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Ditirambografi e trioboli: coreografi e assistenti in cerca di schemi

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(terza parte)

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Si ritiene di rilevante interesse l’impiego del termine schema nel significato tecnico di figura di danza, riscontrabile nell’ambito della descrizione e della pratica della danza, e la preminenza di quest’ultima, parte della mousike, fra le altre arti. Nell’Atene del V e IV sec. a.C. la danza era percepita come l’arte mimetica più importante per costruire, stabilizzare e diffondere quel linguaggio di cui gli schemata sono le unità base. E’ importante porre l’accento che solo nel significato specifico di figura di danza, nei testi più antichi che ne attestano l’uso, il termine schema ammette il plurale. Schema era impiegato al singolare per descrivere la sagoma di un oggetto o una persona ma mai per descriverne i gesti. Il gesto però, identificando immediatamente e icasticamente un personaggio era, insieme alla camminata, alla postura, all’atteggiamento, un elemento portante dello schema. Probabilmente era proprio tramite la mediazione della danza che il termine schema/schemata poté assumere il significato di “gesto”. L’opera di ricostruzione della danze antiche è stata affrontata validamente da numerosi studiosi che hanno cercato di dare nome ed evidenza visiva alle diverse danze e agli schemata menzionati nei testi attraverso le descrizioni fornite dalle fonti letterarie e le testimonianze figurative da un lato, le strutture metriche dei canti che accompagnavano tali danze dall’altro. Per meglio comprendere l’uso degli schemata nella danza è utile partire dalla definizione che Greci stessi davano di essa. Nella Poetica Aristotele indica come mezzo caratteristico della danza il ritmo, o meglio il <ritmo articolato in figure> (dia tôn schematizomenôn  rhythmôn) attraverso il quale i danzatori rappresentano i caratteri, le emozioni e le azioni. Definizione che mette in gioco i termini rhythmos e schema che in greco appartengono entrambi alle designazioni della forma. Rhythmos nel corso della storia della lingua greca tende a specializzarsi in diversi settori di applicazione; per quanto riguarda le arti e in particolare la musica e la danza, esso sembra acquisire un significato specifico. Già Platone applica il concetto di ritmo, oltre al tempo musicale, anche al movimento del corpo: rhythmos è (taxis tês kinêseôs) cioè mezzo per ordinare il movimento in sequenze lenti o veloci di esso producendo quindi un armonioso movimento del corpo. Estensione del termine è Orcheisthaienrythmô che nella danza trova naturale applicazione indicando un movimento coordinato delle membra dominato da un principio di misura. I poeti tragici della generazione di Frinico e Eschilo oltre ad essere attori delle proprie tragedie erano anche coreografi e maestri di danza. Parte che il loro mestiere consisteva nell’invenzione di schemata di danza. Molti e vari furono gli schemata inventati da Eschilo; Cameleonte, letterato greco, afferma che fu lui il primo a inventare figure per i cori senza utilizzare gli orchestrodidaskaloi, mentre si dice di Frinico come un tragediografo così tanto  preoccupato per l’arte orchestica che pagava un triobolo a colui che gli trovasse un nuovo schema. Oltre ai tragediografi anche i ditirambografi erano maestri di danza e trovatori di schemata. Fu Aristosseno di Taranto, grande allievo di Aristotele, filosofo e massimo teorico greco di ritmica e di musica, a classificare i vari tipi di danza. Sembra risalire proprio a lui l’importante classificazione che assegna le tre danze quali la emmeleia, la kordax e la sikinnis rispettivamente alla tragedia, alla commedia e al dramma satiresco. In alcune sue opere è possibile rintracciare l’uso del termine schema in relazione al ritmo e al movimento del corpo, in particolare negli Elementa rhythmica dove distingue tre diversi tipi di ritmabili che dividono il tempo: la lexis che divide il tempo in lettere, sillabe e parole; il canto  e la musica che dividono il tempo in note, intervalli e gruppi di note; e il  movimento corporeo che divide il tempo in segni e schemata. Teofrasto distingue lo schema degli esseri umani da quello delle cose affermando che l’atto umano coinvolge sempre il movimento, nello schema degli esseri umani il movimento è sempre implicato, al contrario nella statua lo schema è atto senza essere movimento. Lo schema nella danza, pur essendo parte di un’arte cinetica prevede tuttavia un momento legato alla stasi e all’assenza, alla sospensione del  movimento.

Phora, schema e diatheseis

Nel IV libro delle Questioni Conviviali di Plutarco, a detta del filosofo neoplatonico Ammonio, la danza è composta di tre elementi fondamentali: phora (il movimento continuo) schema (posizioni apollinee) e diatheseis (pose finali del movimento). Plutarco ci aiuta a comprendere meglio la difficile relazione che intercorre tra i tre termini: i rapporti di reciprocità tra le tre parti sarebbero della stessa natura di quelli che intercorrono tra le note e gli intervalli nella melodia musicale. Anche la danza, infatti, come la musica, consta di movimenti (kinêseis) e posizioni statiche (sche-seis); all’interno del flusso della danza le pause corrisponderebbero al punto di arrivo dei singoli movimenti (perata tônkinêseôn).  I tecnici della danza chiamano quindi phorai i movimenti mentre gli schemata corrisponderebbero sia alle posizioni statiche (sche-seis) sia agli atteggiamenti del corpo (diatheseis) che costituiscono il punto di arrivo dei movimenti (pose finali del movimento). Ammonio definisce più propriamente gli schemata come posizioni del corpo che assolvono una funzione rappresentativa, il ballerino atteggerà cioè il suo corpo nella <posa di Apollo> o nella  <posa di Pan> o in quella di una Baccante o di altra divinità  sospendendo così il movimento in una sorta di tableau vivant. Nell’arte della danza lo schema era dunque un mezzo tecnico di mimesi. Presente nelle sequenze danzate era al contempo isolabile al suo interno con importanti esiti.

 

Articolo tratto da “Gli schemata nel teatro classico e nella Commedia dell’Arte”, di Fabiola Pasqualitto ( Tesi di LM in Drammaturgie dello Spettacolo, Università “La Sapienza” di Roma).

Fabiola Pasqualitto

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(continua)

 

Bibliografia di riferimento

M.L. Catoni, Schemata. Comunicazione non verbale nell’antica Grecia, Scuola Nazionale Superiore di Pisa, 2005.

Ahlberg Cornell, Prothesis and ekphorain Greek geometric art, Aström edition, 1971.

Blasis, Trattato dell’Arte della danza – Edizione critica a cura di Flavia Pappacena, Gremesi Editore, Roma 2008.

Ripa, Iconologia, (prima edizione, senza illustrazioni). Dal 1603 (edizioni con illustrazioni), Roma 1593.

Mariti, Transiti tra Teatro e scienza, dalla mimesis tou biou al bios della mimesis, in AA.VV., Dialoghi tra teatro e neuroscienze, Edizione Allegre, Roma 2009.

Guatterini, L’ABC del Balletto, Arnoldo Mondadori, 1998.

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Giornalista e critica di danza, danzatrice, coreografa, docente di materie pratiche e teoriche della danza, docente di Lettere e Discipline Audiovisive. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo e specializzata in Saperi e Tecniche dello Spettacolo all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Dal 1990 è direttore artistico e insegnante del Centro Studi Danza Ceccano e curatrice del ”Premio Ceccano Danza". E’ inoltre direttrice e coreografa della CREATIVE Contemporary Dance Company.