Etoile – Star di Rita Frongia inaugura un nuovo anno di Carne

BOLOGNA – Lo scorso sabato 13 gennaio, al Teatro delle Moline, Etoile – Star di Rita Frongia inaugura un nuovo anno di Carne a Bologna, il focus di drammaturgia fisica di ERT | Emilia-Romagna Teatro Fondazione la cui curatela è affidata anche per il 2024 all’artista associata Michela Lucenti.

Un dittico di pure umanità: Etoile – Star di Rita Frongia inaugura un nuovo anno di Carne

Due ritratti danno forma a un dittico di pure umanità oltre il genere e le etichette, oltre le formalità, le cerimonie e le convenzioni. Da due corpi ormai “ridotti all’osso”, come li definisce la stessa drammaturga e regista, emerge un gesto che è pura espressione di un desiderio senza veli, senza maschere. Neanche la scenografia ha orpelli, piuttosto è allo stesso tempo essenziale ed esuberante: evoca e ammicca al pari del portamento dei performer. Due tende di lustrini argentati scendono dall’alto a formare due tasselli rettangolari che dividono visivamente lo spazio in quattro compartimenti – uno dei tanti richiami agli splendori delle luci della ribalta. Allusioni a tratti malinconiche, a tratti fiere, che tentano la commozione e sollecitano il sorriso.

Corpi carichi di passato ma ostinatamente presenti

Entrambi gli spettacoli rappresentano momenti privati: l’etoile in camerino che sorseggia un caffè, ripassa la parte, si cambia d’abito; la star che si prepara e si agghinda per uscire. Ma il tutto è appena accennato: ogni pezzo è occasione per farci l’occhiolino, ci mostra qualcosa e vuole dire altro. Ogni espressione, ogni mossa, è ambigua perché contiene il presente e allo stesso tempo la forza di una vita.

Emblemi di questa dicotomia di temporalità sono i corpi dei performer, consumati dagli anni, asciutti, un po’ contorti, carichi di passato ma ostinatamente presenti. Le parole sono scarsissime, tranne per la chiusura che si dilunga sulla minuziosa spiegazione della ricetta delle sarde a beccafico. Conclusione strana e misteriosa che può chiarirsi solo dopo aver assistito all’intero spettacolo. Stralci di quotidianità intrecciati a momenti di eccezionale irripetibilità. Ogni movimento è danza anche se della danza codificata ha poco a che vedere.

Rita Frongia inaugura un nuovo anno di Carne

Rita Frongia, drammaturga, regista e attrice, sceglie due performer dalla consumata storia artistica e dalla presenza vivissima per la sua personale rappresentazione dell’umano: Stefano Vercelli che ormai a 70 anni può vantare una carriera al fianco di Grotowski e Barba e l’americana Teri Weikel che, dopo aver collaborato con artisti di fama internazionale, ora intesse le logiche anatomiche con i principi del Metodo Feldenkreis.

I due quadretti viaggiano in parallelo, le azioni si richiamano tra l’uno e l’altro benché siano sviluppate in maniera personalissima dai due performer. All’inizio, il focus sulle gambe bianche e un po’ nodose, la tazzina di caffè per Stefano e il bicchiere per Teri. Due sigarette accese. Stefano ne tiene una in ogni mano e danza al ritmo dei bassi della traccia sonora nel fumo che si libera da esse. Teri le prende tutte e due in bocca. Il cambio d’abito e poi il sogno. Stefano indossa un tutù leggero, bianco e vaporoso come i suoi capelli. Ha il petto nudo, la pancetta sporgente e inizia una danza assecondando pulsioni e desideri, prima muovendo il bacino con fare mascolino, gonfiando il petto e poi somigliando alla statuina di un carillon che ci strizza l’occhio e ci invita tra le sue braccia. A Teri si illuminano le dita, il cappello e gli occhiali, diventa un cyborg che danza su una musica elettronica. “Oh, what a fucking nightmare! It seemed so real!”, esclama esterrefatta.

Una drammaturgia che appunta senza imporre chiavi di lettura

In conclusione, Etoile – Star è tessuto su una drammaturgia che appunta senza imporre chiavi di lettura. Come questa, altre mille saranno valide. In fondo c’è il senso dell’umano, l’essere umano molto da vicino. “Serve una storia che faccia la grazia di nascondersi – commenta Rita Frongia – una drammaturgia che rispetti l’intelligenza del pubblico e che non suggerisca chiavi di lettura. Serve che l’artista sia presente, che in scena indaghi attimo per attimo tempi e forme, affinché si possa immaginare l’indicibile, vedere l’invisibile.”

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Laureata in Letterature comparate e postcoloniali all'Università di Bologna, combina la passione per la lingua e l'interesse per la danza scrivendo e conducendo ricerche nell'ambito della scena performativa contemporanea. Parallelamente all'impegno accademico e a quello giornalistico, porta avanti collaborazioni come dramaturg della danza e percorsi di ricerca personali come performer. Si occupa inoltre di organizzazione e promozione culturale collaborando con enti del terzo settore che si muovono tra danza e comunità.