Il 5 e 6 dicembre andrà in scena al TAN, Teatro Area Nord, di Napoli lo spettacolo della Compagnia di Teatro-danza Movimentoinactor, sotto la direzione artistica e coreografica di Flavia Bucciero.

Lo spettacolo porta il titolo Il Principe e la Rosa ed è un’indagine sulla vita di Antoine de Saint- Exupéry, autore de Il Piccolo Principe, uno dei libri più tradotti e diffusi al mondo. La storia di Antoine è quella di un personaggio a metà tra umanità ed eroismo e la sua storia d’amore con la moglie Consuelo, travagliata come lo sono gran parte, ha ispirato la coreografa ad indagarne il gesto, il sentimento, l’intimità e le mozioni con la danza e la parola.

Gli spettacoli della Bucciero non sono mai movimento astratto ma sono situazioni drammaturgiche in cui personaggi concreti s’identificano e si esprimono attraverso il mezzo della parola, del gesto, della danza, mai del simbolismo.

Il Principe e la Rosa è un omaggio allo scrittore, che arriva proprio all’indomani del 70° anniversario della sua morte e un inno al viaggio come dimensione di vita in bilico tra desiderio di partire e voglia di ritornare. Ma è anche il racconto di un grande amore, quello tra lui e la scrittrice e artista salvadoregna Consuelo Suncin, una passione nata da un colpo di fulmine, consumata in un ambiente di artisti e intellettuali, tra il sud della Francia, Parigi, l’Argentina, New York, il San Salvador, il Nord-Africa, tra mondanità, incertezze, fragilità, determinate anche dalla guerra.

Nomade, nel profondo del suo essere, Antoine de Saint Exupéry, che oltre ad essere scrittore fu anche un aviatore avventuroso, in un periodo in cui, i primi del ‘900, significava essere pioniere, considera il viaggio, il percorso, l’attraversamento come unica forma di vita possibile. E’ nello stare in bilico fra realtà diverse e nel non appartenere a nessuna completamente, che sta la sfida della sua breve esistenza, consumata tra scrittura, viaggi, amori.

Solo l’esperienza del viaggio e dell’allontanamento dà un senso al ritorno e al ritrovamento, dà corpo alla passione che vivrà nei confronti della moglie, fino alla fine della sua breve e inquieta esistenza. E sarà proprio in uno dei suoi ritorni, durante gli anni della seconda guerra mondiale, a New York, in uno dei suoi entre-acte tra un viaggio e l’altro, accanto alla sua musa Consuelo, che nascerà il capolavoro Il Piccolo Principe, qualche tempo prima di morire, abbattuto in volo nel ’44 da un aereo militare tedesco, al largo di Marsiglia.

Su tutto questo, lo sguardo infantile, tanto caro a Saint Exupéry, che attraverso un piccolo principe, quello che alberga in ciascuno di noi, trova la chiave di volta per ergersi al di là dell’assurdità dell’esistenza e trovarne un senso.

Nello spettacolo il piccolo principe diviene interlocutore privilegiato dell’immaginario del romanziere, molto prima ancora che lo creasse effettivamente nel 1943, quasi fosse l’ispiratore della sua stessa vita, fino a presagirne addirittura la fine. La vicenda dei due protagonisti appare a Flavia Bucciero, che firma regia e coreografia, di grande modernità per la dimensione globale e multiculturale nella quale si dispiega la loro esistenza, la frammentarietà e precarietà della loro storia affettiva e del loro amore, che al tempo stesso si caratterizza come legame forte e inscindibile. Inoltre, l’intensità di un’esistenza decisa ad andare fino in fondo, superando gli ostacoli della vita, è l’assaporamento di uno sforzo che per gli artisti è una preziosa possibilità di creazione.

Ho rivolto delle domande alla coreografa e direttrice della Compagnia durante la preparazione per questa data napoletana, che per lei è un felice ritorno nella cittá di origine.

Per Flavia, essere napoletana è una marcia in più che velocizza l’empatia del pubblico di tutto il mondo in un ambiente, quello della danza, in cui la strada è molto faticosa.

Ma la danza avrà futuro, lo stesso Teatro, adesso, ricorre alla danza per completarsi e la stessa danza ricerca una forma di teatro totale, in cui bisogna credere senza porsi limiti e di cui apprezzarne la meraviglia espressiva e creativa.

Come ti sei appassionata all’idea drammaturgica del tuo spettacolo? Cosa ti ha mosso a ricercare in quella direzione?

Ho sempre amato la letteratura francese. Il fatto stesso di essere vissuta in Francia per alcuni anni me l’ha sempre fatta considerare una seconda patria.

Ciò che mi ha affascinato particolarmente e’ stata l’esistenza così turbinosa, scomposta, eppure così ricca di rimandi di carattere universale, di Antoine de Saint Exupery.

Le sue profonde contraddizioni, il suo gusto per la vita, per le passioni e al tempo stesso la sua temerarietà, l’amore per le donne, quello per gli aerei (e siamo nel primo trentennio del ‘ 900),  per i viaggi (che lo portarono da un capo all’altro del mondo) e al tempo stesso la consapevolezza del rischio che, tra l’altro, lo portò , come pilota, ad avere almeno tre incidenti aerei gravissimi che lo tennero tra la vita e la morte. Questo suo corpaccione grosso e pesante, messo a confronto con la sua delicatezza di sentimenti e la sua aspirazione alla leggerezza,  a volare alto con l’aereo e col pensiero. I tradimenti affettivi evidenti e smaccati, quelli perpetrati a discapito della moglie Consuelo e la sua profonda capacità di amarla fino agli ultimi istanti prima della morte (quella di Antoine).

Se si conosce la vita di Saint Exupéry, le sue opere sul volo, se si conosce Memoires de la Rose, scritto dalla moglie Consuelo, si legge con altri occhi Il Piccolo Principe, che ci appare come  un controcanto della sua stessa esistenza. Pur essendo stato scritto solo nel ’43 sembra che il suo protagonista abbia dialogato con l’autore da sempre. Sembra che questo sé bambino sia stato da sempre al suo fianco, come un angelo custode, fino al momento in cui il suo aereo fu abbattuto da un caccia tedesco nell’estate del ’44.

Questo è ciò che mi ha toccato nel profondo: le atroci e umanissime contraddizioni di quest’uomo che ha attraversato momenti critici della storia d’Europa, in cui l’esistenza e’ sempre in bilico, vissuta all’estremo. Anche noi viviamo un’epoca di crisi in Europa e nel globo e questo mi ha fatto sentire, nei suoi umori profondi, Saint Exupéry particolarmente vicino.

Quali sono i modelli a cui guardi per i tuoi lavori coreografici?

Il mio modello primo è, nell’ambito della danza contemporanea, il Teatrodanza di Pina Bausch (essendo stata allieva a Parigi, tra gli altri di uno dei suoi primissimi danzatori, Christian Trouillas) e, quindi una tradizione espressionistica della danza. Ma non è il solo. Amo il Teatro e un’idea di teatro totale, in cui danza, musica, immagine e talvolta anche parola si mescolano profondamente. Per cui mi ispirano molto i registi che si pongono su questa  linea, come Delbono in Italia e tra gli stranieri Nekrosius (che differenza vero?!). E nella danza, in genere mi piacciono le compagnie israeliane, perché sento che lavorano in una condizione estrema e quindi sono interessanti. In generale mi piace sentire alla base di uno spettacolo una forte struttura drammaturgica.

Cosa cerchi nei danzatori che lavorano con te?

Prima di tutto le capacità espressive. Devo sentire che emanano qualcosa, che costruiscono canali di comunicazione e trasmissione sottile con il pubblico, devono essere forti, avere energia. Il che non significa essere sempre sopra le righe, ma anche la sottigliezza espressiva la puoi comunicare solo se sei pieno. Poi ovviamente c’è la tecnica e, a livello corporeo, mi piacciono le qualità di fluidità e al tempo stesso di potenza.

Come definiresti il “teatro-danza”?

Il Teatrodanza e’ un vero universo composito oramai. Dire cosa è e cosa non è Teatrodanza e’ un esercizio astratto e non interessante. Dico solo che dove c’è una forte struttura drammaturgica, dove c’è lo sforzo di mettere in relazione tutti gli strumenti della scena, non in maniera formale, ma in stretta adesione al senso del lavoro, dove c’è coerenza espressiva, mantenendo sempre come centro la danza e il corpo, siamo nell’ambito di questo genere. Ma siamo anche nell’ambito di una visione totale del teatro e qui addirittura le divisioni di genere risultano posticce, figuriamoci quelle nell’ambito della danza.

Come te la stai cavando in questo ampio ed ormai radicato periodo di crisi?

Direi, tutto sommato, abbastanza bene. Stiamo lavorando parecchio in Italia e anche all’estero. Di recente, a giugno abbiamo fatto una gratificante tournée in Slovacchia e Polonia. Pensa che a Varsavia, ospiti di un prestigioso Festival, lo spettacolo che abbiamo portato, che guarda caso era “Pina, why not Naples?” ha fatto il tutto esaurito a poche ore dalla messa on line dei biglietti. Un bel risultato no? E grazie a Napoli, la mia città di origine che ovunque vai, crea sempre interesse e curiosità.

Detto questo, siamo certamente in un momento critico per lo spettacolo in generale. E’ un momento in cui bisogna mettere in atto grandi capacità  di “resilienza”, non a caso una parola molto di moda in questo periodo. Ad esempio lavorare su diverse linee. Per fortuna oltre che per gli adulti, abbiamo produzioni pensate per l’infanzia e per i giovani e questo ci aiuta molto. Come ci aiuta molto concepire gli spettacoli anche come Site-specific, adattabili a spazi chiusi e aperti. Grandi potenzialità in questo senso ha per esempio la nostra ultima produzione “Questa notte balliamo insieme…”, realizzata in occasione del centesimo anniversario del primo conflitto mondiale e che ha debuttato qualche giorno fa a Pisa e che sta già riscuotendo notevole interesse tra gli operatori.

Se fossi rimasta a Napoli, saresti riuscita a realizzarti nello stesso modo secondo te?

Adesso credo di si. Forse avrei aspettato più tempo. Bisogna dire che quando sono andata via da Napoli, non perdendo però mai i contatti con la mia città, più di trenta anni fa, a Napoli c’era poco o nulla e se volevi lavorare nella danza, dovevi per forza emigrare. Adesso le cose sono molto cambiate. Ora è possibile, bisogna solo mettere a fuoco le enormi potenzialità espressive di questa splendida e unica città e trasformarle in danza, in emozioni. Quando andai via dalla città, se dicevi che facevi danza, ti guardavano tutti un po’ male, perché essendo una città con grandi tradizioni di teatro, la danza era considerata una cosa un po’ fatua, se non inutile. Adesso le cose sono molto cambiate. E’ il teatro che ha bisogno della danza, se vuole rinnovarsi.

Come vivi le date napoletane?

Sempre con grande emozione. Venire a Napoli a fare spettacoli e’ sempre per me un’occasione per riconnettermi con la me più profonda. Il pubblico di Napoli e’ sempre quello che mi fa ogni volta sussurrare dentro di me ” e’ questa la mia gente !”

Qual è la differenza tra quando danzi nei tuoi progetti e quando ci lavori solamente da coreografa?

La cosa è molto diversa. Quando danzo nei miei spettacoli ci sono più emozioni in gioco ed è più appagante. Ma l’esercizio di avere al tempo stesso uno sguardo esterno e interno è più faticoso. Quando curo la regia e la coreografia, senza essere in scena, controllo meglio tutto, ma alla fine di uno spettacolo mi sembra sempre che mi manchi qualcosa. Quel rapporto diretto e osmotico col pubblico, aver trasmesso qualcosa agli altri di fisico e di tangibile e aver ricevuto qualcosa di altrettanto forte.

Cosa ti dà più soddisfazione quando vedi in scena un tuo lavoro?

Non ci sto a pensare due volte: le reazioni del pubblico, e’ questo ciò che mi fa capire se uno spettacolo funziona o no. Te ne dico una: una delle repliche per me più belle dello spettacolo “Pina…ma perché Napoli no!”  e’ stata quella fatta proprio al Teatro Area Nord (dove saremo il 5 e il 6 dicembre con Il Principe e la Rosa). Qualche anno fa, facemmo una replica al TAN per i ragazzi di un Istituto tecnico di Secondigliano. Ebbene, sarebbe stato fantastico riprendere le reazioni del pubblico! Il loro interloquire con lo spettacolo, mai in maniera gratuita, ma sempre congruente, sentire che lo spettacolo gli apparteneva, che lo riconoscevano come qualcosa di loro, tanto da intervenire anche fisicamente sulle poltroncine. Era una cosa entusiasmante! E in genere le reazioni dei bambini e dei giovani sono sempre molto autentiche.

Cosa consigli ai giovani danzatori di oggi?

Di crederci. Un percorso di danza è sempre un percorso faticoso,  più che per altre forme dello spettacolo e con meno gratificazioni economiche, quindi se non c’è una grande passione che la sostiene, diventa tutto difficile e insormontabile, anche perché la realtà della danza e’ realmente difficile, soprattutto in Italia. Ma se c’è passione, forza, tenacia e al tempo stesso consapevolezza delle difficoltà, prima o poi, la propria strada si imbocca. E’ importante però aver fatto una profonda e sincera verifica con se stessi,  se ci si crede davvero, se si è pronti a rinunciare a tante cose, ovviamente per qualcosa di magnifico in cambio. Se, invece, a colpire sono principalmente le forme della danza e del mondo della danza, a parer mio, si è sbagliata strada, perché la danza è nella stragrande maggioranza dei casi un percorso faticoso e, sempre a parer mio, per questo, straordinario.

Sabato 5 dicembre h 20:30 e domenica 6 dicembre h. 18 presso il Teatro Area Nord, in via Nuova Dietro La Vigna- Secondigliano (NA) per la Stagione Teatrale 2015/2016

I danzatori/interpreti- Daniele Del Bandecca Antoine de Saint Exupery, Silvia Franci Consuelo, Sabrina Davini Il Piccolo Principe, Laura Feresin Nelly de Vogüé prendono per mano gli spettatori per condurli in un’atmosfera da sogno, supportati da una coreografia ricca di rimandi e citazioni al capolavoro letterario, nella costante contaminazione dei registri, realistico e fantastico, restituendoci lo sguardo infantile tanto caro a Saint Exupéry.

Le musiche sono di Darius Milhaud, Woody Herman, Eugenio Colombo.

Costumi a cura della Fondazione Cerratelli, disegno luci di Riccardo Tonelli, immagini video di Giulia Gerace, per questa nuova produzione della compagnia Movimentoinactor /Con.Cor.D.A. , sostenuta da Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Regione Toscana, Comune di Pisa.

Biglietti : Intero € 10, Ridotto € 5

Per informazioni e prenotazioni : Teatro Area Nord Tel. 0815851096

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