Derek Deane
Derek Deane

 

Investito dalla Regina Elisabetta dell’onorificenza di Ufficiale dell’Impero Britannico, per il prezioso contributo reso alla danza, Derek Deane – ballerino, coreografo e direttore di prestigiose compagnie ha curato, nel segno della grande qualità, la messa in scena di alcuni dei più celebri titoli del repertorio classico : Il lago dei cigni, Giselle, La bella addormentata, Schiaccianoci, Paquita, Romeo e Giulietta, fino a Cenerentola, in scena al Teatro dell’Opera di Roma in questi giorni. Scrupoloso ed esigente, è sempre attento al più piccolo particolare, nel segno di una grande qualità di lavoro.

Maestro, quali sono i suoi ricordi d’infanzia?

Non sono mai stato un bambino veramente felice. Ho vissuto in una situazione molto difficile, tra mille problemi e con i miei genitori che non andavano per niente d’accordo. A dieci anni il mio unico pensiero era andare via.

A che punto è entrata la danza nella sua vita?

Tardi! La mia passione era il teatro, volevo fare l’attore a tutti i costi. Pur avendo un bel corpo e doti promettenti non mi interessava diventare un ballerino classico. Fu la mia maestra, che aveva individuato in me il talento, a spingermi a fare l’audizione al Royal Ballet e fui subito preso.

Accettai di entrare nella scuola pensando di avere molto tempo a disposizione per frequentare i teatri e scoprire Londra. Ma nella scuola di danza c’era una disciplina molto rigida ed è stato molto difficile accettare le regole ferree. Erano gli anni in cui ballavano Rudolf Nureyev, Margot Fonteyn, Svetlana Beriosova, Anthony Dowell, Antoinette Sibley, tutti ballerini straordinari. Gli insegnanti mi incoraggiavano continuamente perché erano soddisfatti del mio rendimento. Insomma dopo due anni la mia situazione nei confronti della danza era decisamente cambiata: mi piaceva essere un ballerino ed ero assolutamente incantato dall’arte della danza.

C’è un maestro in particolare che ha segnato il suo percorso artistico?

Michael Somes, per tanti anni partner di Margot Fonteyn. Una persona incredibile, un vero professionista, un maestro favoloso. Per niente gentile, anzi, molto duro ma giusto, formativo; ho lavorato con lui per dieci anni.

Quanto conta per un ballerino fare la gavetta?

E’ molto importante perché forma e aiuta a sviluppare il carattere. Il Royal Ballet è una compagnia con una forte gerarchia. Si comincia sempre dal corpo di ballo ma non è detto che tutti arrivino all’ultimo livello. Nella carriera di un danzatore è fondamentale lo studio, per migliorare, approfondire, perfezionare, perché non si finisce mai di imparare! Ho visto Margot Fonteyn fare la classe a cinquantacinque anni: l’attenzione per le correzioni era sempre la stessa. Su una base solida si costruisce giorno dopo giorno, con grande fatica, il proprio percorso artistico.

Perché ha deciso di dedicarsi alla coreografia?

Perché dopo vent’anni di lavoro il mio corpo non ce la faceva più. Ho cominciato a studiare danza molto tardi e le mie ossa erano già formate. E poi fin da giovane ho sempre guardato avanti, quando ballavo pensavo a che cosa avrei fatto successivamente.

Che cosa non può mancare ad un coreografo ?

La pazienza. I ballerini sono egoisti, pensano solo ai loro problemi: sono dei grandi bambini. Naturalmente non vale per tutta la categoria! Del lavoro di coreografo mi piace la plasticità e poi è un impegno interessante e creativo che richiede molta immaginazione e desiderio per il lavoro individuale.

Quali doti sono necessarie ad un ballerino?

Un grande cervello e musicalità. La musica parla. Un ballerino stupendo che danza senza musica non è completo. Il cervello, invece, deve essere sempre aperto per assimilare il più possibile, nel nostro lavoro non esiste un’unica strada. Le generazioni di oggi sono molto attente alla tecnica ma c’è poca considerazione per l’aspetto artistico di un ballerino a cominciare dal look, per esempio come si entra in palcoscenico, in modo di stare in scena. Tecnica, musicalità e look formano un ballerino completo. Mi viene in mente Antoinette Sibley, che era una ballerina incredibile, pur non essendo perfetta fisicamente e tecnicamente, intelligente come nessun’altra. Quando entrava in scena catalizzava l’attenzione di tutto il pubblico ed era musicalissima.

Quali sono i suoi coreografi preferiti? A chi si ispira?

Ce ne sono tanti. MacMillan era bravissimo nei balletti narrativi; Ashton è stato il miglior coreografo a livello musicale, precisissimo e con uno stile tipicamente inglese; Balanchine lo trovo un po’ ripetitivo. E poi naturalmente Jiri Kylian, Christopher Bruce, Glenn Tetley. Per l’ispirazione mi rifaccio sempre a MacMillan, un genio.

Come nasce una sua creazione?

Sempre dall’idea. Prima la storia e poi la musica. Naturalmente i ballerini hanno il loro peso nell’interpretazione. Di solito il mio processo creativo comincia direttamente in sala, lavorando con i danzatori.

Che cos’è per lei il talento?

Una cosa divina e quindi molto difficile da trovare; chi ha un bel corpo magari non è musicale, chi ha una grande sensibilità non ha un fisico perfetto. Tutte le doti insieme formano il talento, una qualità molto rara.

Secondo lei che differenza c’è tra la danza di oggi e quella di anni fa?

Il livello tecnico è sicuramente migliore oggi, c’è anche una maggiore atleticità nei ballerini, si lavora con più forza ma manca la magia della danza. Negli anni ’60, ’70, ’80, c’erano le grandi étoiles, ballerini favolosi, tutti diversi tra loro; i danzatori di oggi arrivano in alto troppo presto, vogliono subito successo e soldi.

Volendo raccontarsi, chi è Derek Deane?

Tante persone con tante difficoltà. Dentro di me non sono mai contento e mi sento sempre triste. La mia vita privata non coincide con quella professionale, con gli amici sono entusiasta ed allegro ma dentro di me ci sono dei momenti bui. Tutta la mia esistenza è stata così.

Che cos’è la danza per lei?

Una vita molto dura, con tanti problemi anche se qualche volta, dopo una prova andata bene o uno spettacolo ben riuscito, sento una grande soddisfazione dentro.

Elisabetta Testa

 

 

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