Vedere la fila al botteghino per uno spettacolo di danza è cosa rara a Napoli. Ma domenica 20 maggio al Teatro Bellini la fila c’era eccome! L’occasione era ghiotta. La chiusura del tour mondiale della compagnia Ultima Vez con il suo lavoro più apprezzato e premiato: “In Spite of Whishing and Wanting”, regia, coreografia e scenografia del fiammingo Wim Vandekeybus approdato alla danza dopo un incontro con Jan Fabre e musiche originali di David Byrne, il fondatore dei mitici Talking Heads. Uno spettacolo che mescola in un’ora e cinquanta minuti musica, danza, cinema e teatro.

La magia ti cattura subito, sin dalla prima scena quando il palcoscenico, privo di qualsiasi scenografia, si riempie di figure maschili al galoppo, al trotto, al passo che si muovono lungo traiettorie varie, si annusano, nitriscono e si imbizzarriscono. A introdurli due attori seduti che, uniti da una corda, si muovono orizzontalmente per centrare il microfono in un “tic tac” immaginario che ipnotizza lo spettatore.

“In Spite of Whishing and Wanting” è una creazione del 1999 che vuole affrontare la forza dirompente del desiderio e della paura, facendolo esclusivamente al maschile. Al suo esordio apparve un lavoro istintivo, fisico ed energico. Con il tempo si è evoluto, incorporando momenti recitati e due cortometraggi. Un capolavoro del teatro danza degli anni Novanta che, allora, diventò un manifesto per un nuovo tipo di danza, più ruvido, più istintivo.

I danzatori, chiaramente, non sono quelli del 1999, ma come quelli di allora sono capaci di andare oltre e di apparire quasi circensi negli slanci e nelle cadute.

A segnare un prima e un dopo dello spettacolo c’è l’esplosione di un petardo in scena che fa volare in palcoscenico e sugli spettatori delle prime file tante piume che continueranno a svolazzare e a cadere anche dall’alto per tutto il tempo rendendo l’atmosfera a tratti fiabesca. Lo spettacolo è sul desiderio e sulla paura. La paura di sparire, di essere mangiati. E il desiderio di osare, di andare oltre.

L’assenza di donne in scena crea come uno stato di sospensione. Lo spettatore aspetta sempre che ne arrivi qualcuna, ma questo non si verifica. Soltanto nei due cortometraggi che si inseriscono nella danza e nel parlato (in molte lingue) ne compaiono due. Nell’incontro scontro dei danzatori, però, l’elemento femminile si ritrova nei gesti di affetto, di cura, di attenzione che a volte si creano (particolarmente toccante e tenero è un ballo di coppia, chiaramente tra uomini,che avviene in scena). Per il resto c’è tanta violenza fisica e verbale che però sembra sempre rimanere in un livello superficiale, sotto il quale c’è qualcosa di molto più profondo e ancestrale.

Moltissimo fa la musica composta da David Byrne ma che in questa edizione lo ha visto collaborare in sinergia con compositori e musicisti del calibro di Peter Vermeersch, Thierry De Mey, Marc Ribot, Eavesdropper, David Eugen Edwards, Daan, Arno, Charo Calvo, Mauro Pawlowski, Roland Van Campenhout e Elko Blijweert in una modalità di lavoro particolarissima: gli autori delle musiche, infatti, hanno scritto le loro composizioni durante la fase delle prove, mentre lo spettacolo era in costruzione per rendere ancora più in simbiosi coreografia e musica.

Il suono scandisce il tempo, il susseguirsi di giorno e notte, di sonno e veglia in un mondo di soli uomini apparentemente ingenui, giocosi, ma spaventati. Un mondo di uomini-bambini che si spogliano e si rivestono in scena, a vista, come farebbero dei bambini, scendono dal palco e toccano gli spettatori, urlano e ridono.

Tutti bravi i danzatori: Rob Hayden, Eddie Oroyan, Yassin Mrabtifi, Guilhem Chatir, Grégoire Malandain, Luke Jessop,Luke Murphy, Flavio D’Andrea, Knut Vikström Precht, Cheng-An Wu, Baldo Ruiz. Ben fatti e ideati i costumi di Isabelle Lhoas con Isabelle De Cannière e le luci di Francis Gahide e Davy Deschepper

Uno spettacolo di grande impatto che fa bene vedere e rivedere.

Forse  nella programmazione di un teatro come il Bellini basta uno spettacolo così, uno spettacolo  ben fatto e di spessore a far appassionare il pubblico. Non serve altro.

Raffaella Tramontano

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Giornalista professionista dal 1987, è direttore responsabile di Campadidanza Dance Magazine, fondato nel 2015 con Gabriella Stazio. Dopo aver lavorato per quasi venti anni nelle redazione di quotidiani, ha scelto la libera professione. E’ stata responsabile Ufficio Stampa e pubbliche relazione del Teatro di San Carlo, del Napoli Teatro Festival Italia, dell'Accademia Nazionale di Danza, responsabile Promozione, e marketing del Teatro Stabile di Napoli/Teatro Nazionale. Ha curato numerosi eventi a carattere nazionale e internazionale. Con Alfredo d'Agnese, nel 2015 ha fondato R.A.R.E Comunicazioni società press & communication.