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Dopo aver visto il debutto dello spettacolo Pablo_il peggior nemico della creatività è il buonsenso chiedo alla giovane coreografa Valeria Loprieno alcuni chiarimenti sulla sua creazione.

Lo spettacolo è andato in scena il 5 e 6 luglio al Teatro Spazio Uno a Trastevere a Roma ed ha voluto analizzare con la danza ed il teatro la figura di una dei più esilaranti ed interessanti pittori del secolo scorso, sia come uomo che come artista, Pablo Picasso.

E’ uno spettacolo improntato sul femminile, sulle donne del pittore, sulla denuncia, sulla risoluzione quasi catartica di una vita che voleva solo esprimere la sua essenza.

In scena tre donne: Ludovica Avetrani, Valeria Loprieno, Giovanna Rovedo.

 

Com’è nata l’idea di raccontare di Pablo Picasso?

Non è stata un’idea, è stata un’esigenza. Penso che ogni creazione artistica debba nascere da una necessità, la mia era quella di creare qualcosa che parlasse di quest’ artista che amo e che ho studiato approfonditamente e la cui figura di artista e di uomo mi ha sempre affascinato, come i suoi quadri e la sua genialità e il suo essere precursore visionario ma allo stesso tempo estremamente razionale e terreno. La dimensione intima e la dimensione pubblica si fondono in lui da una parte con lucidità e dall’altra con follia: è per questo che ho voluto dare voce alle due parti.

 

Perché hai scelto la relazione voce e movimento? ovvero una narrazione abbastanza continua sulla danza?

Voce e movimento sono le due facce di una stessa medaglia. Qualsiasi forma d’arte se utilizzata per uno scopo può essere utile alla concretizzazione di uno spettacolo. Non credo ci siano limiti all’utilizzo di mezzi artistici.  La voce e il movimento in questo caso sono quelli a me più affini ed è per questo che studiando la letteratura di e intorno a Picasso ho deciso di creare uno spettacolo che abbia inserti recitati. Certe volte la danza non basta, per un personaggio così complesso ancora di più.

 

E’ il tuo primo lavoro da coreografa?

 Precedentemente ho creato una pièce, Simulacre, che però è rimasta sempre in forma di performance breve di 20 minuti. E’ la prima volta che porto in scena uno spettacolo intero.

 

Credi che in Italia ci sia spazio per i giovani coreografi?

 In Italia non c’è spazio per nessuno, non solo per i giovani coreografi. La burocrazia, la malavita, la mala gestione della cosa pubblica ricade anche sul mondo dello spettacolo. I giovani coreografi vengono “sedati” con dei bandi a volte ridicoli, la professione non viene ancora riconosciuta e rivalutata come dovrebbe. L’arte non è mai stata tanto bistrattata come in questo periodo di crisi, quando invece dovrebbe essere considerata una risorsa importante.

 

Hai già progettato altre date e luoghi in cui presentare questo spettacolo?

 Non ancora, considerando le difficoltà di cui sopra è difficile fare progetti a lungo termine, chi vivrà vedrà!

 

E tu, invece? Vivi a Roma? credi che Roma sia un buon punto nevralgico per la danza?

Io vivo a Roma e penso che in questa città ci sia abbastanza fermento per la danza ma poche risorse reali. La mia fortuna è stata avere l’appoggio di Loredana Parrella, coreografa e direttrice artistica della compagnia CieTwain, che oltre ad offrirmi il suo spazio per delle Residenze, ha co-prodotto lo spettacolo. In generale però si fa mille per ricevere uno, è molto difficile andare avanti, bisogna essere caparbi, testardi e un po’ folli, non avere buonsenso in poche parole.

 

Foto di Fabrizio Iozzo

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