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Euschemosyne: una qualità di movimento

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(seconda parte)

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Nell’antica Grecia quello della mimesis era uno degli ambiti in cui il termine schema trovava largo uso: da un lato strumento d’imitazione artistica (disegno e colore), dall’altro come figura di contorno o forma in generale. E’ importane rilevare che nei testi teatrali schema era utilizzato piuttosto raramente e molto spesso usato per evocare qualcosa o qualcuno assente sulla scena. Tale rarità di utilizzo del termine era dovuta al fatto che la condizione normale, cioè sul palcoscenico, lo schema (abbigliamento e atteggiamento) era già visibile e sulla base erano riconosciuti i personaggi. Nel teatro greco il termine era tendenzialmente utilizzato quando l’oggetto o la persona di cui si parlava era distante e quindi né si richiedeva una descrizione per entrare nell’azione scenica. Ne I Sette contro Tebe di Eschilo un messaggero giunge ad informare Eteocle che gli uomini di Polinice sono nei pressi di Tebe ed hanno deciso di presidiare le sette porte della città con sette dei loro più forti guerrieri. Eteocle è informato sul nome e le caratteristiche principali di ognuno affinché assegni sette campioni in difesa di ognuna delle sette porte. Giunto alla quarta descrizione il messaggero evoca la figura di Ippodemonte utilizzando l’espressione <di Ippomedonte lo schema e il grande <typos>, condensando nei due termini la figura del guerriero. Sempre nella stessa tragedia Eschilo fa uso del termine schematizein quando il messaggero descrive il terzo guerriero a proposito del suo scudo ornato all’interno della bottega del cesellatore. Del termine ne fa un largo uso Euripide. In Medea, ad esempio, schema assume un forte valore connotativo. Assetata di vendetta dal tradimento subito, Medea ha ormai deciso: far perdere per sempre la vista dei propri figli uccidendoli. Essa richiama in scena la sua prole contemplandone sentitamente le fattezze attraverso uno schema che riassume in modo lampante i loro tratti fisici che vanno dalle espressioni del volto, alla postura, agli atteggiamenti. Qui schema evidenzia un’opposizione tra il dentro e il fuori. L’immagine evocata dalla madre, infatti, è solo quella esterna, è ormai uno schema vuoto, privato di ciò che un tempo i suoi figli erano. Nella descrizione di persone lo schema era elemento di riconoscimento e di giudizio, esso veicolava valori personali e civili; dai tratti esterni era possibile risalire alla posizione sociale, alla provenienza, ai valori etici del cittadino greco del V o del IV secolo. L’identificazione poteva avvenire sulla base delle vesti indossate, delle parole proferite ma soprattutto dai gesti. Aschemon /euschemon, composti di schema, designavano una persona inelegante o elegante in determinate circostanze. Aristofane si riferisce al gesto della proskinesis, il prostrarsi avanti (inchino) davanti a una persona di più alto rango, riconosciuto e identificato dai greci di allora come gesto tipicamente orientale, persiano. La gestualità, dunque, riconosciuta nella sua dimensione storica e culturale. Ancora Aristofane nelle Vespe: “Guarda lo schema e guarda a quali ricchi / assomiglio di più nella camminata”, come dire che esiste una forma della camminata, una fisionomia dell’andatura. In questo caso la gestualità è strettamente collegata a una classe sociale. Schema era importantissimo anche nella descrizione di travestimenti e contraffazioni divenendo “termine chiave” nella discussione del rapporto tra vero e falso, tra ciò che è e ciò che appare. Solitamente travestirsi vuol dire “assumere lo schema di un’altra persona”, far credere allo spettatore di esser qualcun altro, di possedere determinate caratteristiche interiori. Un’ulteriore considerazione è l’utilizzo di uno schema falso nell’azione teatrale che è già di per sé invera: Phye affinché riesca con successo nel travestimento, deve assumere una posa iconograficamente credibile, un gesto fisso, immobile, che riporti alla mente degli ateniesi l’immagine della dea Atena. La finzione richiede quindi fissità e immobilità congelata in un gesto in cui è condensata l’identità.  Gesto e portamento devono comunicare allo spettatore l’ethos del personaggio che si vuole imitare o, nel caso specifico, che si vuole far credere di essere nell’azione inscenata. Lo schema è quindi mobile, falsificabile, può essere manipolato ai fini del raggiungimento di una falsa identità. Emerge allora una rilevante contraddizione che il termine in se incarna: da un lato è il mezzo di riconoscimento di un personaggio, reale o rappresentato in una statua, in un dipinto o in un teatro; dall’altro se ben manipolato permette il riconoscimento non di ciò che è ma di ciò che appare. La coerenza dello schema con i tratti interni di chi s’intende rappresentare è la chiave di successo di ogni travestimento. La mancanza di tale coerenza può diventare un espediente di comicità. Riferito alla figura umana, schema quindi non rimandava esclusivamente a una forma rigida e bloccata, ma anche al movimento. Esisteva uno schema nel modo di camminare e una conferma ci viene da un passo di Luciano: Menippo si traveste con leonté, pilos, e lira (e si presume un certo modo di atteggiarsi) nella speranza di scendere indisturbato nell’Ade e passare come “qualcosa di noto” scontato, proprio come nelle tragedie, dallo schema. Schema quindi era la postura, osservata nella camminata o nell’esecuzione di un’azione. Quest’uso tecnico del termine si ritrova in molti testi di medicina o scienze naturali di allora, <postura> è contenuto in molti testi raccolti nel Corpus Hippocraticum ed anche nelle opere di Senofonte sull’ippica e la caccia in cui troviamo un esplicito parallelo tra il cavallo e il danzatore riscontrabile in alcuni tratti comuni quali l’esibizione in pubblico e l’apprendimento di schemata. Il cavallo e il cavaliere dovevano apprendere movimenti e atteggiamenti che, eseguiti con euschemon, evocavano nobiltà e determinati valori. Secondo Senofonte il cavallo da parata, il danzatore ma anche il pittore che li ritraeva, erano accumunati dall’apprendimento di schemata che dovevano mostrare euschemosyne cioè eleganza, armoniosità, regolarità ritmica.

Fabiola Pasqualitto

(continua)

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Articolo tratto da “Gli schemata nel teatro classico e nella Commedia dell’Arte” di Fabiola Pasqualitto ( Tesi di LM in Drammaturgie dello Spettacolo, Università “La Sapienza” di Roma).

Bibliografia di riferimento

M.L. Catoni, Schemata. Comunicazione non verbale nell’antica Grecia, Scuola Nazionale Superiore di Pisa, 2005.
  1. Ahlberg Cornell, Prothesis and ekphorain Greek geometric art, Aström edition, 1971.
  2. Blasis, Trattato dell’Arte della danza – Edizione critica a cura di Flavia Pappacena, Gremesi Editore, Roma 2008.
  3. Ripa, Iconologia, (prima edizione, senza illustrazioni). Dal 1603 (edizioni con illustrazioni), Roma 1593.
  4. Mariti, Transiti tra Teatro e scienza, dalla mimesis tou biou al bios della mimesis, in AA.VV., Dialoghi tra teatro e neuroscienze, Edizione Allegre, Roma 2009.
  5. Guatterini, L’ABC del Balletto, Arnoldo Mondadori, 1998.

In copertina – Bassorilievo Ercolano

 

 

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Giornalista e critica di danza, danzatrice, coreografa, docente di materie pratiche e teoriche della danza, docente di Lettere e Discipline Audiovisive. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo e specializzata in Saperi e Tecniche dello Spettacolo all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Dal 1990 è direttore artistico e insegnante del Centro Studi Danza Ceccano e curatrice del ”Premio Ceccano Danza". E’ inoltre direttrice e coreografa della CREATIVE Contemporary Dance Company.