La danza non è forse solo l’arte più antica ma è anche quella che ha letteralmente conquistato la cinematografia, già dagli inizi. Mi sembra perciò doveroso, in questa rubrica dedicata al cinema, fare un piccolo excursus sulla storia del legame che ha unito da subito le due arti per arrivare a oggi e a quello che di ieri troviamo, e aggiungerei per fortuna, su canali web di massa come Youtube.

Tra videoclip, serieTV e film, una ricerca minimamente oculata ci porta a riscoprire alcune rarità e assoluti capolavori del cinema dei primi del ‘900: Loïe Fuller ripresa dai fratelli Lumière (autori di quel famoso treno che sparse panico tra gli spettatori e decretò in qualche modo la nascita del cinema), Ruth Saint-Denis, per la Edison, e tante altre, numerose danze e danzatrici con spade, ombrelli e gonne oversize. Non rimane traccia invece del primo documento cinematografico dedicato alla danza classica, del 1895 Pas de Deux, ancora dei Lumière.
Ma non ci sono solo loro a fissare su pellicola questo magico connubio: Peter Elfelt, fotografo di corte del Balletto Reale Danese, realizzava con una sola cinepresa fissa nei primi anni del XX secolo (la primissima del 1902) filmati delle prove e delle esibizioni del balletto e delle coreografie di Bournonville, ancora oggi importantissimo materiale di archivio storico e di studio della compagnia.

Poi una bella ventata di evoluzione ci porta ai cine-balletti, alle fantasmagorie e a una nuova tecnica di danza che si libera delle calzature e degli abiti costrittivi tipici del balletto classico e si orienta verso un utilizzo del corpo e del peso/forza di gravità in un certo senso opposti e all’introduzione di mezzi di riproduzione in scena.
Ricordiamo qui due figure geniali: Georges Méliès, che con il più antico filmato integrale di balletto, la Danse au Serail (1897), fa danzare il suo cinema attraverso l’utilizzo di trucchi ottici, montaggio e macchine teatrali e della collaborazione di danzatori in carne e ossa, come in La lanterne magique (Lanterna Magica) del 1903; e Loïe Fuller che porta i dispositivi cinematografici direttamente sulla scena e li impiega nella sua danza, ottenendo degli effetti molto interessanti e innovativi dal punto di vista scenografico, come La Serpentine, primo brano di danza in assoluto trasposto nel cinema… Anticipazione della videoarte e della videodanza che diromperà negli anni ’60?

Altri, come Isadora Duncan, i fratelli Lumière, ma anche Alice Guy e lo stesso Elfelt, conservano una linea naturalistica: l’una liberando la danza e il movimento da qualsiasi artificio, gli altri utilizzando la mdp come mezzo per registrare e testimoniare di un evento e dare ad esso di conseguenza una maggiore e più duratura diffusione.
Serge Lifar realizza una serie di film-documenti per la sua compagnia (uno, in particolare, con la Ulanova) e per il suo maestro Nijinskij, verso la fine degli anni ’20. Il documentario è una fonte prima e preziosissima dell’esperienza dolorosa ed emozionante della follia del ballerino che, rinchiuso in una cella, riesce ancora a danzare con leggiadria e perfezione di movimento. A questo proposito val la pena ricordare due documentari importanti La danse éternelle e Symphônie en blanc, sull’Opéra di Parigi (di cui era direttore Nijinskij) diretti da René Chanas e prodotti da F. Ardoin, il primo incentrato sulle origini e gli sviluppi della danza nelle diverse culture e fasi storiche; il secondo, sulla danza classica e sul suo rapporto con il palcoscenico e con la coreografia. Sono film importantissimi per le performance registrate di Chauviré, Darsonval, delle sorelle Lorcia, Schwartz, Lifar stesso, Peretti, e dell’intero corpo di ballo dell’Opéra.

Anche Griffith è rapito dalla danza, ad esempio in Intolerance: Love’s Struggle Throughout the Ages (1916) con le gigantesche parate di danzatrici coordinate da Gertrude Bambrick e dai fondatori della Denishawn School of Dance of California, Ruth St. Denis e Ted Shawn.
E ancora, Charlie Chaplin con la danza dei panini in The Gold Rush (La febbre dell’oro, 1925) e Limelight – Luci della ribalta (1951), Jacques Tati e Marcel Marceau.

In Italia, nello stesso periodo, c’è Ballo Excelsior (1914), tratto dall’omonimo balletto e diretto da Luca Comerio, e La nave (1921) di Gabriellino D’Annunzio, film ispirato alla pièce del padre e che vede la partecipazione della star dei Balletti Russi Ida Rubinštejn.

Il cinema è catturato dal carattere dinamico, dal movimento, piuttosto che dalla coreografia tout court delle danze: in questo periodo abbonda materiale coreografico non rivendicato da un punto di vista autoriale, che rende questi filmati ancora più preziosi ed esclusivi.

Infine, sempre nelle prime decadi del ‘900, si sviluppano movimenti artistici eccentrici ed esuberanti nei confronti delle ultimissime tecnologie, come il Futurismo: Vita futurista (scritto dal Movimento nel 1917), con le coreografie di Fortunato Depero, Balli plastici e Anihccam 3000, e gli esperimenti sulla velocità e sul tempo cinematografico (in ralenti e velocizzazioni) di Hans Richter.

Nella prosecuzione del cinema visionario, e della sua linea di pensiero, introdotto da Méliès e toccato dai movimenti futuristi e dal Dadaismo, l’ideale di fondo muta in ribellione del mondo dell’arte ai canoni impostati dalla tradizione attraverso l’elogio del nonsense è film-balletto diventa vera e propria tavola di provocazione, di rimbalzo, verso un ideale di libertà e di fantasia, come stimolo e sollecitazione a una costruzione autonoma, peculiare, di valori dinamici e di suggestioni fertili del ritmo (Entr’acte – Intermezzo, 1924 di René Clair e Ballet Mécanique, 1924 di Lèger), un’opera totale, completa nell’assoluto nonsense del messaggio veicolato, pura espressione di un’arte che in fin dei conti è unica, compatta ma variegata e indissolubile.

Con lo svilupparsi di nuove tecniche di ripresa e di montaggio, e il contributo fondamentale della scuola cinematografica russa, si pongono le prime difficoltà e i primi dubbi sulla modalità di inserimento ottimale della danza in un film. Il dilemma principale, e mai definitivamente risolto, coinvolge tanto la ripresa, quanto il montaggio, dando risalto alle strutture indipendenti dal mezzo cinematografico registrante oppure creando una nuova struttura, che possa rendere irriconoscibili le strutture di movimento preesistenti.

La danza dunque, terreno di disputa tra queste opposte concezioni, diventa l’occasione per il cinema di mostrare la sua più sfrenata libertà di espressione, rispetto al puro entertainment, oltre che all’atto performativo in sé; nel prossimo appuntamento vedremo l’evoluzione e le controversie di questo matrimonio, con l’avvento per lo più della registrazione e riproduzione del suono nel cinema.

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