Emma Cianchi

Emma Cianchi è direttrice di ArtGarage – Centro coreografico e delle arti performative contemporanee. Riconosciuta a livello nazionale come coreografa originale e innovativa, vincitrice di numerosi premi, Emma Cianchi vanta collaborazioni di eccellenza nel mondo del cinema, del teatro e della musica.
Nei suoi spettacoli oltre a tessere la coreografia, cura personalmente l’aspetto scenografico e i costumi.

Nel 2003, con Veronica Grossi, fonda il centro di arti performative contemporanee ArtGarage. Offre così la possibilità ai giovani del territorio di formarsi professionalmente con docenti di qualità e di approfondire le varie discipline con maestri di fama internazionale.

ArtGarage ha formato negli anni danzatori che hanno avuto grandi soddisfazioni lavorative in compagnie italiane ed estere. Meritandosi, così, il riconoscimento del Ministero dello Cultura.

Che tipo di ritorno economico possono dare le piattaforme streaming? Si può pensare a un nuovo modello di ritorno economico?

In fondo sì, però non so qual’è il vantaggio per l’artista. Sicuramente c’è un ritorno economico, basta analizzare i social: già si nota la differenza se un post è sponsorizzato o meno.

Quindi forse ora le piattaforme streaming sono libere, ma più avanti sicuramente porteranno un incasso. Dunque mi chiedo quale sarà il vantaggio economico per l’artista? Non per l’artista affermato a livello nazionale e internazionale, che già è in grado di arrivare ovunque. Ma il piccolo artista, che ha sempre bisogno di essere sostenuto.

Penso che forse il vantaggio economico sarà delle piattaforme.

Emma Cianchi come vorrebbe che fosse il proprio pubblico?

Più informato. Vorrei vivere in una città in cui ci fosse più attenzione a educare il cittadino a diventare anche spettatore. E non solo consumatore di ristoranti e bar.

Ho sempre pensato: se il mio Comune aprisse un teatro ogni tot ristoranti, oppure se legasse il consumo della piazza, per esempio, al biglietto di uno spettacolo. Secondo me si conquisterebbe altro pubblico.

È proprio l’educazione della società che dovrebbe mirare all’educazione culturale, anziché mirare al solo consumo.

Con quali mezzi si potrebbe ottenere questo risultato?

I mezzi sono quelli di cui ho detto, in modo ironico, prima. Se un Comune mettesse a sistema le proprietà demaniali, con una percentuale rivolta alla cultura, ci sarebbero più spazi.
Più spazi ci sono per lo spettacolo dal vivo, più arriva gente. Se so che nel mio quartiere c’è un centro culturale, che offre tante attività, posso portarci i miei bambini. Così inizia l’educazione alla cultura, dai cinque ai novantacinque anni.

Mettere in condizione di lavorare e di offrire alla città più cultura possibile, alla portata di tutti.

Secondo Emma Cianchi, per la gestione economico-amministrativa, ci sono delle soluzioni “a portata di mano” alle quali non si sa o non si vuole ricorrere?

Per migliorare il sistema bisogna che lo Stato investa di più. Il Fondo Unico per lo Spettacolo deve essere più alto e la risorsa per la danza non può essere quella percentuale così bassa.

Ci sono tante competenze: il lavoro intorno alla danza non è detto che sia solo il danzatore. Può essere un fotografo di scena, un regista, un operatore dello spettacolo. Tante sono le figure professionali che possono crescere intorno a una compagnia di danza o a un festival.

Però i fondi devono essere più alti e non devono andare persi ma messi a sistema. Più assunzioni significa meno migrazioni. Il sistema attuale, purtroppo, fa sì che il danzatore che non trova lavoro sia costretto ad andare all’estero.

Basta andare in un qualsiasi teatro della Germania, dove su venticinque danzatori otto sono italiani. Che vivono lì, pagano le tasse, consumano, in Germania, Inghilterra, Francia. Dunque l’Italia non sta solo perdendo validi danzatori, ma anche tasse e un ritorno economico.

Il ricambio generazionale in Italia è difficile, secondo Emma Cianchi perché?

In realtà, non penso sia difficile, anzi ritengo che ci sia solo ricambio generazionale. Il sistema danza in Italia, da vent’anni a questa parte, è sempre lo stesso. Individua quattro giovani under 35, li sostiene per due anni e poi li abbandona, e poi ne individua altri. E di nuovo li sostiene per poco e poi li abbandona.

Quindi il sistema va cambiato. Chi decide non dovrebbe pensare solo ai numeri ma guardare al Paese e a quello che lascia al futuro.
Quest’anno è morta Carla Fracci: come possiamo immaginare che nei prossimi anni ci sia un altro artista di questo spessore?

Da quanti anni l’Italia è priva di un coreografo degno di essere divulgato in tutto il mondo? Al contrario dell’Inghilterra dove invece c’è per esempio Akram Khan, figlio di prima generazione di immigrati pakistani. E le musiche che adopera Khan sono realizzate da Vincenzo Lamagna, un ragazzo della provincia di Napoli.

È come se un danzatore residente in Italia, figlio di immigrati, entrasse nel San Carlo e il Teatro lo sostenesse. Perché non può realizzarsi una cosa del genere nel nostro Paese?
Akram Khan è famoso a livello europeo e proviene da una famiglia umile. Ma vive in un Paese che gli ha offerto spazio e possibilità. Perché l’Italia non fa altrettanto?

In tutti questi anni, il nostro sistema cosa ha creato? Nulla, noi non abbiamo un coreografo che ci rappresenta e che è riconosciuto equamente da tutte le parti. Non parlo di essere famoso all’estero, ma di lasciare un segno.

Se improvvisamente avesse il potere di risolvere i problemi del mondo della danza, cosa farebbe per prima cosa?

Un potere soprannaturale? Metterei nella mente di tutti: «Andate a vedere la danza, sostenete la danza».

Realmente, non saprei da dove partire, ci sarebbe tantissimo da fare. Modificherei il regolamento del Fondo Unico dello Spettacolo in modo da destinare una percentuale uguale agli spettacoli della danza e della prosa. Questo potrebbe essere attuabile dall’anno prossimo, basta cambiare la legge.

Se programmi spettacoli di qualità, il pubblico arriva. Perché non è vero che la danza non piace.

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