Gennaro Cimmino

Insieme al coreografo Gennaro Cimmino, impegnato in un progetto sulla “Napoletanità” con vari spettacoli, Körper è una delle poche compagnie di danza in Italia che lavora con coreografi diversi.

La mission della compagnia è appunto sostenere e promuovere giovani coreografi. Obiettivo che si realizza nella collaborazione tra la compagnia e i molti giovani coreografi e danzatori della città di Napoli e della regione Campania.

Körper coltiva dunque la propria attività di produzione e valorizzazione dei nuovi linguaggi della danza contemporanea in Campania, in Italia e all’estero. Un progetto che consiste non solo nelle produzioni di spettacoli nei teatri, ma anche in residenze e incontri. Al fine di mettere in relazione la scena contemporanea locale, con quanto avviene a livello nazionale e internazionale. Lo contattiamo per l”inchiesta “Covid 19/Si cambia danza”.

Secondo Gennaro Cimmino, lo spettacolo dal vivo continuerà a usare alcuni strumenti che è stato costretto ad adottare durante la pandemia?

Secondo me sì, sarebbe da stupidi non approfittare delle indagini che abbiamo fatto col digitale e non usarle quando ci serviranno. È come se avessimo acquisito un nuovo sapere che prima non avevamo e che adesso possiamo usare. Forse lo avevamo anche prima, ma non lo ritenevamo importante. Invece abbiamo capito che anche il digitale è importante.

Quali saranno i rapporti tra la performance dal vivo e le forme di riproduzione e distribuzione sperimentate?

Per me non cambierà molto nelle forme di riproduzione e distribuzione dello spettacolo. Un problema con la distribuzione lo abbiamo sempre avuto e continueremo ad averlo. Certo se non ci distribuiscono gli spettacoli adesso potremmo metterli su delle piattaforme e cercare di aumentare il risvolto economico. Sarebbe automatico per le compagnie, senza aspettare che i circuiti distribuiscano i nostri spettacoli, potremmo fare anche così.

Penso proprio che per la distribuzione non cambierà assolutamente nulla. Dobbiamo sempre inviare delle proposte, far venire le persone a vedere gli spettacoli per essere distribuiti, fare la promozione, chiamare i circuiti. Oppure fare come abbiamo sempre fatto, mandare le nostre proposte ai teatri e ai festival all’estero.

La forma di riproduzione invece, se indagata e approfondita come dovrebbe, potrebbe portare avanti delle economie vantaggiose per le compagnie.

Quali sono le tracce che la lunga separazione dal pubblico ha lasciato?

Spero che ci sia più consapevolezza, ma non solo dal punto di vista dello spettacolo. Mi auguro che si comprenda che viviamo in un mondo davvero piccolo, come ha dimostrato la pandemia. Spero che ci sia la consapevolezza dello stare insieme, che il pianeta su cui viviamo è di tutti e dobbiamo stare attenti a non ferirlo ulteriormente, poiché è già morente. Siamo quasi al punto di non ritorno.

Il fattore umano dovrebbe avere la priorità sul mercato, che pensa invece solo allo sviluppo. Diceva Pasolini: «Lo sviluppo, senza progresso umano, che sviluppo è?»

Il ricambio generazionale, in Italia, è difficile anche nella danza. Secondo Gennaro Cimmino, perché?

Il ricambio generazionale è difficile perché la maggior parte delle compagnie in Italia sono compagnie autoriali. Quindi gli spettacoli sono sempre dello stesso autore, dello stesso coreografo.

Io, invece, ho deciso di essere un organizzatore e quindi ho messo da parte il mio essere coreografo e il mio essere artista. Solo nel 2014, dopo dieci anni di lavoro, Körper ha messo da parte più energie economiche e quindi ho potuto assumere altre figure lavorative. Grazie anche alle istituzioni: il Ministero della Cultura che ci ha riconosciuti nel 2014, la Regione Campania che pure ci sovvenziona.

Il ricambio generazionale è quello che noi stiamo facendo da anni. Tanti giovani coreografi campani, affermati oggi, io li seguo da molto tempo. Ciò che mi colpisce è la loro esigenza di andare in scena, e bisogna fare attenzione a non confonderla con l’esibizionismo puro.

Il ricambio generazionale può avvenire così: guardandosi attorno, prestando attenzione ai giovani danzatori e ricordandosi che esistono anche le esigenze degli altri, non solo le proprie. Ecco ciò che faccio con Körper, compagnia pluri-coreografi.

Il sistema della formazione nella danza ha un ruolo nella difficoltà dei giovani ad emergere?

Il sistema della formazione in Italia non prevede l’accesso al lavoro per i ragazzi. Non si pensa al work in progress che i giovani devono fare per lavorare. Questo è ciò che manca nel sistema di formazione italiano.

Si dovrebbe prevedere, negli ultimi due o tre anni di studio, non solo il saggio di fine anno, ma far lavorare i ragazzi. In modo che possano essere presto assunti dalle compagnie. Per me è fondamentale fornire agli allievi anche l’indirizzo al lavoro.

Quindi negli ultimi anni di studi le scuole private dovrebbero proporre laboratori coreografici, e lo fanno in pochissimi. Accompagnare i ragazzi sul palcoscenico, non solo ai saggi, proprio fargli capire come si sta sul palco. Come e perché trasferire le emozioni agli spettatori: la bellezza, l’interesse, la politica.

I ragazzi dovrebbero sapere già a sedici anni che la danza non è solo stare alla sbarra. La tecnica, gli esercizi, l’allenamento servono per andare in scena e per lavorare.

Che cosa dovrebbe cambiare, secondo Gennaro Cimmino, per rendere più flessibile la ricerca del lavoro?

Forse potrebbe aiutare un collocamento per lo spettacolo dal vivo. Ma il collocamento già non funziona per gli altri mestieri, figuriamoci.
Secondo me se il collocamento funzionasse bene dovrebbe esserci uno specifico per lo spettacolo dal vivo. Perché nello spettacolo dal vivo, infatti, sono coinvolti tanti mestieri.

Certo se davvero si realizzasse un collocamento del genere non andrebbe abbandonato a se stesso, andrebbe mantenuto attivo.

Cosa farebbe se improvvisamente avesse il potere di risolvere i problemi del mondo della danza?

Creerei un centro coreografico in ogni regione.
All’interno del centro coreografico regionale collocherei – se fatto in un palazzo in cui è possibile – il decentramento dell’Accademia.
Ovviamente il centro coreografico regionale deve essere pubblico e realizzato in una struttura dove si possono fare anche i corsi previsti dall’Accademia.

Chiederei al centro coreografico di andare a controllare le strutture delle scuole di danza private. Se si trovano in spazi idonei e che i dipendenti siano assunti con regolari contratti.

In Francia già esistono. Perché non adoperare, qui in Campania, il Teatro Mediterraneo per realizzarne uno?

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