Isabella Di Cola
Isabella Di Cola - ATCL LAZIO Inchiesta Covid-19 / Si cambia danza

Per l’inchiesta Covid -19 / Si cambia danza abbiamo intervistato Isabella Di Cola, responsabile programmazione danza e teatro contemporaneo di ATCL – Associazione Teatrale fra i Comuni del Lazio, circuito multidisciplinare. Isabella Di Cola, in ATCL Lazio da oltre 10 anni, ha conseguito la laurea in Performing Arts presso l’University of North London e avuto diverse esperienze e collaborazioni internazionali come performer. In qualità di direttrice artistica e organizzativa si è occupata del Festival Rifrazioni per l’associazione culturale Cercle ed è stata tour manager e responsabile della distribuzione di Hoghe & Schulte GBR.

L’emergenza sanitaria globale causata dal diffondersi del Coronavirus ha paralizzato ogni settore. Quali ripercussioni ci saranno nel mondo dello spettacolo dal vivo e in particolare nella danza?

È trascorso ormai più di un mese dal primo DPCM. In questi giorni abbiamo imparato a conoscere il Covid-19 e purtroppo possiamo essere certi che l’emergenza non resterà isolata in un tempo breve e circoscritto. Per settimane abbiamo aspettato il picco di contagi per poi renderci conto che una volta raggiunto ce ne sarebbero stati degli altri. Anche nelle fasi successive all’epidemia verranno previste chiusure e misure di distanziamento sociale. Le ripercussioni future per il settore spettacolo e per la danza in particolare, quindi, mi sembrano più gravi oggi che un mese fa. Un’intera categoria – gli artisti – elemento portante del settore, rischia di andare sul lastrico.

Inizialmente si era ipotizzato di poter ripartire addirittura in estate.

Le speranze di ripartire anche in tarda estate stanno sfumando giorno dopo giorno. Oggettivamente siamo preoccupati per la stagione 2020/2021. A livello nazionale potrebbe verificarsi il consolidamento a medio-lungo termine delle norme di distanziamento sociale, che – ça va sans dire – sono l’antitesi delle arti performative.

Il danno economico sarà a tutti livelli, dai più piccoli ai più grandi. Che prospettive si augura?

Potrebbe sembrare scontato sottolineare l’estrema gravità delle ripercussioni economiche che tutto il settore ha già avuto e subirà nel tempo. Mi sembra fondamentale portare l’attenzione sul rischio di sopravvivenza degli anelli più fragili: piccole compagnie, artisti e maestranze indipendenti e tutti coloro che non sono supportati da finanziamenti pubblici, contratti continuativi o strutture amministrative che possano tutelarne la salute economica. Anche se tutti i diversi soggetti, anche grandi, rischiano durissime conseguenze. Tra le conseguenze che reputo più pericolose ci sono quelle invisibili che si stanno riscontrando negli animi: senso di panico, l’ansia e la paralisi mentale.

Il mondo degli artisti della danza, poi, ha delle specificità e delle esigenze singolari.

Come ha sottolineato Valentina Marini in un’intervista a voi rilasciata, uno degli aspetti più gravi è l’impossibilità per i danzatori di svolgere il lavoro necessario per tenere in allenamento lo strumento della propria arte: il corpo. Il timore dunque è che tali ripercussioni sul settore siano più gravi di quelle che riusciamo ad immaginare e non riguardano meramente il dato economico.  In questo scenario sembra quasi impossibile trovare un pretesto per farsi coraggio. La speranza da serbare è che il governo centrale in collaborazione con le regioni ed il MIBACT lavorino insieme all’adeguamento dei criteri normativi per le assegnazioni dei contributi ordinari, che stanzino delle cifre adeguate per gli aiuti straordinari e che artisti e operatori, si assumano ancor di più la responsabilità della funzione sociale del proprio ruolo e si mettano in ascolto gli uni degli altri. In questa direzione ci stiamo adoperando come ATCL.

Che tipo di strategia immagina di mettere in atto nel dopo emergenza per far ripartire le attività del circuito ATCL?

Il 5 marzo scorso, ATCL, il circuito multidisciplinare del Lazio (con cui lavoro da dieci anni) ha annunciato la sospensione delle attività in tutta la regione, sottolineando la propria vicinanza a compagnie, maestranze e artisti. Nello scenario indefinito di persistenza delle misure di contenimento del virus credo sia prematuro parlare di strategie per la ripartenza della programmazione. Ci troviamo ancora nella fase del ragionamento e dell’analisi. Sarebbe auspicabile che le strategie per la ripartenza vengano studiate a partire dal dialogo tra tutte le parti in causa.

Immagina di ripartire da dove aveva interrotto ma con un nuovo approccio?

Per quanto riguarda i progetti di danza messi in discussione verranno recuperati non appena si troverà una soluzione alla normativa del distanziamento sociale che rende impossibile ad oggi, immaginare realisticamente una ripresa delle attività così come le abbiamo vissute. Allo stesso tempo stiamo elaborando delle strategie per tutelare le compagnie affinché le loro progettualità possano essere comunque distribuite sui territori del Lazio, a prescindere dalla possibilità di andare in scena. Questo percorso di ricerca si sta svolgendo in maniera eccellente attraverso il confronto quotidiano con compagnie e amministratori locali, che credono nella cultura come strumento di supporto alla gestione di emergenze sociali. Fortunatamente questa pandemia arriva in un momento storico in cui per quanto ci venga negata la prossimità fisica delle relazioni possiamo comunque nutrirle attraverso le connessioni virtuali.

Si sta discutendo tanto anche delle possibilità che il mondo digitale offre. Lei riesce a trarre beneficio dalle connessioni virtuali e immaginare una distribuzione e, quindi, una fruizione alternativa?

Credo che la vera sfida per tutto il settore sia proprio superare il senso di paralisi e cercare di essere intellettualmente connessi, ma soprattutto in movimento. Così come quando viene negano qualcosa si crea un maggiore desiderio, così in questo momento sembra che il desiderio di avvicinarsi sia molto forte. Mai come in questo momento si sente il bisogno di guardare da vicino i problemi che stanno emergendo a causa delle restrizioni, di guardare alla radice della questione, di trovarne una sintesi e azzardare delle soluzioni pratiche. In un momento storico in cui la produttività dei singoli elementi resta sospesa è fondamentale aprire ampi spazi per l’osservazione e l’analisi di un sistema che da troppi anni subisce tagli e vessazioni e che al contempo resta, e resterà sempre, una risorsa per il benessere delle persone e delle comunità.

Come ha vissuto questo lockdown?

In casa, come tutti, e non da sola. Già questa mi è sembrata una grande fortuna. Ho cercato di essere grata a tutto quello che ha reso la mia reclusione sopportabile e comoda ma non posso dire di essere stata tranquilla. Anche perchè come ormai si dice da giorni per il settore dello spettacolo dal vivo si prefigura un anno terribile. Le giornate sono passate velocissime tra telefonate, incontri su zoom, meet, skype. Il mondo dello spettacolo è fatto di persone, professionisti che rivestono ruoli diversi e complementari tra loro ma profondamente interdipendenti. Da quando siamo rimasti chiusi in casa il peso specifico della responsabilità di ogni singola nostra azione è notevolmente aumentato.

Sostiene che si debba puntare su azioni di sistema congiunte?

Le arti dello spettacolo creano legami in continuo movimento, come in una grande famiglia. Questa famiglia ad oggi sembrerebbe non avere più una casa e come lavoratrice dipendente al cospetto del precariato dello spettacolo dal vivo mi sento parte di un sistema il cui motore, già profondamente affaticato, è ormai allo stremo.  Stiamo cercando di condividere principalmente la preoccupazione. Da quando siamo in questa situazione non faccio che pensare a tutti gli artisti, le compagnie e le maestranze che dall’inizio della pandemia hanno subito il 100% del taglio della propria attività. Da allora mi chiedo se il ministero e le amministrazioni sapranno far fronte per tempo al disastro che in tanti subiranno nelle proprie intimità. Sin dai primi giorni di lockdown ho esplorato e verificando la possibilità di pianificare delle azioni di solidarietà sociale per artisti e maestranze che non rientreranno nelle maglie degli aiuti straordinari del DPCM.

A tal proposito, cosa ne pensa delle misure prese per il settore dello spettacolo nel primo decreto Cura Italia?

Ogni cura deve tener conto della specificità del proprio paziente. L’emergenza Covid si innesta in un’emergenza continua del settore spettacolo dal vivo in Italia in cui solo il 4% dei lavoratori ha contratti solidi mentre il 51,4% ha un’entrata annua che non supera i 5.000 € e con i dati mi fermerei qui. Le misure del primo decreto Cura Italia per la categoria dei lavoratori dello spettacolo sono stata accorpate ad altre e il fondo è limitato ad una spesa complessiva di 48,6 milioni di euro per tutto l’anno 2020. Non credo che le risorse saranno sufficienti per coprire tutte le richieste. Ora è stata annunciata uno scorporo di aiuti proprio per alcuni settori. Questo mi sembra giusto.

In quanto tempo si potrà ripartire realmente?

Il virus potrebbe indebolirsi in estate ma in autunno saremo di nuovo a rischio e fino a quando la scienza non avrà trovato, testato e prodotto i vaccini o gli antivirali efficaci, potremmo rischiare di vivere delle ripartenze mutilate e quindi ulteriori frenate dovute a possibili nuovi picchi.

C’è qualche aspetto positivo di questa pausa? Qualcosa di cui magari ci accorgeremo con più consapevolezza più avanti ma che già possiamo ipotizzare?

Questo virus ci ha tolto tantissimo, oltre ai soldi, anche la libertà di decidere. Dagli spostamenti ai ritmi delle nostre giornate, abbiamo dovuto rinunciare anche a essere vicini ai nostri cari. In compenso ci siamo trovati ore di tempo che mai avremmo pensato di avere a nostra disposizione. Dovremmo prendere questo tempo, dilatarlo ancora di più e cercare – in un ambiente non inquinato dall’ansia della produttività – soluzioni responsabili e consapevoli. Questa crisi inoltre ci sta già obbligando a guardare i problemi in cui viviamo immersi non più come isolati ma come interconnessi a molteplici fattori.  

La luce che si è spenta sulla scena dovrebbe quindi accendersi su chi la scena la pensa, produce e distribuisce. Cercando anche di sviluppare nuove possibilità di fruizione e – nuovi pubblici – specialmente giovani. Non trova?

Le arti dello spettacolo dal vivo attivano e connettono pluralità di soggetti; creatori e pubblici ed esistono relazioni profonde che sono un motore prezioso. In questo momento il teatro, la danza e la musica non li possiamo fare. Vedere gli spettacoli su youtube o comunque online aiuta ma non risolve. È certamente importante agire a livello simbolico, ma le priorità nella sfera del reale sono assordanti e ci chiamano in causa. Non è solo importante ‘far vedere il teatro o la danza on-line’ ma fare appello ai valori della scena. Dovremmo non mancare l’occasione e concentrarci sul ritrovare il legame con i valori basilari delle arti performative, riconnetterci con il senso delle pratiche artistiche. Potremmo approfittare di questo anno forzatamente “sabbatico” per risanare le crepe e superare la frammentazione che mina da decenni la salute del sistema spettacolo dal vivo in Italia.

Secondo lei, sul piano internazionale, ci saranno più differenze di prima rispetto al settore produttivo e organizzativo della danza?

Se questa crisi dovesse realmente risolversi in opportunità potrebbe farlo a partire dall’analisi profonda e trasversale delle falle e delle contraddizioni che comunque erano presenti. Sarà necessario fare appello alle energie creative, alle competenze trasversali e alle visioni più disparate per immaginare nuovi e plausibili scenari.

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