grazia galante foto

 

Dodici anni accanto a Béjart, un anno nella scuola Mudra e undici in compagnia, nel periodo del suo massimo fulgore creativo. Musa ispiratrice di alcune delle sue più famose creazioni, Grazia Galante, Cavaliere della Arti e delle Lettere, ha cominciato con la ginnastica artistica e a quattordici anni è entrata all’Accademia Nazionale di Danza di Roma. Qualche anno dopo è stata scoperta da Maurice Béjart che l’ha portata a Bruxelles, alla scuola Mudra, dove ha studiato danza classica, moderna, contemporanea, trucco, recitazione, percussioni e quant’altro. Non ancora maggiorenne è entrata in compagnia, a conferma di un talento strepitoso. Ha interpretato i ruoli principali delle produzioni del maestro accanto ai partners più prestigiosi. Dopo una lunga carriera come danzatrice – mamma di tre figlie – si è specializzata nell’insegnamento, si è dedicata alla coreografia e recentemente è tornata sulle scene del Teatro Massimo di Palermo, per Franca Florio.

“Per me ogni persona è unica- le ha scritto Béjart in una dedica – ma Grazia è più unica delle altre. L’ho incontrata a Roma e l’ho portata con me alla mia scuola Mudra qui ha fatto dei tali progressi da farmi quasi paura, ha una scienza della scena, dello sguardo, un’interiorità drammatica che sono davvero affascinanti. Non parlo molto con lei, non le spiego molte cose ma in uno sguardo e in uno sfiorarsi delle mani c’è un contenuto molto profondo. Grazia ha la forza e l’innocenza di un’eroina italiana.”

Timida, schiva, chiusa nel suo universo emotivo ma profondamente determinata nel lavoro, Grazia Galante sente oggi la necessità di trasmettere ai giovani tutta l’esperienza che ha accumulato negli anni. Soprattutto perché questo messaggio passa in maniera diretta da Béjart a lei e da lei ai giovani che sono il volto più bello dell’umanità e del futuro, e con il loro entusiasmo rendono il lavoro una grande emozione.

Quali sono state le difficoltà nel lasciare tutte le comodità familiari per andare a studiare danza in un altro paese?

Le difficoltà erano diversissime. Sono partita nel 1978, non esistevano i telefonini, il computer, le distanze erano veramente lunghe, passavano mesi e mesi prima di poter riabbracciare la mia famiglia, la scheda telefonica non funzionava quasi mai. Era molto più difficile di quanto lo sia oggi, con la tecnologia che accorcia le distanze. Ma l’opportunità era così unica che non potevo lasciarmela scappare e poi sono molto testarda. La scuola Mudra era una scuola bellissima e mi sono ambientata senza problemi in compagnia. Mudra significa ‘gesto’ in  sanscrito, studiavamo di tutto e con i migliori maestri, cominciavamo la giornata con zen e filosofie orientali e poi  con un riscaldamento che ci faceva fare il maestro, poi classico, tecnica di punte, contemporaneo, jazz, fino ad arte drammatica, canto, improvvisazione, lavoro della voce, ritmo, solfeggio, arti marziali, arti circensi, trucco scenico. Uscita da questa scuola avevi imparato tutto sull’arte del teatro totale. I ballerini di Béjart hanno sempre avuto una tecnica fortissima ma poi lo sguardo, l’uso della scena, la teatralità in generale, duecento spettacoli all’anno in giro per il mondo sono tanti, una bella palestra di vita. Eravamo più a nostro agio in palcoscenico che nella vita normale. Quando sono andata via dalla compagnia mi sono sentita un vero disastro nella vita quotidiana, avevo vissuto per anni nei teatri, negli alberghi, in aereo, in giro per il mondo. Oggi sono molto felice del mio percorso.

Che cos’è il talento?

È una cosa innata. Ci sono artisti che entrando in scena, senza fare niente già attirano il tuo sguardo altri che devono prima ballare per far capire chi sono. È un’alchimia, certo il lavoro quotidiano è fondamentale.

Qual è stato il momento più bello ed emozionante della sua carriera?

Ce ne sono tanti…quello che ricordo di più è un episodio divertente successo a Taormina. Il Bolero l’ho ballato dappertutto e tutti i grandi ballerini hanno sognato di interpretarlo, quando poi l’ho hanno fatto hanno sempre detto “meglio sognarlo che ballarlo” perché è pesantissimo, difficilissimo, sia tecnicamente che emotivamente. Il Bolero chiudeva sempre gli spettacoli e io arrivavo sempre tardi per non aspettare dietro le quinte con l’ansia che ti divora. Anche a Taormina arrivai tardi e invece di fare la sbarra iniziai a correre intorno al teatro, ad un certo punto dovevo prepararmi per ballare…c’era una barriera di poliziotti a cui chiesi di entrare dicendo che dovevo interpretare il Bolero “Ma lei dove va??? – mi risposero- qui sono tutti francesi…lasci perdere…” Cercai disperatamente il maître de ballet, ma niente da fare non mi lasciavano passare, fin quando un poliziotto decise di accompagnarmi in camerino, incredulo. Dopo la mia esibizione  non sapeva come scusarsi, si mise in ginocchio per farsi perdonare, “la verrò a vedere sempre, ogni volta che balla!” Un momento emozionante è stato appena sono entrata in compagnia giovanissima, la prima creazione che Béjart ha fatto per me alla Scala era il personaggio di Maria Callas in Casta Diva, avevo diciotto anni e me ne rendo conto solo ora di che responsabilità avessi perché all’epoca ero incosciente.

Che cosa ama del mondo della danza e che cosa non ha mai sopportato?

Amo il privilegio di vivere in palcoscenico un tempo solo nostro, per vivere senza problemi il momento della rappresentazione bisogna lavorare duramente, amo trasmettere un’emozione, Béjart ci ha sempre insegnato che in scena non devi fare un personaggio, lo devi essere. Solo così arrivi al cuore del pubblico che ti appare come una massa anonima ma con una sola anima. Non c’è niente che non mi piaccia…

Che cosa le ha lasciato Béjart?

Per me, nella mia vita, lui c’è sempre. È un gioco di specchi permanente.

Che cosa è cambiato nel mondo della danza secondo lei?

È una domanda difficile, tanto per non fare retorica…ai miei tempi c’erano maestri bravissimi, ho vissuto la danza in un’epoca d’oro, sono stata certamente più fortunata dei giovani di oggi, c’erano tanti spettacoli, entusiasmo, rispetto. Ora vedo cose strane durante le lezioni, è il mondo intero che è diverso, la cultura, la danza sono fatte di rigore. Chi si avvicina alla danza prima o poi si avvicina anche alle atre arti. Ammiro molto i giovani che studiano con passione, al di là della bravura.

Che cos’è l’umiltà?

Considerare il lavoro che si è fatto, se poi viene eseguito bene, meglio ancora. Non sono una grande star, quello che ho costruito è stato anche merito del mio talento, innato, e poi certo, ho vissuto il privilegio di avere incontrato un maestro come Béjart.

Che cos’è la danza per lei?

Un lavoro che mi ha permesso di essere indipendente, di non chiedere più soldi alla mia famiglia per mantenermi all’estero. Ho avuto la fortuna di poter fare della mia passione il mio mestiere, che mi fa vivere. Non so fare altro.

Elisabetta Testa

 

 

 

 

 

 

Iscriviti alla Newsletter