, persone che abbiano un curriculum più ampio. Per esempio tutti i danzatori che vanno in pensione in giovanissima età sarebbero dei soggetti perfetti per andare a insegnare nei licei coreutici. Magari con un breve corso potrebbero essere pronti ad essere docenti eccellenti. Per la danza classica sarebbe una svolta, questi artisti hanno un bagaglio immenso di repertorio e di studio. Per la danza contemporanea la situazione è più complessa in quanto ci sono vari stili e vari modi di approcciare questo settore della disciplina coreutica. Comunque anche qui all’ammissione si dovrebbe fare una più accurata selezione.

Che cos’è per Joseph Fontano la danza?

Non so cos’è la danza per me, o meglio mi sveglio al mattino e vado a cercarla. Non metto limiti a cosa sia. Io sono la mia danza, vedo la danza nelle pietre, nei sassi, nella pittura, nella musica, nel silenzio, nei colori, nel respiro. So che per me è un modo di comunicare, di lasciare traccia di qualcosa, è un mio personale linguaggio che serve per esprimermi. Per me la danza è come esprimere un colore, una sensazione; a volte, per me è come spostare qualcosa di immobile o di muovermi in un vortice integrante fra le varie arti e le varie tecnologie. Per me la creazione viene da uno stimolo sempre nuovo e sempre diverso lasciando così un’impronta e una traccia di me nel momento in cui eseguo il “passo”.

Letizia Gioia Monda

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